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FESTIVAL PRIMAVERA DEI TEATRI DI CASTROVILLARI. Nuovi linguaggi della scena contemporanea XIX Edizione dal 27 maggio al 2 giugno 2018.- di Gigi Giacobbe

Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari 2018 Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari 2018

Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari. Nuovi linguaggi della scena contemporanea XIX Edizione dal 27 maggio al 2 giugno 2018.-

Sei ragazzini che corrono e si ruzzolano felici in discesa lungo una montagna di sabbia gialla lasciandosi dietro sbuffi di polvere è la foto del cinese di Macao Tak Cheon Pun, diventata il manifesto della XIX edizione del Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari diretto con immutato entusiasmo da Settimio Pisano, Saverio La Ruina, Dario De Luca. Presaga quasi (la foto) dei primi due spettacoli cui ho assistito nel giorno del mio arrivo nell'accogliente cittadina calabrese abbracciata dal Monte Pollino e da un bel Castello Aragonese di età tardo-Medievale.

la buona educazione PDT2018 dammacco foto angelo maggio P1470197

La buona educazione è il titolo del primo, ideato drammatizzato messo in scena nella Sala Consiliare da Mariano Dammacco e interpretato in maniera solipsistica da una strepitosa Serena Balivo, stranamente somigliante a una giovane Gertrude Stein, che si muove su uno spazio scenico architettato dallo stesso Dammacco e Stella Monesi e tappezzato da capoc nero, avendo attorno cianfrusaglie bric-a-brac e una serie di rudimentali pupazzi di legno. La donna all'inizio se ne sta pesantemente distesa sul divano, parla con i fantasmi dei suoi genitori, poi in piedi comunica attraverso una cassetta illuminata da lampadinette, sul cui piano più alto c'è un supporto metallico e una lente d'ingrandimento che le deforma il viso. Nottetempo riceve una chiamata in cui le si dice che è morta la sorella e che dovrà prendersi cura del nipote ancora in età scolare, quando pensava che le sarebbe piaciuto vivere da sola, mentre adesso dovrà calarsi nel ruolo di genitore, il mestiere più antico e difficile del mondo. Il ragazzino, che non si vedrà mai, è un tipetto difficile, ha problemi con cibo, non vuole andare a scuola, beve solo coca cola e gioca al buio per lunghissime ore alla play station. La donna cerca di smollarlo da quella postazione passiva, non riuscendo in alcun modo ad interessarlo a niente. Un qualche successo lo avrà quando gli chiede quali sono i suoi progetti futuri ricevendo come risposta che vorrà frequentare l'Istituto Tecnico Odontoiatrico, rimanendo basita, la donna, allorquando il ragazzo le dirà che prova interesse (finalmente) verso una tale Annette, che non è la figlia d'un rivenditore di strumenti elettrici, ma il nome d'una costosissima lampada che tuttavia farà avere al nipote. Vi chiederete come finisce questa storia. Che il tribunale dei minori toglierà alla donna il ragazzo, che per ben quattro volte aveva telefonato di nascosto a quella struttura comunicando la sua infelice condizione, per essere infine affidato ad un istituto di competenza. Punto.

brandi orrico foto angelo maggio

Il secondo spettacolo del polacco Tomasz Man che ha come titolo tre numeri uno di fila, 111, diretto al Teatro Vittoria da Emilia Brandi, ruota attorno ad una famiglia di quattro persone che parlano senza enfasi e senza ascoltarsi: faccia al pubblico il padre e la madre (Ernesto Orrico e Emilia Brandi), dentro una bagnarola d'alluminio il figlio (Marco Aiello) all'apparenza andicappato in grado però di muoversi e stendersi sotto una panca di legno centrale, sopra la quale se ne sta la figlia (Ada Roncone) che smania in accappatoio arancione. I genitori raccontano con brevi frasi all'imperfetto indicativo la vita del figlio, i giocattoli con cui giocava, le scuole frequentate, il suo mutismo in famiglia, le sue preferenze per i soldatini e le armi, presaghi dell'assassinio nei loro confronti senza che gli venga poi diagnosticata alcuna infermità mentale, d'altronde non aveva chiesto lui di venire al mondo. Performance tagliente, perturbante, specchio d'una società alla deriva che inerme assiste alle tante tragedie del nostro mondo.- Questo spettacolo come altri due che vedremo più avanti (Confessioni di un masochista e Extremophile) fanno parte del progetto triennale Europe Connection che si impegna nella promozione e diffusione della nuova drammaturgia europea in Calabria. In pratica, ogni anno, tre testi di autori europei verranno messi in scena da compagnie calabresi, nell'ambito di residenze teatrali che consentiranno agli artisti di lavorare direttamente con gli stessi autori, creando importanti sinergie e scambi culturali. Gli spettacoli saranno poi messi in scena, in prima nazionale, giusto durante il Festival.

