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SERATA COREOGRAFI CONTEMPORANEI – coreografie di Christopher Wheeldon, Goyo Montero, Krzysztof Pastor

Rebecca Bianchi e Claudio Cocino in "Bolero" di Krzysztof Pastor. Foto Fabrizio Sansoni, Opera di Roma Rebecca Bianchi e Claudio Cocino in "Bolero" di Krzysztof Pastor. Foto Fabrizio Sansoni, Opera di Roma

Coreografie: Christopher Wheeldon, Goyo Montero, Krzysztof Pastor
Interpreti: Alessandra Amato, Rebecca Bianchi, Alessio Rezza, Claudio Cocino, Michele Satriano, Federica Maine, Marianna Suriano, Giacomo Castellana
Within the Golden Hour
Musica: Ezio Bosso, Antonio Vivaldi. Coreografia: Christopher Wheeldon. Costumi: Anna Biagiotti. Luci: Peter Mumford
Chacona
Musica: Johann Sebastian Bach. Coreografia: Goyo Montero. Scene e Costumi: Verena Hemmerlein, Goyo Montero. Luci: Nicolás Fischtel, Goyo Montero. Vincenzo Bolognese, violino solo;
Enrica Ruggiero / Fabio Centanni 21 settembre, pianoforte; Sergio Segato, chitarra.
Bolero
Musica: Maurice Ravel. Coreografia: Krzysztof Pastor. Scene e Costumi: Tatyana van Walsum. Luci: Bert Dalhuysen.
Étoiles, Primi ballerini, Solisti e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma. Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
La recensione si riferisce alla Prima di 19 settembre 2023, presso il Teatro Costanzi di Roma

www.Sipario.it, 25 ottobre 2023

Al Teatro dell’Opera di Roma, tre differenti declinazioni di balletto contemporaneo attraverso i segni d’autore di Christopher Wheeldon, Goyo Montero, Krzysztof Pastor: una serata di raffinata composizione, sostenuta dal vivace affiatamento tra gli interpreti del balletto capitolino diretto da Eleonora Abbagnato. 

Ad aprire la serata, Within the Golden Hour, gioiello coreografico firmato da Christopher Wheeldon nel 2008 (originariamente per il San Francisco Ballet, poi ripreso anche per il Royal Ballet di Londra), sulle note dell’indimenticato Ezio Bosso e con avvolgenti tracce vivaldiane. Autore dalla fama consolidata, acclamato per creazioni di balletto narrativo così come per musical di successo, Wheeldon rivela qui un lirismo di intima ispirazione, che congiunge la quieta armonia delle linee accademiche con il mutevole sentimento contemporaneo. L’”oro” del titolo è quello che colora gli attimi brevi d’aurora e crepuscolo, ma anche quello che veste di luce gli impalpabili tessuti delle coppie danzanti. Ombre sottili, alternatamente leste e poi placide, si stagliano su uno scenografico cielo, che s’accende tra le sfumature del giallo del rosso e del blu. Sono scene di vita, di incontri e di addii, immortalati in una fuggente, eppure eterna, golden hour. Nell’astratto scorrere del disegno, Wheeldon non rinuncia alla sua vocazione al racconto, lasciando al suo impeto creativo il compito di universalizzare “schizzi” di quotidianità e d’amore. Non soltanto “impressioni” di luce o giochi di linee, ma dialoghi e monologhi dell’animo umano alle prese con il chiarore e le ombre del giorno, di fronte ad un tempo che scorre lieto e feroce: ore frementi verso un finale “aperto”, pronto a far ripartire gli uomini e il mondo. 

