giovedì, 28 marzo, 2024
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INTERVISTA a NATALIE DESSAY - di Maria Pia Tolu

Natalie Dessay Natalie Dessay

Natalie Dessay è una cantante lirica francese che è passata nel 2013 dalle scene liriche a quelle teatrali, diventando attrice, in maniera davvero brillante.
Soprano capace di andare fino al «contro la», si è specializzata nei ruoli di «coloritura».
Diplomata al Conservatorio di Bordeaux, formatasi all'Opéra de Paris e al Wiener Staatsoper, ha ricevuto vari riconoscimenti tra cui quello di Cavaliere d'onore. Ha interpretato Lucia di Lammermoor all'Opera di Chicago, la Regina della notte nel Flauto Magico all'Opéra Bastille, La Sonnambula al Metropolitan, La Traviata in Giappone e a Santa Fé, poi recitals alla Carnegie Hall di New-York.
Quindi opera, recitals e poi il passaggio al teatro: debutto con un testo di Roward Barker Und con regia di Jacques Vincey, recita in Légendes d'une vie di Stephan Sweig, messo in scena da Christophe Lindon. Per arrivare al Festival d'Avignon con Certaines n'avaient jamais vu la mer, rappresentato poi a Parigi alla Manufacture des Oeillets. Pièce corale dalle dimensioni epiche con testo potente, dove Natalie Dessay recita alla fine in un monologo originale da vera protagonista.
Un passaggio forse logico, naturale: una cantante lirica che diventa attrice, ma per Natalie Dessay sembra che ci sia qualcosa di più intrigante, una voce angelica che coesiste con una personalità da «strega» come lei si definisce. Queste due caratteristiche così antinomiche e un po' inquietanti non potevano coesistere facilmente nel canto, ma pare che nel teatro abbiano potuto fondersi, coesistere con risultati artistici davvero felici.
Un altro punto a vantaggio del teatro, nella considerazione della personalità artistica di Natalie Dessay, è che l'attrice sente profondamente l'esigenza di essere, all'interno di un gruppo, il tramite di un testo teatrale, il veicolo del pensiero di un autore, mentre, come spiega in seguito, nell'opera i protagonisti sono la musica e lo star-system. Un'artista strega-angelo che trova la libertà d'espressione della creatività nel teatro. Un'artista complessa che rifiuta il divismo e le costrizioni del mondo della lirica, che ha iniziato a teatro con un monologo e vuole concludere la sua carriera d'attrice con un monologo.
Parliamo con Natalie Dessay del suo singolare percorso.

Lei è stata cantante lirica per 30 anni, applaudita dal pubblico e osannata dalla critica: com'è avvenuto questo passaggio dal bel canto al teatro?
Ho sempre voluto fare teatro, è il teatro la cosa che mi piace di più nella vita, quindi sono arrivata al canto proprio a causa del teatro e grazie al teatro. Ho sempre avuto voglia di recitare e quando avevo vent'anni ho pensato che sarebbe stato più facile per me recitare in personaggi come cantante, visto che ero dotata di une voce ben sviluppata. In realtà, però, è stato grazie alla recitazione che sono arrivata al canto. E cosi il canto non è stato un fine, è stato un mezzo.

La lirica l'ha comunque lanciata sulle scene e ha auto un grande successo...
La cosa che più mi interessava era recitare. E se bisognava recitare cantando, andava bene lo stesso.

Come ha vissuto la sua carriera di cantante?
Mi sono sempre sentita frustrata come cantante, beh diciamo, non sempre. Ho anche incontrato registi che mi hanno fatto lavorare molto bene, ma, ripeto spesso mi sentivo frustrata poiché non si può recitare all'opera come in teatro.

E com'era il rapporto con la sua voce?
Un rapporto molto difficile poiché ho sempre pensato di avere une voce d'angelo ma invece mi sento una strega e avvertivo sempre una dicotomia mentre cantavo, qualcosa che non combaciava con la voce che mi era stata donata e la personalità che avevo. In qualche modo cercavo di andare contro questa voce angelica.

Quindi era una cantante lirica molto particolare...
Credo di sì perché avevo una voce molto alta e penso di essere riuscita a fare nella lirica qualche cosa di diverso dal virtuosismo per il virtuosismo. Ma non mi interessava cantare, anche se adoro la musica. Racontare storie: questo è lo scopo della mia vita, dare vita ai personaggi, incarnarli. Nell'opera, invece, viene prima il suono: prima la musica poi le parole (lo dice in italiano, nda) e questo mi innervosiva.

