ENRICO SOLO ENRICO - Veda, ciò che conosciamo di noi è soltanto una piccolissima parte di ciò che siamo a nostra stessa insaputa Sono passati venticinque anni dalla chiusura di sipario sulla tragedia Enrico IV di Luigi Pirandello (1922). Un uomo si è autorecluso nella pazzia, la famiglia lo ha sequestrato in una villa isolata dal mondo. Fuori c’è la dittatura fascista, e poi la guerra, e poi la lotta di liberazione, la fine della monarchia e la nascita della Repubblica. Ma “Enrico” sa poco o nulla di tutto questo, perché niente gli è stato possibile sapere. Nella nuova democrazia italiana, una troupe della radio raccoglie le strane storie degli anni bui appena superati. Giunge così fin dentro la villa per registrare la testimonianza di questo curioso signore. Egli racconterà la sua storia finalmente in maniera libera e alla luce di un quarto di secolo di riflessioni. Nasce così il ritratto di un uomo che ha preso coscienza del suo dramma, delle sue colpe e degli errori, ma che ha conservata la bellezza del pensiero, dell’ironia e del gioco: un’identità che si era dissolta, frantumata nella tragedia venticinque anni prima, si ricompone pazientemente dinnanzi agli spettatori, nella volontà di essere sempre e comunque nella vita. Quello di “Enrico” resterà come un grido di speranza verso la possibile ricostituzione di un IO disgregato, ricostruzione che passa attraverso la Parola e il Teatro, attraverso la presa di coscienza della caducità umana e della pietà che può in ogni momento sostenerci. |