LA MUSICA VOCALE – Metrica, forma, fonetica e dizione di GUGLIELMO PIANIGIANI – BEATRICE FANETTI Libreria Musicale Italiana, Lucca, 2022 I Manuali, 12 Euro 32
(Teatro - Annamaria Pellegrini)
Guglielmo Pianigiani era in presenza, come si usa dire ormai di frequente, con Pierangela Diadori, quando in giugno è stato presentato all’Accademia Musicale Chigiana il suo testo LA MUSICA VOCALE UN LIBRO TOTALE, edito da Lim di Lucca, nel corso dell’ultimo Incontro in biblioteca di primavera. Beatrice Fanetti, l’altra autrice del testo, era presente da remoto, come pure ci siamo abituati a dire, ma proprio da remoto, precisamente da Nantong in Cina, dove insegna all’Università Canto e arte scenica. Guglielmo Pianigiani, pianista e clavicembalista, ma anche laureato in Lettere Moderne con una tesi in musica vocale e dottore di ricerca in italianistica, è docente in Drammaturgia Musicale presso il Conservatorio Cherubini di Firenze, e le sue pubblicazioni si sono sempre mosse tra letteratura e musica. Beatrice Fanetti, mezzosoprano, laureata in canto lirico, è specializzata nell’insegnamento dell’italiano ai cantanti d’opera, particolarmente ai madrelingua francesi, tedeschi e cinesi. Entrambi senesi, hanno studiato sia pure in anni diversi nel medesimo Liceo, non sarà stato difficile per loro interagire in una piccola realtà come quella senese. Entrambi nella prefazione sostengono che questa pubblicazione è scaturita dalla loro attività didattica, proprio dalle domande e dal desiderio di dare uno strumento al dialogo educativo è nato questo Manuale impegnativo quanto prezioso per i numerosi studenti che da ogni dove sono attratti in Italia dalla fascinazione del canto lirico, e sempre più riescono a raggiungere livelli incredibili nella competenza della nostra lingua, e di quella dell’opera che non di rado crea qualche problema di comprensione anche ai nativi italici. Nella prima parte del volume, il Maestro Pianigiani introduce il lettore nel mondo della metrica e della retorica musicale italiana, francese e tedesca, per poi accompagnarlo nella straordinaria storia del canto nella nostra lingua, dal madrigale trecentesco ai generi della ballata, della caccia e della canzone, e dei temi ai quali sono dedicati, dei quali già parla Dante nel De vulgari eloquentia, per poi giungere alla straordinaria fioritura del madrigale nel cinque e seicento, epoca in cui la nostra lingua fu la prima a darsi un vocabolario e una grammatica, e dunque “pretendere una dignità letteraria in rapporto alle lingue antiche” (greco e latino). Sarà poi, con una più complessa forma drammaturgica, la volta nel sei e settecento dell’Oratorio, la cui origine risale alla fine del ‘500, grazie a San Filippo Neri, naturale evoluzione della medievale Sacra Rappresentazione, anche qui interpreti ne sono gli stessi fedeli. Al febbraio del 1600 risale la prima Rappresentazione di Anima e di Corpo di Emilio de’ Cavalieri, uno spettacolo con “costumi, azioni, balletti e macchine sceniche”. Proprio nel Seicento, con lo studio degli antichi, Aristotile e Vitruvio in primis, rispettivamente in merito ai tempi del teatro ed alla prospettiva scenica, nelle corti italiane e segnatamente a Firenze, dove Vincenzo Galilei scrive il Dialogo della Musica antica e della Moderna, in occasione del matrimonio di Maria de’ Medici con Enrico IV di Francia, va in scena l’Euridice del Peri, introducendo col recitar cantando il ruolo fondamentale del logos. E poi Mantova con l’Orfeo, e poi soprattutto Venezia, dove il teatro musicale al di là delle corti si avvale della figura dell’impresario, e si apre al godimento sociale. Lì, col teatro San Cassiano, primo teatro a pagamento, si crea l’ambiente teatrale al quale ancora facciamo riferimento, e da lì si diffonderà particolarmente nei paesi di lingua tedesca e di cultura cattolica, e ancora si diffonderà in Francia con scelte che intendono differenziarsi dalle nostre, ma create da Lully, cioè Lulli, il fiorentino che domina a corte. Sarà poi con Rossini che l’opera italiana affascinerà gli spettatori europei. Ed è storia recente della quale, anche senza rendercene conto, mastichiamo tutti un po’, se non altro per il diffondersi nel ‘900 della Romanza da camera in italiano, e per quanto riguarda i nomi, sono quelli dei grandi protagonisti: è la nostra storia. Il testo dedica poi particolare attenzione al fiorire della musica vocale in Francia, che sviluppa generi quali la comédie-ballet e la tragédie-lyrique, e temi e suoni si svilupperanno anche a motivo di differenze linguistiche e fonetiche con pregevolissimi risultati. In Francia il lògos, particolarmente interessato al lirismo, giunge ad essere guida al suono musicale. Qui si