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AIDA - regia Gianfranco de Bosio

Aida Aida Regia Gianfranco de Bosio

di Giuseppe Verdi
direttore: Renato Palumbo, regia: Gianfranco de Bosio
coreografia: Susanna Egri
con Micaela Corsi, Marco Berti, Dolora Zajick
prima ballerina ospite: Myrna Kamara
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo dell'Arena di Verona
Verona, Arena, dal 20 giugno al 31 agosto 2008

Avvenire, 22 giugno 2008
La Stampa, 22 giugno 2008
Corriere della Sera, 22 giugno 2008

L'Arena rianimata dalla sua prima Aida

Se non fosse che alle spalle della scelta ci stanno motivi economici seri, quelli che vedono le fondazioni liriche sempre più col fiato corto, la chiameresti operazione nostalgia. Nostalgia di chi l'Opera in Arena la vuole così, con cavalli, obelischi, sfingi e gran dispiegamento di coro, ballerini e comparse. Nostalgia di chi preferisce affidarsi a spettacoli sui quali ormai si è posata la polvere del tempo, piuttosto che osare e tentare di dare un senso all'aggettivo 'popolare' che spesso si associa alla lirica e in particolare a quella estiva sotto le stelle. L'opera con la O maiuscola per l'anfiteatro veronese, inutile dirlo, è la verdiana Aida, quella capace, ogni volta che è in cartellone, di fare incassi da concerto rock e scaldare i cuori a 15mila spettatori. L'altra sera, per l'apertura del festival lirico 2008 (5 titoli nazionalpopolari, 49 serate di musica) l'Arena ha calato l'asso dell'Aida storica, quella che il regista Gianfranco De Bosio negli anni Ottanta rimodellò sui bozzetti originali pensati da Ettore Fagioli nel 1913 quando Radames fece il suo primo ingresso trionfale in Arena.
Un kolossal a metà strada tra il museo egizio e il parco dei divertimenti che permette alle casse del teatro di contenere le spese – otto colonne messe una volta frontali, un'altra in diagonale disegnano tutti gli ambienti evocati dal librettista Antonio Ghislanzoni, mentre due obelischi e un grande palazzo fanno da cornice a tutte le scene – e che, ad ogni cambio di quadro, fa scattare applausi e flash di macchine digitali e telefonini.
La parola d'ordine della nuova gestione areniana – il sindaco leghista Flavio Tosi venerdì faceva gli onori di casa intrattenendosi tra un atto e l'altro con il ministro dell'Interno Maroni e il responsabile della Cultura Bondi – è risparmiare, per coprire il buco di più di 20 milioni di euro che il neosovrintendente Francesco Girondini dice di aver ereditato. Niente nuove produzioni, dunque, ma valorizzazione degli allestimenti che hanno fatto la storia. Proprio come questa Aida sulla quale, però, pesano gli anni e una regia che a favore dei numerosi seppur suggestivi cambi di scena (salvo poi non utilizzare lo spazio schierando sempre i cantanti in proscenio) frammenta troppo la compattezza della partitura verdiana.
La 'fatal pietra', ad esempio, tenuto conto che la prima nota si era levata alle 21.15, si chiude all'1.15 della notte. Aida e Radames moriranno di lì a dieci minuti. Troppo, anche per i maratoneti della lirica. Troppo per riuscire ad apprezzare in pieno l'ottima direzione di Renato Palumbo, che concepisce la sua lettura come un unico grande affresco, un quadro da guardare col fiato sospeso per scorgervi tutti i colori della vita. Anche di fronte al vasto spazio dell'Arena, Palumbo non rinuncia a una lettura ricca di mille particolari, sontuosa nel Trionfo (danzato magnificamente da una snodata Myrna Kamara e dal Corpo di ballo areniano sulle coreografie di Susanna Egri), ma anche intimista nei serrati confronti tra i protagonisti dove a venire in primo piano è l'anima dell'uomo. Quello che manca alla regia di De Bosio: Micaela Carosi appassionata Aida, Marco Berti eroico Radames, Dolora Zajick tormentata Amneris, Ambrogio Maestri imponente Amonasro restano figurine, immagini sbiadite che nulla dicono agli spettatori di oggi. Peccato, perché senza ricorrere a roulotte o gommoni si poteva trovare il modo per dire che Aida e gli etiopi non sono tanto diversi dai rom o dagli immigrati che quotidianamente cercano approdo sulle nostre coste.

