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ROMEO E GIULIETTA - coreografia Kenneth MacMillan (2016-2017)

Alessandra Ferri e Herman Cornejo  in "Romeo e Giulietta", coreografia Kenneth MacMillan. Foto Brescia e Amisano, Teatro alla Scala Alessandra Ferri e Herman Cornejo in "Romeo e Giulietta", coreografia Kenneth MacMillan. Foto Brescia e Amisano, Teatro alla Scala

Balletto in tre atti
Coreografia di Kenneth MacMillan
ripresa da Julie Lincoln.

Musica di Sergej Prokof'ev.
Scene di Mauro Carosi. Costumi di Odette Nicoletti. Luci di Marco Filibeck.

Con: Roberto Bolle, Misty Copeland, Herman Cornejo, Alessandra Ferri, Timofej Andrijashenko, Nicoletta Manni, Gabriele Corrado, Marta Romagna, Claudio Coviello, Martina Arduino, Vittoria Valerio e il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala diretto da Frédéric Olivieri.
Produzione Teatro alla Scala. Orchestra del Teatro alla Scala. Direttore: Patrick Fournillier.
MILANO, Teatro alla Scala, dal 20 dicembre 2016 al 19 gennaio 2017

www.Sipario.it, 2 febbraio 2017

Le passionali modulazioni artistiche di "Romeo e Giulietta" alla Scala

Nel 1965 per la prima volta il palco del Teatro alla Scala ospitò il balletto Romeo e Gulietta di Sergej Prokof'ev nella versione coreografica di Kenneth MacMillan con due interpreti che segnarono inequivocabilmente il corso storico delle scene coreutiche internazionali: Margot Fonteyn e Rudolf Nureyev. Dopo un trentennio il ruolo di Giulietta dipinto dal coreografo scozzese godette a lungo della preziosa presenza di Alessandra Ferri che infiammò di corroborato ardore le scrupolose scelte dei ballettomani milanesi fino al 2002, allorquando l'amata danzatrice indossò per l'ultima volta alla Scala - in quel momento in scena al Teatro degli Arcimboldi - i panni della giovane protagonista veronese.
Una traccia, questa, che permase a lungo nella storia scaligera del titolo shakespeariano e che in occasione dell'apertura della nuova stagione di balletto del Piermarini, nella serata di Gala del 31 dicembre, è tornata a consacrare la stella della danza quale indimenticata Giulietta. È questo il dono più grande che il teatro milanese riserva per chiudere il 2016 e per omaggiare colei che è universalmente riconosciuta come una delle più importanti ballerine drammatiche del nostro tempo. Un personaggio, quello di Giulietta, che ha attraversato la carriera di Alessandra Ferri finanche nell'addio alle scene al Metropolitan di New York al fianco di Roberto Bolle e che oggi seguita a segnare l'interessantissimo lavoro di studio e approfondimento artistico della ballerina milanese nelle plurime e prestigiose scene internazionali.
Alla Scala la Giulietta di colei che nel 1992 divenne Prima Ballerina Assoluta continua a palesare considerevole levatura in ogni sfumatura, in ogni piccolo e fugace istante capace di donare l'architettura consona al ruolo. I fanciulleschi moti dell'animo - nella seconda scena del primo atto -, le articolate e soavi scritture coreografiche - nella quarta scena del primo atto -, i passionali afflati d'amore - nella sesta scena del primo atto e nell'apertura del terzo atto -, i tragici rilievi che attraversano e preludono alla nefasta conclusione dell'opera vivono, con la ballerina tragédienne, di quella imprescindibile consapevolezza e tessitura di pensiero che di rado albergano con preponderante abbondanza nelle interpreti delle scene coreutiche. È un pregio di assoluto rilievo, questo, che definisce e manifesta le superbe doti attoriali di Alessandra Ferri ulteriormente corroborate in questa pregevole opportunità. L'arioso apogeo interpretativo è raggiunto nella prima scena del terzo atto, nella camera da letto, in quel solenne e immobile momento in cui Giulietta vive in solitudine il lacerante dissidio interiore: segmento del balletto, questo, che trova spazio, com'è noto, nella copertina dell'ultimo numero dell'anno di Sipario dedicata, per l'appunto, al ritorno scaligero della danzatrice milanese.
Il suo Romeo è l'aitante Herman Cornejo, Principal dell'American Ballet Theatre al debutto alla Scala, capace di restituire il vigore, l'impeto e l'irrazionale élan d'amour del giovane veronese. Egli elargisce floridamente da vero attore donando spessore drammaturgico al ruolo e non privandolo di disinvoltura, risolutezza e virilità. Struggente il grido finale con la sua Giulietta, nella cripta della famiglia Capuleti, intervallato dai credibili ma vani tentativi di rianimare la sua amata in una danza che diviene estremo e disperato atto d'amore nonché autentico dono di sé.
Alla Scala questo straordinario Capodanno è salutato da entusiasmo, emozione, gratitudine ed intima partecipazione in una performance annoverabile, anch'essa, fra i memorabili momenti della storia ballettistica del teatro milanese.