benedetta teatroincontro foto angelo maggio P1470783

Occupiamoci adesso di Benedetta di Mimmo Sorrentino che ne ha curato pure la regia. Trattasi d'una rappresentazione a tinte forti attorno ad una storia vera che ha per protagonista una detenuta con questo nome e che sulla scena ci viene restituita da un "doppio" di due giovani donne, Federica Ciminiello e Margherita Cau, anche loro detenute per reati associativi prossime alla scarcerazione. Certamente c'è in loro una certa naïveté scenica, ma ciò che dicono, con quelle espressionistiche torce accese sul viso, fa venire la pelle d'oca, costrette sin da ragazzine a vivere all'interno di case tuguri dove l'aria è pesante e l'ossigeno che si respira ha il sapore dello zolfo, all'interno delle quali abitano famiglie alternative, governate da padri-padroni o da fratelli in odore di mafia e dove ognuno fa quello che gli pare senza regole e senza direttive. Non parlano delle loro esperienze in carcere le due donne, forse perché tra quelle mura la vita avanza come un'altra morte, quanto piuttosto delle loro vissuto, cui può capitare d'assistere ad un omicidio in un bar, vedere il corpo dell'ucciso giacere in strada senza che nessuno s'avvicini per dargli aiuto; raccontare dei primi amori, dei figli che arrivano numerosi, dei compagni condannati all'ergastolo, degli incontri in carcere durante i giorni di ricevimento, accennando il come sono finite in galera loro stesse senza specificare il perché e riferendo qualcosa degli avvocati che le hanno difese. Adesso sono lì sul palcoscenico del Teatro Sybaris Federica e Margherita, in permesso straordinario, motivato dalla "necessità" di fare teatro, diventata una cosa urgente come andare dal medico o presenziare a un funerale. Si sa che non hanno ucciso nessuno, non sono pentite e neppure collaboratrici di giustizia. Adesso aspettano solo d'essere scarcerate e intraprendere il lavoro di attrici.

confessioni di un masochista aiello rossosimona foto angelo maggio P1470859

Confessioni di un masochista è uno spettacolo scritto da Roman Sikora, un autore di Praga che rientra, come accennavo prima, nel progetto Europe Connection, ed è la storia d'un tale Signor M interpretato da Francesco Aiello pure regista, che cerca la felicità attraverso il dolore. Il personaggio appare spesso sul proscenio vestito di grigio come un tipico impiegatuccio, avendo ai lati due nerboruti giovanotti in pantaloni e gilet neri, torace e braccia nudi e borchia al collo (Alessandro Cosentini e Francesco Rizzo) autentici seguaci di Masoch che si esaltano anche quando in chiusura sbattono a terra un pupazzo con la faccia di Gramsci. Il Signor M è un tipo complicato e non è come gli altri che vogliono realizzarsi nella vita e nel lavoro. Lui vuole soltanto soffrire, non solo con le frustate di chi gli è accanto passionalmente, ma anche al lavoro quando il suo capo lo bullizza o quando deve lavorare duramente per uno stipendio da fame, respingendo chi possa difendere i suoi diritti. Le sue stranezze si manifestano pure quando ottenuta l'assistenza sociale ne chiede poi l'abolizione o quando chiede orari più lunghi di lavoro con salari più bassi o quando sconfiggendo un contendente cinese alle Olimpiadi delle Risorse Umane, riceve riconoscimenti pubblici rifiutando l'invito al club del ministro delle finanze della Repubblica ceca Miroslav Kalousek. Credo tuttavia che il vero masochismo di cui parla il paradossale lavoro di Sikora sia l'atteggiamento di tantissimi individui che accettano passivamente le avversità morali e psicologiche della vita.