crea in grand-Opéra ma anche tra otto e novecento un lirismo poetico di straordinaria raffinatezza. Eppoi la peculiarità del canto musicale germanico, che vive in comunione con lo spirito nazionalistico, particolarmente nell’Ottocento, in questo, sia pure con stilemi diversi, vicino alla nostra esperienza lirica di età romantica. Pleonastico citare Wagner e le avanguardie del Novecento, il mondo affettivo e musicale di questo popolo si esprime nel lied, come da noi nella romanza, e in Francia nella chanson. Perché questa è la peculiarità della creazione musicale per la voce umana, di essere insieme quanto di più aristocratico, e quanto di più popolare. Non abbiamo dato che una pallida idea con questo excursus della ricchezza e completezza della prima parte del volume, specchio della straordinaria cultura dell’autore: e si legge come un romanzo. Beatrice Fanetti cura in particolare i temi e i problemi legati alla fonetica ed alla fisicità degli interpreti, partendo dall’anatomia legata all’emissione vocale, corredando lo scritto con disegni anatomici che aiutano il lettore a comprendere le difficoltà alle quali vanno incontro gli interpreti, ed in particolare quanti siano condizionati da madrelingua diversa dalla nostra. La musica italiana infatti diviene predominante anche fuori dal nostro paese a partire dal ‘500 col madrigale, ma è dal ‘600 con la nascita dell’opera lirica che la nostra lingua si impone universalmente in ambito musicale, e viene vissuta come emblema di musicalità in se’. Il recitar cantando è “favella, ritmo e suono”. Ma è nella sua evoluzione che la lingua del melodramma acquisisce caratteristiche sue proprie, nel lessico, nella fonetica, nella morfologia, nella sintassi, perché, forse non ce ne rendiamo conto, la nostra lingua consente una sintassi quanto mai libera e creativa. Ed anche, l’autrice lo fa notare in modo particolarmente spiritoso e competente, non si può fare riferimento solo al verso aulico, nella produzione musicale non manca l’uso del linguaggio colloquiale, e perfino dialettale. Esiste anche nella nostra produzione musicale la caratterizzazione dei ceti sociali mediante il loro linguaggio. L’autrice si sofferma poi sull’analisi della relazione tra grafia e pronuncia, come ognun sa molto stretta nella nostra lingua. Anche su questo punto l’argomento, trattato specificamente da un punto di vista tecnico, dimostra la grande competenza didattica di chi scrive. La stessa competenza è dedicata alla trattazione di caratteristiche e problematiche relative alla lingua francese e tedesca nella produzione lirica, specificamente per addetti ai lavori, il che rende questo testo fruibile a più livelli. Ma ciò che affascina il lettore “non tecnico” relativamente alla lingua italiana è ciò che attiene il “cantare in italiano”, la lingua che, come dice Charley Burney nella General history of music (1789) è la più sonora, più dolce e più facile di ogni altra lingua moderna. Ma, aggiunge l’autrice, non possiamo più credere, oggi, che debba essere cantata solo da artisti madrelingua, proprio perché ormai da ogni dove giungono nel belpaese a studiarla approfonditamente, per poter esprimere al meglio la bellezza del canto lirico. Il fascino che la nostra lingua esercita nel canto vanta molti testimoni, a partire da Rousseau che molto si è interessato al teatro, fino a Thomas Mann, che fa dire ad un suo personaggio “non v’è dubbio che gli angeli in cielo parlano italiano, e non si può pensare che queste beate creature si possano esprimere in una lingua meno musicale”. Perché, spiega tecnicamente l’autrice, _ ha una fonetica fortemente vocalica, senza vocali indistinte, labializzate o nasalizzate _ grazie alla frequenza e alla regolarità delle sue vocali, si presta anche alla musica melodica sviluppata a voce sola _ ha una prosodia che favorisce il respiro regolare di una gradazione di accenti estremamente ricca l’inconveniente della scarsità di termini accentati sull’ultima sillaba, come la nostra esperienza musicale, anche modesta, ci suggerisce, è l’eliminazione della vocale finale (dall’opera alle canzonette). Importantissimo il ruolo del librettista, che più o meno volentieri si è adattato alle richieste del musicista, come ci testimoniano molti, divertentissimi carteggi (questa considerazione è di chi scrive). Conclude in merito quindi l’autrice di questo testo, così ricco di sfaccettature diverse “Lingua, musica e rappresentazione scenica si fondono dunque per realizzare un prodotto unico, del quale abbiamo già ricordato il grande successo lungo almeno tre secoli: non a caso l’italiano viene ancora oggi definito la lingua del belcanto”.
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