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Intervista a Valentina Peleggi, giovane realtà della musica classica internazionale. -a cura di Niccolò Lucarelli

Valentina Peleggi Valentina Peleggi

FIRENZE - Durante una pausa dai suoi numerosi impegni internazionali, abbiamo avuto il piacere di conversare con Valentina Peleggi, talentuosa direttrice d'orchestra diplomatasi all'Accademia di Santa Cecilia di Roma, e perfezionatasi a Londra, alla prestigiosa Royal Academy. Accanto al talento, Valentina pone un profondo amore per la musica, la tenacia e l'entusiasmo della gioventù, che la stanno portando a costruirsi una carriera ricca di soddisfazioni.

La direzione d'orchestra è un settore dove le donne sono in forte minoranza. Da donna, ha incontrate difficoltà nell'aprirsi la strada?

Ho trovato un ambiente che, in forte prevalenza, è ancora declinato al maschile. Tuttavia, credo cha tutta l'arte, compresa la musica, sia una forma d'espressione che veicola un messaggio, un'idea, un'emozione. Ognuno di noi si porta dentro qualcosa, e troverei giusto che a tutti fosse data la possibilità di esprimersi. E invece, in Italia ho purtroppo incontrato una certa chiusura da parte di molti esponenti dell'ambiente, che ritengono la direzione d'orchestra un qualcosa di non adatto a una donna; un'opinione sostenuta soltanto da sessismo e pregiudizio, e non tanto sulla base di un vero giudizio di merito. Se da una parte un atteggiamento del genere lascia amarezza, devo comunque dire che per me è stato un motivo in più per essere determinata nel raggiungere il mio obiettivo, nel trovare il mio personale modo di esprimere quel messaggio di cui parlavo all'inizio.

Come è nata, dentro di lei, la passione per questo affascinante mestiere?

La scintilla è scattata quando, da bambina, cantavo nel coro delle voci bianche di Fiesole, e per una coincidenza il mio debutto avvenne in occasione di un'esibizione a fianco dell'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, diretta da Zubin Mehta, con la partitura dei Carmina Burana. Essere davanti al pubblico in una cornice del genere, era già una grande emozione, ma più ancora ricordo di essere rimasta come "folgorata" nel vedere come, semplicemente muovendo la bacchetta, Mehta letteralmente creasse quelle note che sentivo riecheggiare attorno a me, e anche la mia stessa voce si era trasformata in uno strumento diretto da lui. Intuii l'importanza di essere fra il pubblico e l'orchestra, la responsabilità di creare quell'armonia che è scritta sullo spartito, ma nella realtà non esiste. Quell'ebbrezza, da allora me la porto dentro, e nel tempo, da adolescente, ho capito che la musica sarebbe stata la mia strada. Anche se, all'università, mi sono laureata in letteratura. con una tesi sul rapporto fra musica e poesia negli anni Cinquanta.

Relativamente alla musica, qual è stato il suo percorso formativo?

Conclusa l'università, ho frequentato il Biennio di Direzione d'Orchestra all'Accademia di Santa Cecilia, a Roma, e contemporaneamente ho iniziato anche i corsi dell'Accademia Chigiana a Siena. Quest'ultimo è stato per me un ambiente molto stimolante, con insegnanti e studenti da tutto il mondo, e quindi occasione d'incontro e confronto. Sono stati quattro anni molto intensi, importanti per la mia crescita professionale, ma volevo fare di più, e quindi nel 2011 ho sostenuto l'esame d'ammissione per entrare nel programma internazionale di direzione d'orchestra alla Royal Academy of Music di Londra. Conseguito a Londra il Master di perfezionamento, fui scelta per rappresentare l'Academy al Festival do Inverno di Campos do Jordao, in Brasile, dove ho vinto un premio come assistente di direzione nell'Orchestra dello Stato di San Paolo. Un'esperienza che avrebbe dovuto concludersi dopo un mese, e invece il nuovo direttore dell'Orchestra ha dovuto rinunciare per problemi personali, ed è accaduto che venissi scelta al posto suo. Devo dire che in quell'occasione mi sono trovata nel posto giusto al momento giusto. Da allora, lavoro molto in Brasile, anche con l'Orchestra Sinfonica di Porto Alegre.