Protagonista indiscussa, nelle recite di apertura, l'étoile Roberto Bolle: raffinato conoscitore del titolo, nei panni di Romeo alla Scala fin dal 1995, è intenso, spigliato e ricolmo di armoniosa passionalità. La risolutezza che Bolle palesa nelle reiterate lotte guadagna l'auspicato equilibrio nella lievità e spensieratezza che Romeo condivide con Mercuzio e Benvolio. In questa bilateralità si inscrivono le abilità dell'interprete che, con soppesata accortezza, modula le soavi e determinate condivisioni d'amore in una esecuzione che si riconferma, ogni volta, di prima grandezza. Convincenti gli sviluppi interpretativi che preludono alla decisione di vendicare la morte di Mercuzio come pure l'afflizione davanti alla disperazione di Lady Capuleti. Pieno e intenso lo spessore emotivo che concede al suo Romeo nella chiusa della sua vita terrena in quel tetro luogo in cui egli vuole porre "riposo eterno e scuotere dalla carne stanca del mondo il giogo delle stelle infauste".
Inedita, alla Scala, la Giulietta di Misty Copeland, principal dell'American Ballet Theatre, al suo debutto al Piermarini. Di vivace innocenza dipinge una Giulietta abile nel vivere il trasporto amoroso quantunque talvolta non archetipicamente incorniciata nei cardini del ruolo: un profilo, questo, che offre l'opportunità di consegnare singolari - e, in quanto tali, unici e preziosi - contorni alla giovane amante veronese. Denso, vivido e tecnicamente valido l'apicale pas de deux che chiude il primo atto e capace di suggellare, nella pregevole struttura coreografica di MacMillan, una credibile danza d'amore.

In una delle recite conclusive, nel ricco alternarsi di interpreti scaligeri, siamo tornati ad apprezzare una nuova partnership: Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko. Lei, prima ballerina ben nota al pubblico meneghino per le sue salde doti tecniche, conferisce alla sua Giulietta precisione nell'ossatura coreografica del primo atto con arabesques, attitudes, pirouettes e ports de bras di prim'ordine. Delicata e lieve nelle modulazioni interpretative del terzo atto, il ruolo vive di drammaticità determinata e sapientemente bilanciata.
In debutto il suo avvenente Romeo, convince la variazione del primo atto accompagnata al mandolino da Giulietta. Un personaggio in fieri che con Andrijashenko disvela intraprendenza, leggerezza, fierezza - nel primo e secondo atto - e in un preciso sentiero di sviluppo - nel terzo - che senza alcun dubbio conquisterà piena consapevolezza nelle future riprese del titolo. I giovani scaligeri, in definitiva, palesano una condizione ineludibile: "entrambi sono stregati dalla malia degli sguardi", la loro è una simbiosi emotiva mai fallace.

Sebbene questa versione dell'opera shakesperiana converga le direttrici della vigoria scenica preponderantemente sulla coppia dei protagonisti, è altresì vero che gli altri personaggi manifestano un rilievo significativo in alcuni momenti del balletto con particolare incisività nel secondo atto. Sotto questo rispetto è da segnalare il ruolo di Mercuzio con gli agili guizzi di Antonino Sutera e la vigorosa incisività drammatica di Walter Madau; il personaggio di Tebaldo che con Mick Zeni rivive di potente e plausibile tracotanza; il ruolo di Benvolio con la fedele complicità di Christian Fagetti; i laceranti moti di Caroline Westcombe nei panni di Lady Capuleti e la trascinante gaiezza di Valerio Lunadei nella danza con i mandolini.
L'apertura della stagione di balletto del Teatro alla Scala si staglia secondo tali prospettive riconfermando, con questo titolo, l'irrinunciabile e prezioso ricorso al plurimo repertorio scaligero.

Vito Lentini

Ultima modifica il Lunedì, 13 Febbraio 2017 01:21

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