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SANCTA SUSANNA - regia Patrizia Fini

Sancta Susanna Sancta Susanna Regia Patrizia Fini

di Paul Hindemith
interpreti: Tatiana Serjan, Brigitte Pinter, Anna Maria Chiuri
Il dissoluto assolto
di Azio Corghi, intepreti: Vito Priante, Roberto De Candia, Julian Rodescu, Sonia Bergamasco, Sonia Barbadoro, Laura Catrani, Marco Lazzara, Mirko Guadagnini
maestro concertatore e direttore: Marko Letonja, regia: Patrizia Fini, da un’idea di Giancarlo Cobelli, scene e costumi: Alessandro Cammarughi
Milano, Teatro alla Scala 2007

www.Sipario.it, 2007

Di Sancta Susanna parlammo due anni fa in un articolo di presentazione per quella che fu l’ultima stagione di Riccardo Muti alla Scala. Oggi la breve opera hindemithiana che a suo tempo turbò le coscienze dei benpensanti, perché vi si narrava di una suora isterica che si innamora di un crocifisso, non scandalizza più nessuno. Sorpassata la cosiddetta scabrosità resta lo spazio per una serena valutazione critica della musica. Che è bellissima. C’è un tema incisivo nel prologo che si evolve per tutta la partitura in elaborate simmetrie, in schemi rigorosi che l’orecchio sul momento coglie in modo confuso. Si vorrebbe subito una seconda audizione, magari con partitura a fronte. Ma al di là di ogni cerebralismo affermiamo che la musica è impressionante e che il libretto di August Stramm non le è da meno.
Una grande cornice barocca, concepita da Alessandro Cammarughi contiene rocce e elementi scenici svariati adatti per la prima come per la seconda opera in programma. Al termine di Sancta Susanna un malignissimo pensiero, in verità poco adatto a una cronaca che vorrebbe essere seria, non riusciamo ad allontanare. Quanto diversa avrebbe potuto essere la storia delle varie mistiche e visionarie se Cristo non fosse stato esaltato dall’iconografia di tutti i tempi come un bellissimo giovane, biondo, alto, dai capelli inanellati, praticamente nudo. Finora ci risulta che il solo Pasolini abbia avuto il coraggio di rappresentarlo nella sua probabile realtà di palestinese nero di barba e capelli, certo non altissimo e magari non propriamente leggiadro.
La cornice barocca, che si era spezzata al momento del raptus di Susanna, tale rimane per l’opera di Corghi dove tutto si frantuma seguendo il testo del poeta portoghese José Saramago che svolge il mito di Don Giovanni rivoltando le situazioni con puntigliosa pedanteria. Corghi adopera la musica con sapiente arte dissacratoria e il suo talento di grande compositore si capta all’ascolto della partitura che si avvale delle possibilità dell’orchestra come pochi (complice il direttore Letonja che magari ci dà dentro un po’ troppo). Poi ci sono gli interpreti: gli uomini cantanti e le donne recitanti (perché? Perché sì) e la messinscena non priva di fascino tra rocce luci e lucine varie.
Ci rendiamo conto di non aver detto quasi niente perché molto poco è comprensibile al primo impatto. Senza un accurato studio del programma di sala il testo resta confuso, non si capisce se per imperizia recitativa degli interpreti o per trascuratezza dell’autore. Certo non si può dire che l’opera “corra” in sala. Più che annoiarsi ci si irrita e ci si sente parecchio beffati anche perché la musica richiama un po’ troppo il linguaggio di Corghi ed altri che ascoltiamo ormai da mezzo secolo. Per quanto si è potuto capire degli interpreti, così duramente impegnati, non si può che tessere gli elogi. Il pubblico ha reagito come potevasi immaginare.

Mariella Busnelli

Ultima modifica il Lunedì, 22 Luglio 2013 10:47
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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