Un Paese molto diverso dall'Italia, sotto molteplici punti di vista. Che realtà ha trovata?

Ho scoperto un Paese estremamente solare, socialmente aperto, dove mi sono sentita accolta e finalmente non penalizzata dal fatto di essere una donna che vuole dirigere un'orchestra. Mi sono sentita valutata per i miei pregi e difetti, e non sulla base di pregiudizi misogini, a differenza di quanto purtroppo è a volte accaduto in Italia. Inoltre, ho notato che le donne che dirigono un'orchestra sono più numerose che in Italia, così come le donne che suonano strumenti nelle orchestre.
E poi, quello brasiliano è un popolo letteralmente affamato di cultura, che è vista come una parte importante della vita quotidiana. Uomini, donne, bambini, ragazzi, anziani, tutti vanno a teatro, e frequentano con interesse le gallerie e le mostre d'arte. Per loro, portoghesi di origine, confrontarsi con l'arte antica europea è un modo per ritrovare le loro radici, mentre l'arte contemporanea è una strada che si apre verso il futuro. C'è, insomma, molto dinamismo, e San Paolo, la città che conosco meglio, è molto cosmopolita, il che la rende sicuramente interessante. Qualcosa di simile lo ritrovo a Londra, dove lavoro come assistente di Marin Alsop. A parte la città in sé, è bello vedere come le stesse orchestra si aprano al pubblico organizzando prove aperte, momenti d'incontro, soprattutto per i giovani e le famiglie con i bambini, un modo per avvicinare tanta gente alla cultura, e anche per formare cittadini migliori.

Vivere a lungo all'estero è sicuramente formativo, eppure non sente, a volte, l'amarezza per aver dovuto lasciare l'Italia?

Lavorare all'estero, vivere in un altro Paese, è sicuramente un'esperienza che aiuta ad ampliare le proprie conoscenze e prospettive, però, in fondo all'animo, resta l'amarezza di non poter lavorare a tempo pieno in Italia, che è comunque il Paese dove sono nata e cresciuta, ma dove purtroppo si trovano ancora molte porte chiuse. Ci sono comunque anche le esperienze positive, come la direzione del concerto ufficiale per i festeggiamenti dei cento anni di Rita Levi Montalcini, nel 2009, e, nel 2015, il debutto con l'ORT-Orchestra della Toscana, e la direzione del Festival per i 150 anni di Firenze Capitale. Sono purtroppo occasioni sporadiche, ma dentro di me conservo la speranza di poter un giorno lavorare con continuità nel mio Paese. Anche perché, non è facile vivere a lungo lontano da casa, anche per una questione puramente affettiva, dovendosi lasciare alla spalle famiglia e amicizie.
Comunque sia, guardando al futuro, ho davanti agli occhi un percorso che si sta formando, e il 2016 sarà un anno molto intenso, con impegni a Londra, in Sud America, e negli Stati Uniti.

Lei è sostenuta da una grande passione, e una profonda concezione del suo ruolo. Cosa prova, quando dirige un'orchestra?

Il direttore non è semplicemente qualcuno che muove una bacchetta davanti ai musicisti, ma è anche e soprattutto il tramite fra questi e il pubblico, e deve saper far arrivare le emozioni delle note a tutti coloro che sono seduti in sala, come se scaturissero dall'anima di ognuno di loro, e fargliele sentire come proprie. Se il direttore in questo dà il massimo, il pubblico lo percepisce, e allora s'instaura un feeling molto bello, che dà grande emozione. Appena salgo sul palco, e prendo poto davanti al podio, percepisco chiaramente l'attesa del pubblico, e quando risuona la prima nota, sento appunto la responsabilità di dar forma, nel modo più intenso possibile, a quanto scritto sulla partitura. È come se dovessi creare un'alchimia fra queste note, l'orchestra che le suona, e il pubblico che le ascolta, e che a sua volta fa sentire con energia la sua presenza.
Si tratta di un dialogo che si accende come per magia, e ogni volta si tratta di un'emozione unica.

Ultima modifica il Mercoledì, 04 Novembre 2015 16:28

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