lunedì, 27 maggio, 2024
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INTERVISTA A ROBERTA BIAGIARELLI - di Nicola Arrigoni

Roberta Biagiarelli Roberta Biagiarelli

A come Srebrenica, 25 anni per fare memoria dell’eccidio etnico
Roberta Biagiarelli racconta il suo impegno per non dimenticare gli orrori della guerra dei Balcani
L’intervista di Nicola Arrigoni

Da venticinque anni l’eccidio di 8.732 civili uccisi nella cittadina della Bosnia Erzegovina di Srebrenica vive e ri-vive in A come Srebrenica, un’elegia del dolore e dell’orrore della guerra che Roberta Biagiarelli porta in scena, testimonia, fa rivivere dal luglio 1998 Nella voce di Biagiarelli c’è l’entusiasmo mai fiacco dell’impegno civile, c’è un ethos che si fa proselitismo laico nei confronti di un’umanità che non dimentichi la bestia che in essa è sepolta e che di volta in volta emerge. 

Il ricordo di chi scrive va a una fredda mattina invernale nel cuore della pianura padana e nello spazio ridotto e intimo dell’auditorium Galilei in cui A come Srebrenica venne proposto alle scuole e poi in serale nella stagione del teatro di Romanengo, gestita alla fine anni Novanta dalla compagnia Piccolo Parallelo di Marco Zappalaglio ed Enzo Cecchi, uno spazio teatrale di forte coraggio innovativo ed etico che seppe raccontare e testimoniare il teatro d’arte nella periferia lombarda fra la fine anni Novanta e i primi anni Duemila.

A come Srebrenica, in scena da 25 anni, conta ben oltre 600 volte in Italia e all’estero: Sarajevo, Tuzla, tour in Spagna, Vienna, Svizzera, Svezia e Gerusalemme. Il 19 febbraio 2019 il monologo è stato ospitato dal Parlamento Europeo a Bruxelles. Che cosa vuol dire continuare a farlo? 
«È un impegno per non dimenticare, ma non ho fatto solo quello. Certo A come Srebrenica ha segnato la mia vita di attrice, ma soprattutto di operatrice culturale».

Come è nato lo spettacolo che vanta un piccolo primato non così frequente nell’Italia delle produzioni mordi e fuggi.
Ride: «Sì è una sorta di unicum. È nato ai tempi di Laboratorio Teatro Settimo, dopo che lessi La guerra in casa di Luca Rastello a spingermi ad investigare e raccogliere informazioni utili alla scrittura e interpretazione di A come Srebrenica, testo frutto del lavoro svolto con Simona Gonella e Giovanna Giovannozzi. Lo spettacolo debuttato nel 1998, non credo esista un monologo che possa vantare una così lunga vita. Oggi lo riprendo, richiesta da scuole e associazioni, molto spesso per affrontare un periodo di storia che nei manuali è sintetizzato in poche righe e che invece è così importante anche per capire il nostro presente».

A come Srebrenica racconta i fatti accaduti nella cittadina nel luglio del 1995, in piena guerra dell’ex Jugoslavia.
«Dopo tre lunghi anni di assedio intorno al 9 luglio 1995 l’armata serbo bosniaca attacca la sua Zona Protetta di Srebrenica e il territorio circostante. L’offensiva si protrae fino all’11 luglio 1995, giorno in cui le unità serbo - bosniache guidate dal generale Ratko Mladic entrano nella cittadina bosniaca. Seguono stupri, mutilazioni, esecuzioni di civili, sepolture di vivi. Ma il massacro di 8.372 civili di quella metà di luglio del 1995 è solo l’epilogo di una storia iniziata tre anni prima: una storia di Assedio. Il mio racconto è il racconto di quell’assedio, narrazione scaturita dalla curiosità di una donna che tornando bambina scruta l’orizzonte della cosa orientale dell’Italia e si chiede: Che cosa c’è dall’altra parte?».

Dopo venticinque anni come è cambiato il monologo che porta in scena, come è cambiata Roberta Biagiarelli?
«Iniziamo dal monologo. Il testo è pressoché il medesimo, aggiornato con i fatti che nel corso degli anni hanno portato ai processi, alla ricostruzione e alla scoperta delle fosse comuni e alla riesumazione delle salme. Ma le parole sono quelle, parole che col passare degli anni hanno trovato una loro assolutezza e la forza impellente di interrogarsi sugli orrori passati e su quelli presenti».

