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(LONDRA) "Nuclear War", di Simon Stephens, regia Imogen Knight. -a cura di Beatrice Tavecchio

Maureen Beattie in "Nuclear war", regia Imogen Knight. Foto Chloe Lamford Maureen Beattie in "Nuclear war", regia Imogen Knight. Foto Chloe Lamford

Nuclear War
di Simon Stephens
Regia di Imogen Knight
Con Maureen Beattie
Royal Court Theatre, 19 aprile - 6 maggio 2017

Simon Stevens, premiato autore di The Curious Incident of the Dog in the Night-Time autore del copione per Obssession per citare due dei suoi lavori attualmente in scena a Londra, artista associato al Lyric Theatre di Hammersmith e Scrittore Associato al Royal Court, non è certo alle prime armi, così come non lo è la regista del suo spettacolo, Imogen Knight, di cui ricordo la regia di Linda.
L'alta aspettativa per questo nuovo spettacolo dalla forma ridotta, 45 minuti, dato nel teatro studio del Royal Court, il Jerwood Theatre Upstairs, è stata delusa. Non tanto dalla brava interprete Maureen Beattie che ha dato vita tangibile, per quanto possibile, al soliloquio, ma dal contenuto di non difficile lettura ma dai confini nebbiosi e ridondante di generalizzazioni. Il tema è intimo: una donna che ha perso il compagno sette anni prima e che tenta di risollevarsi alla vita, mentre ricorda. Sono proprio i ricordi che sono semplicisticamente trattati. Il tema del trascorrere del Tempo viene analizzato prendendo come misura l'arresto in un orgasmo del Tempo per asserire la sua staticità, per poi negarla dichiarando che non è vero, dato che si ricordano passati incontri e che si hanno desideri per il futuro dettati da legami precedenti o dalle nostre voglie. La dichiarazione che si è definiti da ciò che si ricorda e da ciò che si desidera lascia altrettanto dubbiosi perché il discorso s'incaglia, asserisce, ma non spiega, non approfondisce.
La regista Imogen Knight fa del suo meglio con questo filo diafano di pensiero e fa agire il personaggio della donna dandogli tristezza e pena di vivere, come spezzata all'interno dalla tragedia della morte, da cui il titolo, penso, di Guerra Nucleare, interna. Circonda la protagonista con quattro figure in abiti neri, coro, ombre tragiche, che echeggiano il suo dolore con frasi sussurrate o urlati canti tribali e con azioni coreografiche a supporto del suo vagabondare sulla scena. Ma anche il simbolismo dell'azione straripa nell'artificioso e fin nel ridicolo quando le figure in balaclava mangiano grottescamente mandarini spruzzando succhi e semi tutt'intorno a dimostrazione della frase dell'interprete che allude ad un profumo di mandarini.
In conclusione, una scrittura deludente che offusca le previsioni di potenziali capacità di questo autore e che fa fare alla regista e all'interprete salti mortali per rappresentarla.

Beatrice Tavecchio

Ultima modifica il Domenica, 30 Aprile 2017 12:30

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