Non si sentiva nel posto giusto?
Dipende, ci sono stati registi che riuscivano a dare una lettura personale e moderna di un'opera, rispettando la musica, e poi altri che erano troppo conservatori e facevano dell'opera un museo, e questo non mi interessava.
In aggiunta a tali importanti fattori di cui lei parla, c'era anche quello dell'età...
A 48 anni non avevo voglia di fare la jeune première ad vitam eternam, ma il mio repertorio è quello e non ci sono ruoli per le donne della mia età, non ci sono ruoli interessanti.

Quindi a 48 anni lei spicca il volo, attua una metamorfosi che dentro di lei era già maturata.
Sì, benché abbia amato questo mestiere devo dire che si vive in continuazione sotto pressione. Inoltre all'opera generalmente si va per vedere, ascoltare una stella, nello specifico, per ascoltare me. E questo non mi piace. Preferisco che si venga a vedere ed ascoltare un testo e il teatro è questo, non si viene per un attore, è molto raro.

Lei ha debuttato in teatro con un monologo di un testo di Roward Barker, conosciuto come autore della crudeltà...
È stata un'esperienza magnifica, un testo molto strano, quasi d'avanguardia, con una scenografia straordinaria costituita da blocchi di ghiaccio intorno a me che fondevano e cadevano in maniera aleatoria ogni volta. Quindi bisognava recitare in funzione di quello che succedeva con questo ghiaccio. E poi è stata un'esperienza geniale rendere mio un testo che mi piaceva molto, pur non comprendendolo... Trovo questo molto interessante: è come la poesia... non si comprende, ma ci parla ugualmente.

Poi c'è stata l'esperienza con un testo classico, Les légendes d'une vie di Stephan Sweig...
In un teatro privato, quello di Montparnasse con una regia molto sobria, una storia con un inizio e una fine e con un'interessante evoluzione del mio personaggio. Ho apprezzato moltissimo stare vicino ad altri attori che sono abituati a recitare insieme e si è rivelata un'esperienza molto positiva.

Poi c'è la pièce di Julie Otzuka Certaines n'avaient jamais vu la mer che denuncia la condizione di milioni di donne giapponesi negli Stati Uniti negli anni Venti: invece dell'Eldorado promesso, trovarono sfruttamento lavorativo e sessuale.
Un testo che ho amato molto, in una pièce collettiva che termina con un monologo: io non ho conosciuto i lager giapponesi per cui mi sono ispirata, per la mia interpretazione, ai lager degli ebrei. Ogni attore per trovare l'ispirazione, si riferisce a quello che conosce.

Ritorniamo un momento alla sua esperienza come cantante, le è stata utile per il teatro?
Sicuramente: so cos'è uno spazio scenico, cosa significa camminare su una scena, proiettare la voce, racontare qualcosa, mettere ritmo, colori, questo so farlo con la stessa facilità con cui respiro. Sono, comunque, due mestieri differenti che non hanno niente a che vedere l'un con l'altro. Bisogna imparare a diventare attore, lavorare sul testo e sul corpo.

Nell'opera, invece, la protagonista è la voce...
Nell'opera ci troviamo in un contesto piuttosto limitativo, stretto. La situazione è data, ritmo e margine di manovra, pure. Quindi c'è minor possibilità creativa, trovo che ci sia meno libertà.

Cosa pensa del teatro francese?
Trovo che in Francia ci sia uno spazio enorme per la «création», per il teatro contemporaneo, per la sperimentazione e ora, cosa che adoro, vado a vedere tutto: teatro privato, sperimentale, one man show, teatro musicale, le cose più differenti possibili fra di loro.

Lei ha in programma anche alcuni recitals...
Sì, sto preparando alcuni recitals su Schubert, Wolf e poi melodie francesi, russe, e commedie musicali.

Pare che questi diversi mondi che lei ha attraversato e attraversa si alimentino l'un l'altro...
Si tratta sempre di raccontare delle storie con le parole degli altri. Io non so scrivere, né creare la mia propria storia. Quindi sono costretta a servirmi delle parole degli altri.

Progetti futuri? Certamente non pensa alla pensione...
Non ci penso proprio. Finché avrò la salute, reciterò. Voglio recitare fino ai miei 80 anni. Il teatro è bello, ci sono ruoli per donne di 80 anni e il mio scopo è recitare Oh, i bei giorni di Beckett che adoro. Ho iniziato la mia carriera con un monologo, così vorrei concluderla, proprio con un monologo.

Maria Pia Tolu

Ultima modifica il Giovedì, 07 Marzo 2019 09:31

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