amleto take away berardi foto angelo maggio P1480169

Con Amleto take away, come dire un Amleto da asporto, scritto e interpretato da un indiavolato Gianfranco Berardi, assistito, guidato e coccolato dalla sua Gabriella Casolari si ha l'impressione di fare un acrobatico giro sulle montagne russe per cui devi tenerti da ogni parte per non cadere in basso e senti il cuore che t'arriva in gola quando lo vedi entrare in scena tenendosi legato come un Cristo ad un banner rosso. Quando poi inizia a profferire verbo le sue parole ti fanno sussultare l'anima perché da non vedente vede anche ciò che non esiste. "Imparati un mestiere" - gli dicevano i genitori - "Perché il Teatro è un lavoro da scemi, una fesseria perché ti fa patire". Ed eccolo invece entrare nei panni del bel tenebroso di Elsinore, mostrarsi con una maglietta dell'Inter con su scritto Amleto e il numero 9 da centravanti, facendo subito gol quando parla di suo padre che lavorava all'Ilva di Taranto e mima i movimenti che faceva a tavola quando con una mano mangiava e con l'altra sfogliava il fumetto di Tex Willer. Quel paramento rosso e una panca gli servono pure per ballare un valzer giocando con la sua cecità, conscio che essere è il vero problema e che apparire nasconde la paura di sparire, in sintonia con Amleto principe del dubbio e dell'insicurezza. Sudato oltre misura indossa poi una sottana bianca facendo il verso ad Ofelia, alla quale dice che non l'ha mai amata e che può andarsene tranquillamente in convento, non provando più per lei alcun senti-mento. Il mondo virtuale di Facebook lo fa impazzire perché le chat su Messenger, Whatsapp, Skype perdono di leggerezza e di spontaneità lasciando il posto alla menzogna e al tradimento. Tutto diventa il contrario di tutto. Anche il linguaggio diventa più sofisticato e più mistificante: le guerre diventano missioni di pace e le banche istituti che regalano soldi mentre la gente s'impoverisce sempre di più. Giochicchia Berardi col padre anche quando gli dice che Beethoven è non vedente come lui, "tanto che vuoi che ne sappia lui della sordità del musicista", trovando dei momenti di commozione quando pensa ad Yorik che da bambino lo portava sul dorso, in un mondo certamente non suo ma che in qualche modo gli appartiene, uscendo di scena così come apparso all'inizio.

calcinculo babilonia teatri  foto angelo maggio P1480361

La Babilonia Teatri ha presentato Calcinculo di e con Enrico Castellani, affiancato da Valeria Raimondi nelle vesti di cantante su musiche di Lorenzo Scuda. Uno spettacolo provocatorio sin dalle prime battute, da quando Castellani comincia a dire che ha deciso di smettere di fare teatro perché nessuno più ne parla e nessuno più ci va, desiderando solo che qualcuno gli affidi la direzione d'un Teatro perché lui saprebbe come farlo funzionare: con l'affidare intanto l'ufficio stampa nientemeno che all'Isis, lui stesso ne farebbe parte assieme a tutti i suoi collaboratori, diventando il suo teatro una cellula esplosiva, rafforzando la dose quando dice che i terroristi islamici sono dei grandi uomini di spettacolo. Una sorta di farneticante monologo, per niente strampalato, acquietato dal direttore di scena Luca Scotton che gli piazzerà intorno per sicurezza una sfilza di estintori, mentre sul fondo scena sventoleranno una filiera di bandiere dell'antica Repubblica Veneta e gli spettatori assisteranno ad una Mostra canina i cui costosi esemplari sfileranno sotto il proscenio tenuti al guinzaglio o in braccio dai propri padroncini e in chiusura potranno godere d'un bel coro di vecchi alpini, centro di gravità permanente.-

