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CARMEN - regia Carlos Saura

Carmen Carmen Regia Carlos Saura

di Georges Bizet
direttore Zubin Mehta
regia: Carlos Saura
scene: Laura Martinez, costumi: Pedro Moreno, coreografia: Cristina Hoyos, Juan Antonio Jiménez, Antonio Colandrea, luci: José Luis Lopez Linares
con Marcelo Alvarez / Carl Tanner, Ildebrando D'Arcangelo / Dario Solari, Julia Gertseva / Elena Maximova
Firenze, Teatro Comunale, dal 30 aprile al 11 maggio 2008

Panorama, N. 20 2008
Il Giornale, 3 maggio 2008
Avvenire, 3 maggio 2008
La Stampa, 7 maggio 2008
Corriere della Sera, 4 maggio 2008

Questa è una «Carmen» da dilettanti

Che imbarazzo, la Carmena Firenze. L'opera di Georges Bizet ha aperto il Maggio musicale con un dilettantesco spettacolo firmato dal regista Carlos Saura, assai famoso al cinema ma pivello nell'opera. È ambientata fra pannelli trasparenti, firmati da Laura Martinez, non c'è l'immagine dei luoghi né il loro spazio, ma i personaggi e il coro, come nella vecchia routine, salvo qualche breve iniziativa personale, vengono avanti, guardano il pubblico e si fermano lì. Escamillo, che pure è Ildebrando d'Arcangelo, voce straordinaria, lo fa senza neanche voltarsi indietro. Tanto, alla Carmen, quando il tenore si dispera alla fine per avere ammazzato l'amatissima gitana, tutti applaudono, e figurarsi qui con la tenerezza del fuoriclasse Marcelo Alvarez, anche se fino a quel momento nell'ultimo atto ha vociato come se Bizet avesse scritto urli e non note. E poi musicalmente è un'esecuzione di rilievo, con l'orchestra magnifica diretta da Zubin Mehta, una buona compagnia di canto, una protagonista di personalità convincente e voce salda come Julia Gertseva, e una Micaela linda e corretta come Inva Mula, che, com'è tradizione, riceve l'applauso più lungo

Lorenzo Arruga

Una Carmen griffata ma troppo di routine

Il Maggio Musicale Fiorentino proponeva un tempo al mondo inusitate scoperte o inattese meraviglie. Quest'anno è una rassegna normale che ha per tema «Donne contro». Ora presentano l'arcinota Carmen di Bizet e poco altro. Pochissimo, per un teatro che nel programma di sala ostenta, al di là di coro e orchestra, 234 collaboratori. «Donne contro», s'intende, suona bene, soprattutto così, senza oggetto, e pazienza se oggi sarebbe più ardita una rassegna «Donne con». Però se un festival così importante sceglie un'opera che si dà continuamente e per di più in una coproduzione con un altro teatro, deve proporci uno spettacolo straordinario.
Invece no. La Carmen di Firenze, pur griffata Carlos Saura, che è un regista famoso ma nel cinema, figura nelle scene di Laura Martinez, come uno stand del Giappone in una fiera: pannelli trasparenti, ombre sulle pareti, spazio per nulla funzionale. Niente piazza, niente manifattura tabacchi, niente osteria, niente gola montana, niente Plaza de Toros. Perché? Non lo sapremo mai, dato che i personaggi navigano nella routine, andando a cantare in proscenio, le donne con le mani quasi sempre sui fianchi, tutti voltando le spalle ad un coro ammucchiato e completamente indifferente. Eppure, la compagnia è di qualità: Julia Gertseva è una Carmen di notevole personalità, volonterosamente sensuale e molto drammatica; Marcelo Alvarez è un tenore della migliore razza, anche se nel terzo atto grida come facesse la parodia di Mascagni; Inva Mula fa fino bene il proprio dovere anche se non cerca qualche cosa di più; Ildebrando d'Arcangelo ha uno spessore vocale stupendo e una presenza forte, tragica, da sfruttare. Fra i tanti personaggi, spiccano Gemma Bertagnolli, per nulla orfana del barocco e tutta flamenchizzata, e con gran disinvoltura Maurizio Lo Piccolo.
A tutti loro e ai cori (quello dei bambini un po' in difficoltà), Zubin Mehta chiede musicalità, più che uno stile comune. Certo governa la magnifica orchestra a meraviglia, e il preludio del terzo atto è intriso di fatalità e leggerezza indimenticabilmente. Ecco, lì uno sente cosa potrebbe essere la sua Carmen, che invece vaga contraddittoria fra gli inutili pannelli.
Non molto meglio è intanto lo spettacolo della Norma a Bologna, con la regia di Tiezzi illuso che per onorare le immagini di Mario Schifano basti appenderne l'ingrandimento dei primi bozzetti, e che il classicismo di Bellini possa essere raffigurato con qualche seggiola Impero. Ma qui c'è la sorpresa di Daniela Dessì, che dà alla tormentata sacerdotessa non solo la sua voce sempre di bellezza assoluta, ma anche un'autorità vocale e scenica fortissima ed un pathos crescente. Ci sono con lei il fido e anche troppo squillante Armiliato, un'eccellente e fascinosa Adalgisa, Kate Aldrich, li dirige Pidò, la gente applaude, fate a tempo ad andare ad ascoltarla.

