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La Carmen a Parigi è sempre in qualche misura un evento turistico. Nessuna meraviglia perciò se l’opera tende a sconfinare nel musical. La regia di Bieito - del resto vecchia di 20 anni - ha assecondato la tendenza: solita auto in scena (una Mercedes anni ’70 per l’esattezza), abiti moderni, una improbabile cabina telefonica dal simbolismo oscuro. E una Carmen tradizionalmente trasgressiva, la qualcosa è naturalmente una contraddizione in termini. Fortuna che l’opera costringe il regista ad uno spartito e un libretto non modificabili e che la Margaine è un eccellente mezzo soprano nonché, malgrado qualche leggero e comprensibile impaccio, anche un’eccellente ballerina. Ha cantato la Habanera (L’ amour est un oiseau rebelle/ que nul ne peut l’apprivoiser…) con perfetta compenetrazione di voce e gesti e la giusta verve provocatoria senza cadere nel volgare. La voce, da mezzo soprano di razza (Carmen non può che essere un mezzo soprano) è leggermente torbida anche quando in lei parla l’amore: esprime la fragilità dei momenti di felicità e vagamente presagisce la sorte che il destino le ha riservato. Don Jose è un ottimo tenore drammatico: voce potente, fisico prestante. Escamillo era Ildebrando D’Arcangelo, basso baritonale che ha sostituito Dubois a cui il ruolo era stato originariamente riservato, ma che era rimasto a corto di fiato perché impegnato nel Trovatore che si alterna con la Carmen nel cartellone della Bastille. Ottima prestazione, Escamillo è del resto uno dei ruoli più congeniali al D’Arcangelo. Eccellenti come sempre il coro e l’orchestra dell’Opéra Nationale. A margine: la Bastille ha pingui bilanci e offre in genere spettacoli eccellenti. Ma poltrone scomode. Ad un prezzo abbastanza alto: 220 euro per le prime file del parterre. Da dove, a fine spettacolo, se non si è più giovani si esce con le ossa rotte.

Attilio Moro