sei e dunque perchè si fa meraviglia di noi PDT2018 fortebraccio

Non c'è Roberto Latini in scena per il suo Sei, cui fa seguito: E dunque, perché si fa meraviglia di noi? Un testo che si rifà ai Sei personaggi pirandelliani, con il solo PierGiuseppe Di Tanno in scena somigliante all'inizio a quello stilita nel film Simon del deserto di Luis Buñuel, solo che qui il personaggio non è appollaiato su alta colonna di pietra, ma su una struttura rettangolare di metallo non più di due metri, indossando lucidi fuseaux neri, una canotta bianca e una maschera da zanni al volto. Una scrittura scenica intelligente, quella di Latini, in grado di destrutturare l'opera pirandelliana, smontarla in tutte le sue parti, dando voce al capocomico e largo spazio al padre alla bambina che affogherà in una vasca e al giovinetto che si sparerà alle tempie, distante invero da tutte quelle messinscene che vedono la figliastra ridacchiare istericamente e la madre piangere come sotto la croce del Cristo. Suda Di Tanno, strizzando la sua maglietta come uno strofinaccio inzuppato d'acqua, illuminato da luci lunari (quelle di Max Mugnai) con alcuni bagliori di rosso, dipingendo una scena metafisica e surreale. Sono due le parole chiavi dello spettacolo: "finzione" e "realtà", senza sapere dove inizia l'una e finisce l'altra. Un'ambiguità che s'avverte in un ogni momento dove il Sei potrebbe essere la seconda persona del presente indicativo del verbo essere con la frase che segue e che caratterizza uno spettacolo attraente, sino a quando nel finale vira verso la pop art con Di Tanno che indossa una giacca bianca, si esprime in inglese con le parole dell'Amleto shakespeariano, poi denudandosi entra all'interno di quel rettangolo metallico simile ad una bara o una vasca da bagno, guarnita d'un telone di plastica, venendo poi investito da una macchina lancia milioni di bolle e bollicine saponose, mentre echeggiano musiche da commedia broadwayana. Sarà interessante seguire nelle prossime settimane al Napoli Teatro Festival lo spettacolo di Scimone-Sframeli con lo stesso titolo Sei, ruotante attorno ai Sei personaggi pirandelliani.-

essere bugiardo la corte ospitale foto angelo maggio P1490022

Essere bugiardo di Carlo Guasconi (Testo vincitore dell'11° Premio Riccione Pier Vittorio Tondelli) nell'eccellente messinscena di Emiliano Masala, racconta in tre momenti, quante sono le tre tapparelle che si aprono nella scena di Giuseppe Stelato, ciò che vive un padre cui gli è morto un figlio in giovane età (Carlo Guasconi) durante un incendio e ciò che prova un marito nell'accudire una moglie ( Mariangela Granelli) in ospedale, malata di cancro, prossima alla morte. Massimiliano Speziani nel ruolo di padre e marito, rimasto solo in casa parla con i fantasmi dei suoi cari. Non può non vuole liberarsi delle loro presenze. Chiacchiera come se fossero ancora vivi volgendo con viva apprensione lo sguardo verso di loro. Gli rimangono solo i ricordi e le parole dette e non dette. Vorrebbe suicidarsi con un colpo di pistola ma non lo fa. La solitudine l'uccide giorno dopo giorno. Diventa bugiardo per ricostruirsi la sua verità e le bugie diventano uno scudo per affrontare più agevolmente il dolore e l'angoscia che l'assale in ogni momento. Mentire per stare meglio. Non sappiamo quante settimane-mesi-anni dura questo suo status depressivo, fatto è che alla fine lo si vede nell'atto del pescare con la sua canna, non si vedono più moglie e figlio, forse è guarito, mentre echeggiano, con la voce di Gino Paoli, le note de Il cielo in una stanza.-

extremophile saverio tavano  foto angelo maggio P1490229

Non convince Extemophile della rumena Alexadra Badea (terzo spettacolo di Europe Connection) con la regia di Saverio Tavano perché la storia che si racconta è confusionaria e farraginosa. Il titolo allude ad un microbo che sopravvive in condizioni proibitive con capacità di adattarsi in ambienti ostili a qualsiasi essere vivente. Tre i personaggi dello spettacolo (Andrea Naso, Filippo Gessi, Emanuela Bianchi) i cui visi s'imprimono ingigantiti su uno schermo;: il primo è un politico gay che cerca di fare pace col suo amante, il secondo è un pilota di droni militari che bombarda una città del Medio Oriente, la terza è una giovane scienziata che lascia la carriera universitaria per abbracciare una carriera più danarosa al soldo di alcune multinazionali.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Venerdì, 08 Giugno 2018 16:42

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