Lorenzo Arruga

Saura trasforma la «Carmen» in un'aspra lotta tra bene e male

Così su due piedi, appena cala nero e inesorabile il sipario su Don José, solo in scena con Carmen morta tra le braccia, ti rimane un po' di amaro in bocca. All'inizio pensi sia per non aver visto, messi in bella mostra sul palcoscenico, la piazza di Siviglia, la taverna di Lillas Pastia, le montagne e la plaza de toros. Al loro posto solo pannelli bianchi. Poi ci dormi su una notte. Ti svegli il mattino dopo e, sempre con quell'amaro che non se ne è andato, accendi la tv, sfogli i giornali e ti senti rovesciare addosso tutto il male mondo. Ed è lì che la Carmen di Carlos Saura ti entra in circolo, ti penetra prepotentemente nella carne. Perché la Carmen di Saura, che l'altra sera è andata trionfalmente in scena (8 i minuti di applausi) a Firenze, primo titolo operistico del Maggio musicale 2008 dedicato alle Donne contro, non è la solita storia d'amore e morte tra ventagli e toreri (che nello spettacolo del regista cinematografico spagnolo rivivono attraverso i costumi senza tempo di Pedro Moreno) come spessissimo si vede quando in cartellone c'è l'opera di Bizet. La Carmen di Saura – e del direttore d'orchestra Zubin Mehta, naturalmente – è una feroce radiografia dell'animo umano. È un viaggio negli abissi di una mente che vuole il bene, ma è attratta irrimediabilmente dal male. La debolezza umana che Bizet racconta attraverso l'amore di Carmen e Don José è la stessa con la quale noi spettatori ci confron- tiamo tutti i giorni, sembra dirci Saura che in scena, accanto a gitane e toreri, mette soldati con mimetica e caschetto e contrabbandieri che tanto assomigliano ai profughi della Bosnia o dell'Afghanistan. I pannelli bianchi che ingombrano la scena e sui quali si materializzano le ombre dei protagonisti diventano poi schermi sui quali il pubblico può scrivere la propria storia, la stessa di Carmen e Don José, la storia di una lotta tra bene e male che prima o poi approda ad una liberazione. Saura sembra leggere nella pugnalata di Don José non un atto dettato della gelosia, ma una liberazione tanto che sul finale non ci sono soldati che vengono ad arrestare l'omicida che resta solo con il suo gesto estremo.
Una lettura moderna, efficace che trova perfetta corrispondenza nella direzione di Mehta – ben assecondato da orchestra e coro del Maggio in gran forma –, direzione asciutta, puntuale e che nulla concede al sentimento. Nella squadra vocale il solo Ildebrando D'Arcangelo sembra aderire perfettamente a tale disegno: il suo Escamillo – l'uomo che sceglie il male, quello rappresentato da Carmen, coscientemente – lascia il segno tanto vocalmente quanto scenicamente. Non che Julia Gertseva (seducente Carmen), Marcelo Alvarez (voce stupenda per un Don José in crescendo) e Inva Mula (toccante Micaela) sfigurino, anzi, ma il loro è un modo di cantare che appare un po' vecchio e che a tratti sembra fare a pugni con la sconvolgente modernità impressa alla partitura da Mehta e Saura.