La fascinazione del brano di Wheeldon si condensa qui in una peculiare chiarezza estetica, tra linee classiche che si spezzano in angoli e curve, come ad accogliere il sopraggiungere di sentimenti nuovi, attutiti in istanti di delicato abbandono. Al centro del palcoscenico, dopo un fulmineo inizio su archi irrequieti, si avvicendano quattro coppie, protagoniste di storie e attitudini differenti, espresse attraverso suggestioni coreografiche opposte. Federica Maine e Alessio Rezza intrecciano ricordi su un valzer “pizzicato”, Alessandra Amato e Claudio Cocino si abbandonano melodiosamente al crepuscolo, Simone Agrò e Giacomo Castellana si sfidano e si rispecchiano, rapidi e appuntiti come frecce. Rebecca Bianchi e Michele Satriano, infine, si allacciano candidamente, fragili e forti come anime predestinate. Abili i nostri interpreti – étoiles, primi ballerini, solisti del Teatro, a cui si aggiungono in ensemble Sara Loro, Marta Marigliani, Flavia Stocchi, Marianna Suriano, Walter Maimone e Valerio Marisca – a dare un nuovo volume allo stile cristallino di Wheeldon, innestandovi un caratteristico fervore che, a nostro parere, ne impreziosisce gli esiti. Perfetti i costumi di Anna Biagiotti e le luci di Peter Mumford.

Prosegue, il programma, con la Chacona di Bach nella versione coreografica del madrileno Goyo Montero, già premiato interprete in Germania, poi anche direttore dal 2008 del Balletto di Norimberga e coreografo residente, a Cuba, di Acosta Danza. Montero porta in scena un folto gruppo di interpreti (sedici in tutto, tra uomini e donne) e magistralmente li dirige nello spazio scenico tra canoni, sincronie e contrappunti di notevole varietà visiva. In un pezzo in cui firma praticamente tutto – sono sue e di Verena Hemmerlein le scene e i costumi, così come, affiancato da Nicolás Fischtel, le intelligenti luci – Montero articola sulla Chacona un vero e proprio “sistema” coreografico, che impone l’ordine al caos e che, nello stesso tempo, libera la genuina, a tratti drammatica, espressività di corpi che si incontrano e separano tra spiragli di luce inattesa. Tre le sezioni del brano, scandito dai trepidanti suoni di un violino (dal vivo, Vincenzo Bolognese), poi dal canto mite di una chitarra (Sergio Segato), infine dalle imperturbabili note di un pianoforte (Enrica Ruggiero): atti differenti che offrono inediti appigli alla coreografia modellando il movimento secondo dinamiche scattanti e poi continue, come un’onda che costantemente avanza e poi arretra. Applauditissimo, il brano mostra un corpo di ballo rigoroso, in cui emergono nuovi volti e talenti in crescita.

Gran finale con Krzysztof Pastor e il suo Bolero, creato nel 2012 per Het Nationale Ballet, già presentato al Caracalla Festival 2023 e ora riproposto nel principale palcoscenico dell’Opera di Roma. A lungo coreografo residente al Dutch National Ballet, poi direttore del Balletto Nazionale Polacco e di quello Lituano, Pastor conduce qui con sapienza la sua orchestra danzante, stabilendo da subito una spazialità squadrata, su file orizzontali e parallele, spezzando il legame con il cerchio di béjartiana (e “rubinsteiniana”) memoria. Resta la centralità della donna che dà il via ad un’ipnotica danza: Rebecca Bianchi, in rosso aderente, richiama l’attenzione di un uomo in abito rubino, che l’accompagna con diligenza incastrando il gesto sulle seducenti note di Ravel. L’ingresso dei diversi strumenti, sulla stessa musica incantatrice, è scandito dal progressivo passaggio di nuovi danzatori, lungo uno schema che si arricchisce via via di passi e di contatti, di punte e di braccia flessuose, inghiottite dal vortice musicale. Se sul finale sembra mancare quel travolgente “sfinimento” che musicalmente esplode in un fiammante epilogo, brilla qui, per contrasto, l’assoluta disciplina del disegno che, senza mai inseguire le note sembra piuttosto generarle dall’interno, esplicitando in coreografia il più chiaro senso della celebre partitura. Bene il corpo di ballo; eccellenti i protagonisti sempre in scena: una sorprendente Rebecca Bianchi accanto al vigoroso Claudio Cocino.

Platea calorosa, alla Prima, e applausi prolungati a fine serata per i ballerini dell’Opera di Roma che attendiamo di rivedere in scena, dal 28 ottobre 2023, in Rossini & Rossini con le coreografie di Mauro Bigonzetti.

Lula Abicca e Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Giovedì, 26 Ottobre 2023 12:21

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