La guerra non passa di moda e neppure gli orrori perpetrati sui civili, basti pensare al conflitto in Ucraina e a quanto sta accadendo a Gaza.
«Abbiamo davanti ai nostri occhi quanto l’orrore della guerra sia quanto mai attuale. Anzi senza conoscere il conflitto dell’ex Jugoslavia non si possono capire le guerre disseminate, parcellizzate nel mondo che accadono oggi. Quando le scuole, associazioni mi chiedono di rimettere in scena A come Srebrenica mi rendo conto che non è mera ripetizione, ma è un rinnovare la testimonianza di un fatto storico che ci dice di oggi e ci aiuta a leggere il nostro presente».

Roberta Biagiarelli come è stata cambiata da A come Srebrenica? Non si sente prigioniera di questo lavoro?
«No, e non solo perché negli anni ho fatto altro. Ma A come Srebrenica ha trasformato il mio modo di essere attrice, è diventato lo spazio, la chiave di lettura che mi ha portato ad approfondire i fatti storici, ma anche ad agire a Srebrenica. È ormai una parte della mia vita. Nel 2005 nel decennale del massacro ho prodotto e interpretato il documentario Souvenir Srebrenica trasmesso nel giugno 2011 da Rai Uno TG1- speciale il documentario in seguito all’arresto di Ratko Mladic, processato presso il Tribunale penale dell’Aja per crimini commessi in ex-Jugoslavia e oggi condannato all’ergastolo. Tra il 2008 e il 2010 sono stata nominata dal Ministero degli Affari esteri italiano esperta dell’area balcanica di Srebrenica e chiamata a coordinare come responsabile il ‘Progetto pilota a sostegno della comunicazione per lo sviluppo e la rivitalizzazione socioculturale dell’area di Srebrenica’ per conto della Cooperazione italiana- Ambasciata d’Italia a Sarajevo / Bosnia - Erzegovina ».

Srebrenica è diventata spazio e luogo concreto per Biagiarelli.
«Ho contribuito a riaprire il teatro di Srebrenica, una comunità decimata dal massacro. Negli anni dopo la fine della guerra sembrava che si potesse ricominciare, c’era una grande voglia di riprendersi la vita e al tempo stesso fare i conti con quanto era accaduto. In realtà oggi Srebrenica è una città depressa, qualche settimana fa ha chiuso anche l’unico fornaio. È una comunità di poco più di duemila persone, su un’area rurale molto ampia. Oggi poi è guidata da un giovane sindaco serbo, che nega il massacro del 1995, mentre ancora si riesumano le salme dalle fosse comune. In città vivono i serbi, nelle zone rurali invece la comunità musulmana». 

Dal teatro alla realtà e alla volontà di cambiare le cose: questo percorso si è trasformato della Transumanza della pace. Di cosa si tratta?
«Ho avviato un progetto di volontariato e solidarietà insieme all’amico Gianbattista Rigoni Stern (figlio dello scrittore Mario Rigoni Stern) dal titolo La transumanza della Pace; abbiamo consegnato in quattro anni consecutivi di donazioni un totale di 137 vacche di razza rendena a 86 famiglie di allevatori contadini, rientrati profughi sull’Altopiano di Suceska (in municipalità di Srebrenica). Le proiezioni pubbliche del documentario da me realizzato (che racconta il primo anno di consegna degli animali) ci hanno permesso di raccogliere una consistente quantità di libere donazioni con le quali abbiamo acquistato attrezzi agricoli destinati alle famiglie bosniache di agricoltori. Grazie ad altri fondi abbiamo costruito tre stalle e attualmente ci stiamo occupando della formazione del personale veterinario in loco e della progettazione di un caseificio. Il progetto è tuttora in corso e diretto a titolo totalmente volontaristico da Gianbattista Rigoni Stern».

Il teatro che trasforma la realtà, in tutto questo la guerra nell’ex Jugoslavia mantiene per lei una centralità
«Si tratta del mio modo di leggere il tempo che viviamo e di non dimenticare un conflitto da cui dobbiamo partire se vogliamo capire quello che ci accade intorno. In questa direzione va il volume Shooting in Sarajevo che firmo insieme a Luigi Ottani che mostra la città bosniaca e i suoi abitanti dal punto di vista dei cecchini che la terrorizzarono durante il lungo assedio iniziato nel 1992 e terminato 25 anni fa. Un’occasione preziosa per fare memoria». 

Ultima modifica il Sabato, 16 Dicembre 2023 10:35

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