Scogna.

Aida è tornata a Verona
e giura fedeltà a Verdi

A volte ritornano. Come apertura del festival numero 86 l'Arena di Verona ha ripreso il celebre allestimento di Gianfranco de Bosio che ricostruisce l'Aida del 1913: un classico. Si potrebbe aprire un discorso sull'estetica teatrale, sulla natura doppiamente archeologica dell'operazione (antico Egitto e Arena storica), su un eventuale regresso nelle scelte registiche a Verona col nuovo e giovane sovrintendente leghista, Francesco Girondini. Eppure l'Arena è luogo di conservazione, gli esperimenti non sempre funzionano, i tedeschi in massa vogliono l'opera come sempre l'hanno immaginata. La ricostruzione di de Bosio gliela fornisce come modello ideale per un semplice e dimenticato motivo: la fedeltà a Verdi. Poi c'è il gusto di saper muovere le masse, di creare un trionfo movimentato eppure mai sovraffollata, di giocare sul fascino delle pietre antiche: la natura ci ha messo il suo con quella luna quasi piena che si leva alla morte di Radamès e Aida sopra la tomba, gli spalti, i braceri e le fiaccole.

La coerenza prima di tutto: è il motivo per cui la parte scenica si raccorda armoniosamente con quella musicale, guidata da Renato Palumbo, che possiede l'accento verdiano e sa regolare bene il rapporto fra intimità (Aida n'è piena) e momento pubblico. Dove c'è passione imprime un tono un po' ruspante che va bene all'Arena, e dove c'è da lavorare sul dettaglio non si tira indietro. Con Palumbo i cantanti, che in genere all'Arena gigioneggiano, stanno entro i limiti della musica con buon gusto e ognuno nell'ambito delle sue possibilità: Micaela Carosi è Aida di gran classe, l'Amonasro di Ambrogio Maestri un fuoriclasse, Marco Berti un Radamès corretto ma limitato. E poi chi si risente, l'Amneris a tinte forti di Dolora Zajick e il Ramfis di Paata Burchuladze, che sembra farfugliare ma fa capire tutto. A volte ritornano pure loro.

Giangiorgio Satragni

Palumbo, dal flop berlinese al trionfo dell' «Aida»

VERONA - Poco più di un anno fa, prese un ceffone di quelli che fan male. Alla Deutsche Oper di Berlino, dove era da poco succeduto a Christian Thielemann come direttore musicale, fece un disastroso Der Freischütz (Il franco cacciatore) di Carl Maria von Weber. Tanto brutto e sgangherato da costargli il posto. Una levata di scudi contro di lui (pubblico, critica, le stesse maestranze del teatro) da far vacillare anche l' autostima più granitica. Però la parabola di Renato Palumbo può essere utile a ogni musicista che incappi nell' infortunio. Non s' è trincerato dietro l' alibi dell' artista incompreso, così tipico in questo ambiente, né ha accusato gli accusatori di malafede o alcunché, come pure è frequente tra i narcisi della direzione d' orchestra. E l' altra sera a Verona, nelle condizioni notoriamente difficili in cui si lavora in Arena, ha diretto un' Aida esemplare: mossa e viva nei tempi, fraseggiata ad arte, con momenti di bel suono che in quel catino all' aperto si direbbero un' araba fenice. A Verona non c' è una nuova Aida ma la «solita» Aida, quella di De Bosio, né tira un' aria di apertura a giovani registi che abbiano qualcosa di interessante da dire, poiché si parla di Zeffirelli a oltranza. La novità è la qualità musicale che si è ascoltata, mai stata così alta. Grazie all' eccellente prova del direttore e a un cast buono soprattutto nella protagonista Micaela Carosi e nell' Amneris dell' ancora bravissima Dolora Zajick. Ma grazie anche all' orchestra, che in questi ultimi anni aveva finalmente ampliato il repertorio, diventando un organismo più affidabile di quanto sia mai stato.

Enrico Girardi

Ultima modifica il Giovedì, 18 Luglio 2013 10:38
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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