Alessandro Cappabianca CARMELO BENE. IL CINEMA CONTRO SE STESSO Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, euro 16.00, pp. 197 (CINEMA - Alberto Pesce)
Carmelo Bene è teatro dell'intelligenza e dello sberleffo, narcisistico spazio scenico sfrenato, incompiuto, talora lubrico, sempre liberatorio, in cui tutto viene coinvolto, fede, morale, convenienze sociali, artifici drammaturgici, con una provocatoria ridda visivo-musico-sonora condizionata da quello che gli detta l'animo o la fantasia. Ma Bene è anche cinema, in apparenza solo esperienza parentetica, cinque film nell'arco 1968-73, in realtà momento di rovello trasfigurativo che si nega e si autodistrugge nel momento in cui si pone. Alessandro Cappabianca ne sonda l'immaginario, anche nel respiro di altri media, teatro cui Bene ritorna, televisione come ulteriore sperimentazione fonica al di là dell'immagine, anche a riscontro di polemiche teoresi di Bene, della sua cosmogonica visione, soprattutto nel sentirlo "essere contro se stesso" dentro quei "concerti di voci e di corpi" che tendono a riflettere un "superamento del cinema", al di là del racconto, verso metacinematici traguardi di voce-canto-brivido-azione. Magari per quel primo esercizio filmico Hermitage Ventriloquio evidenzia ricerca di un ritmo in "dis-accordo" per un lavoro "verdiano in quanto è AntiVerdi", ma già in Nostra Signora dei Turchi (1968) riscontra una "partitura musicale" dove è "il ritmo, non la mimesi" a dare senso, in Capricci (1969) livida e funerea struttura di un "segno-Bene anarchico", in Don Giovanni (1971) con tutto quello che di ideologico il mito comporta "un fare film contro il film, un perseguire la cecità dell'immagine", in Salomè (1972) con fantasmagorìa ubriacata e convulsa uno "spellare l'immagine" per una "trasparenza che è la sua maledizione", in Un Amleto di meno (1973) tra accesi cromatismi e sinfonia di forme un antirealistico e sospeso "démaquillage" del testo shakespeariano.
Alberto Pesce
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