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PARSIFAL - regia Romeo Castellucci

Parsifal Parsifal Regia Romeo Castellucci

di Richard Wagner
Dramma sacro in tre atti
Libretto di Richard Wagner
Direttore Roberto Abbado
Regia, scene, costumi e luci Romeo Castellucci
Maestro del Coro Andrea Faidutti
Drammaturgia Piersandra Di Matteo, Movimenti coreografici Cindy Van Acker, Video 3d Apparati Effimeri
Interpreti Principali: Andrew Richards, Anna Larsson, Lucio Gallo, Gábor Bretz, Detlef Roth, Arutjun Kotchinian
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna
Coro di Voci Bianche del Teatro Comunale di Bologna
Allestimento Théâtre de La Monnaie Bruxelles
Bologna, Teatro Comunale dal 14 al 25 gennaio 2014

www.Sipario.it, 28 febbraio 2014

Se volessimo considerare satanica (dal greco antico "satàn", "avversaria") la dialettica applicata al Parsifal di Wagner e rievocassimo il significato originario del Diavolo, radicato nell'etimolgia greca di "diabòlos", "colui che divide, che insinua il dubbio", riconosceremmo nell'operazione di Romeo Castellucci l'arringa del suo più abile avvocato.
E' nel segno della scissione che le note d'apertura del preludio del primo atto wagneriano si armonizzano al motivo insistente del dolore di Amfortas, pianto mistico riversato per essere accolto, primariamente, dall'orecchio del Grande Filosofo, effige sovrana di quel Nietzsche che troneggia col suo profilo ieratico la centralità della scena.
Una scelta di campo, è richiesta, tra l'adesione all'evanescenza wagneriana, mai così eterno e sacro nel delineare l'immanente assenza divina di una musica che è lingua delle sfere celesti, e la feroce frattura con il terrestre Amico e più grande ammiratore che nel "Nietzsche kontra Wagner" non si esimé dal condannarlo di essersi "prostrato, derelitto e affranto ai piedi della croce".
Ascende un pitone albino fino al padiglione dell'icona maestosa: la malefica sinfonia che avvelena l'anima sibila suadente il Mistero che Wagner sembra dire con i versi di Dante "ché la mia vista, venendo sincera, in più in più intrava per lo raggio de l'alta luce che da sé è vera".
Ancora una volta, impressi nella Storia e fuori da essa, nell'irriducibilità dell'eterno ritorno, Wagner e Nietzsche sono, infine, frattura insanabile, antitetiche posizioni di un'identica esperienza esoterica.
Se Wagner dal canto suo auspicava che l'arte salvasse la religione ("ciò che lega assieme quel che è, in natura, disgiunto") e riteneva che sempre lei potesse innalzare l'uomo a Dio, Castellucci insinua un cuneo nella frattura dell'Uomo, allargandone il taglio, conficcandolo al centro della sua angoscia impossibile e rintraccia in Parsifal, "puro folle", insapiente di Dio, il preludio di una seconda Redenzione, la porta iniziatica per una Nuova Umanità, un nuovo Prometo giunto a donare alle genti la coscienza della fiamma oltre il limite, oltre la regola, a posizionarsi come specchio che riflette la dogmaticità religiosa per sconvolgerla con il terrore del sacro. Wagner e Nietzsche che si guardano negli occhi e si riconoscono. Parsifal e Amfortas.
La crisi è stata seminata, le radici della disgregazione dall'Unità Antica, centro nevralgico della tragedia cristiana, proliferano nell'intricata selva di Montsalvat, "mons salvationis", che per un sadico gioco di parole promette salvezza lì dove vi è solo oscuro smarrimento.
La Natura, madre e matrigna, respira con i suoi figli, mostra loro la luce dei cieli scaraventandoli con le mani a rovistare nel fango. Cadono le foglie, alcuni alberi vengono sradicati. Muore. Il lamento nostalgico che disgrega l'uomo, disgrega a sua volta il senso della vita.
Nella foresta dove irrompe Parsifal, l'uomo incontra il femminile (o femminino), Kundry, legata a sua volta al corpo ruvido degli alberi, sua matrice, innescando la nigredo alchemica, l'Opera al Nero in cui la materia si dissolve, putrefacendosi per distillare il candore sublimato e purificato dell'albedo, anticamente simboleggiata da quello stesso cigno ucciso da Parsifal che è colpa per uno stadio avanzato di co(no)scienza.
Essoterismo contro Esoterismo, l'intera costruzione di Castellucci appare all'insegna dello scadalo (inciampo anche cristologico) e della rottura sospensoria, la stessa sospensione del tragico, teorizzata da Carmelo Bene, che deflagra per mezzo della simbologia del Graal che qui è l'eccesso al di la del desiderio, Impossibile Angoscia, quel manque che Castellucci sottrae definitivamente alla scena così come l'Uno non si svela mai al nostro sguardo. Parsifal non si fa beffa del limite, non vuole infrangere il velo della Legge: vuole guardarci attraverso, affacciarsi, per meglio vedere cosa vi si muova in fondo alla lattescenza di ciò che noi definiamo Verità.