Pierachille Dolfini

La "Carmen" di Mehta
una rivincita della musica

In epoca d'imperante teatro di regia, la musica s'è presa una rivincita in questa Carmen d'apertura al Maggio Fiorentino. Non lascia segno il rinomato cineasta spagnolo Carlos Saura, così la direzione navigata e impeccabile di Zubin Mehta è il centro del dramma promanante dalla musica di Bizet.

La sua è lettura non troppo sensuale unicamente perché riconduce l'opera di soggetto ispanico, e con vari inserti spagnoleggianti, alla matrice francese del secondo 800. Con trasparenza, attenzione gustosa per i passi più civettuoli e abbandono languido della frase musicale qui Bizet è più vicino del solito a Massenet. E recuperando i dialoghi parlati non solo si ricrea la veste originaria di «opéra-comique», ma anche la dimensione di reminiscenza tematica ed emotiva che possiedono le nicchie di musica da camera sottoposte alle parole in forma di melologo.

Mehta ha cantanti eccellenti in Julia Gertseva (Carmen), Marcelo Alvarez (Don José), Ildebrando d'Arcangelo (Escamillo) e Inva Mula (Micaela), ottiene da loro, dal coro e dall'orchestra, ma non dalle voci bianche, un'encomiabile pulizia d'intonazione. Lo spettacolo è in lui, nella classe della tecnica direttoriale e nei cantanti, non in quei pannelli astratti fra cui appaiono masse vestite, al contrario, alla spagnola. Toccherebbe muovere questa gente, ma la regia di Saura è statica come un'esecuzione in forma d'oratorio, rivelandosi fallimentare.

Giangiorgio Satragni

Così Saura spegne il fuoco di Bizet (e Mehta lo segue)

Non è più tollerabile rappresentare un capolavoro come Carmen nei termini oleografici, da cartolina illustrata, che per decenni ne hanno veicolato, ammorbandola, la circolazione. Ma se ciò è pacifico, non lo è altrettanto che l' alternativa muova da un mero principio di sottrazione quale si verifica a Firenze nella grigia, deludente messinscena dell' opera di Bizet che vi ha curato Carlos Saura, ultimo nel lungo catalogo - il penultimo è Ermanno Olmi - di ottimi registi cinematografici che falliscono nell' opera. La delusione non viene solo dal pauperismo scenografico - un gioco di pannelli semitrasparenti che all' occorrenza, e debitamente illuminati, fungono da quinte, da schermi per ombre cinesi, da profilo dei monti dei contrabbandieri - ma dall' assenza di un taglio interpretativo nella recitazione: una Carmen poco seducente che somiglia quasi a Biancaneve, un Don José dai tratti più mascagnani che bizetiani, un Escamillo nemmeno un poco spavaldo, le masse corali statiche come turisti in posa fotografica. Il risultato è una Carmen spenta, priva di vita, stanca. Nei finali terzo e ultimo, uno scambio ben congegnato di gesti tra i protagonisti rivela che Saura è un regista, potenzialmente coi fiocchi. Ma è troppo poco, per quanto ci si aspetta da lui. E - duole dirlo - nemmeno è la serata di Zubin Mehta. Direttore formidabile, uno dei talenti più cristallini in circolazione, un gesto e anche il più ottuso dei musicisti capisce tutto. Di qui l' eccezionale livello dell' orchestra del Maggio. Ma, chissà se per sintonizzarsi con Saura, governa una Carmen trattenuta e compassata, che mantiene il fascino di una raffinatezza timbrica senza uguali all' epoca ma non trae alimento dallo slancio vitale di queste melodie che innamorano. Una Carmen elegiaca e senile, notturna, fascinosa di sicuro, ma come preoccupata di vivere. Carmen senza prepotenza erotica. Il cast è buono ma sembra più vittima che artefice del clima crepuscolare dello spettacolo. Julia Gertseva è una Carmen accademica che preferisce le sortite nel registro sopranile alle discese in quello contraltile. Marcelo Álvarez un Don José un po' gradasso (traduci, verista) nello stile e un po' usurato nell' ugola. Ildebrando D' Arcangelo è correttissimo vocalmente e insignificante scenicamente. Come sempre, Micaëla è quella che si prende più applausi. Quella di turno è Inva Mula, molto bravina.

Enrico Girardi

Ultima modifica il Giovedì, 18 Luglio 2013 12:12
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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