Sulla parete bianca compare un'elisione, segno grafico che nella lingua divide e unisce, ma anche prima lettera del Tetragramma del nome di Dio, lo Yod che nella tradizione mistica ebraica assume il valore del "Mondo Futuro".
Piange Amfortas come solo Edipo prima di lui fece, accecatosi per il troppo vedere, dilatando la ferita che gli separa il petto, aprendo un occhio su un abisso di nero che invade la scena. E poi il vuoto, dominato da un enorme disco nero, forse un simbolo antichissimo, uno tra quelli che associarono alla circolarità uno dei centri spirituali, forse una tavola rotonda, il luogo della tradizione destinato a ricevere il Graal, immagine che molto ha in comune con le rivelazioni simboliche di Marie de Vallées, dove è menzionata "una tavola rotonda di diaspro, che rappresenta il Cuore di Nostro Signore".
Tutto è doppio, ambiguo, ricco di un certo ermetismo cristiano che attribuisce a certi simboli una doppia interpretazione e quasi due facce opposte; così come il serpente, lo stesso pitone albino che ci accompagna dall'inizio dell'opera, significa tradizionalmente, secondo i casi, il Cristo e Satana.
Si chiude l'atto con Parsifal che trattiene tra le mani una corda rossa sottrattagli da Gurnemanz, che passerà di mano in mano fino alla chiusura dell'ultimo atto: il filo che collega tutti gli stati d'esistenza fra di loro e al Principio comune, una linea senza soluzioni di continuità.
Ma il filo può ripiegarsi su se stesso in modo da formare intrecci o nodi e, per dirla con René Guénon, "si potrebbe affermare che è il nodo stesso a mantenere l'essere nello stato considerato e che il suo scioglimento provochi la morte immediata a tale stato".
Il secondo atto del Parsifal, la "rosa alba" del processo alchemico, è all'insegna del bianco e del nodo.
Klingsor si muove nelle vesti di un direttore d'orchestra, sembra battere il tempo, oppure un mago iniziato alla nuova sapienza, munito di una bacchetta che lega, col suo movimento, ciò che è in alto con ciò che è in basso.
Grappoli di donne appese, annodate nella pratica erotica giapponese del Kinbaku, attribuiscono alla corda un valore assiale e nell'ascensione verticale scorgiamo un processo di ritorno al Principio; filo del Sé, marionette inerti nelle mani di un burattinaio che i nodi fissano nei limiti del suo stato contingente. Una donna sull'altare mostra il sesso, principio nella fine, donna amante e donna madre, le declinazioni del femminile e del femminino sacro.
Parsifal irrompe con uno specchio tra le mani, uno scudo circolare che ricorda il disco dell'atto precedente, si avvicina per schermarsi e rifrangere l'immagine di Kundry. Si stringono in un bacio, a loro si sovrappone il riflesso di una coppia, che si avviluppa, che si unisce in un amplesso. Ora Kundry riappropriatasi della donna Anna Larsson (l'attrice protagonista del Parsifal) può finalmente scrivere su quella parete che è foglio candido di rinnovata esistenza: "ANNA, ME, NOW TIED", maschile e femminile ricongiunti nel vincolo, legati da un nodo che limita e libera, che cancella e rigenera con la stretta feroce dell'unità riscattata.
Crolla il regno di Klingsor: la Redenzione è la strada di un cammino iniziatico verso una Nuova Conoscenza che abbandoni il gioco della vuota religiosità. Lo stesso cammino reiterato dalla massa umana che avanza sul posto nel terzo e ultimo atto.
L'insistente procedere, la snervante e coattiva ripetitività su e nel tempo storico, primo vincolo imprescindibile dell'uomo, ruota che gira e tutto macina: maledizione dell'errare e dell'errore.
Mentre Parsifal, Prometo tra noi, Cristo del Nuovo Mondo, Figlio del Nuovo Uomo, colui che sa ciò che gli altri non vedono, volutamente ciechi nei loro cappucci bui, Lui resta; sta, come Cristo fissato in piedi sulla croce verticale, incommensurabile solitudine di chi è profeta nel deserto.
L'operazione di Romeo Castellucci è un grandioso compendio di Scienza Sacra, iconografia archetipa e arcaica di un sapere ermetico, sapienziale, solitario come il misticismo di chi si abbandona al Mistero per venire da Lui posseduto; e farne esperienza, lì dove il Mistero non si fa parola ma suono.
Scende plumbea la notte sulla platea. Noi, di nuovo, in cammino. Una domanda affiora: chi mai libererà la solitudine del Redentore ora che il mondo è stato liberato?

Andrea Pizzalis

Ultima modifica il Venerdì, 28 Febbraio 2014 15:04

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