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WOZZECK - regia Giancarlo Del Monaco

Wozzeck Wozzeck Regia Giancarlo Del Monaco

libretto e musica: Alban Berg
direttore: Gianluigi Gelmetti
regia, scene e costumi: Giancarlo Del Monaco
con Jean-Philippe Lafont, Pierre Lefebvre, Janice Baird, Francesco Facini, Richard Decker
Roma, Teatro dell'Opera, dal 19 al 24 ottobre 2007

Corriere della Sera, 28 ottobre 2007
Avvenire, 21 ottobre 2007
ELZEVIRO Berg all' Opera di Roma
Le Passioni del Wozzeck

Esiste un legame privilegiato fra il Wozzeck di Alban Berg e il Teatro dell' Opera di Roma. In piena guerra, nel teatro fascista per eccellenza, se ne aveva la prima rappresentazione italiana sotto la guida del grande Tullio Serafin mentre in Germania non si eseguiva. L' Autore era scomparso prematuramente per l' avvelenamento procuratogli dalla puntura di una vespa, lasciando come tutti sanno incompiuta la Lulu, che non è genericamente «opera d' avanguardia» ma vuol alleare il dramma alle strutture della dodecafonia e strutture formali prefissate e sposate a questa. Se Berg non fosse morto avrebbe trovato un accomodamento col Regime e non sarebbe stato il Wozzeck, derivante dai frammenti ottocenteschi di Georg Büchner, bollato in quanto «arte degenerata». L' esecuzione italiana, peraltro, ironia della sorte, approntata nell' ambito di scambi culturali italo-tedeschi, mostra la superba indifferenza di quell' altro Regime alla politica dell' arte. Aggiungiamo che il Wozzeck è certo un' «opera di avanguardia» relativamente ai suoi tempi e alle loro convenzioni sociali: ché non sarebbe sopravvissuto come uno dei capolavori del teatro musicale se il suo esser moderno contenesse un milligrammo di provocazione gratuita o d' inutile sperimentalità. La sintesi è insuperabile nella serie di scene correlate più che altro dall' atmosfera d' incubo che non perde un istante la sua tensione: ma agli orecchi nostri la partitura suona come un punto altissimo dell' estrema stagione classico-romantica tedesca. Il linguaggio di Berg è avidamente, seppur occultamente, cosmopolita, e i rapporti con l' Impressionismo francese, oltre che col Verismo italiano, sono profondi: alla fine ha qualcosa di così tedesco che pensiamo a quanto lo zelo dei tedeschi censori si sia ritorto contro se stesso. Si diceva dei rapporti col Teatro dell' Opera. Essi felicemente continuano, come mostra un' edizione davvero esemplare andata in scena in questi giorni, direttore Gianluigi Gelmetti,regista e autore di bozzetti e figurini Giancarlo Del Monaco. Questi parte da una considerazione geniale: la regia del Wozzeck è perfetta da Berg attraverso la pronuncia della parola, le pause, le inflessioni verbali che la musica attribuisce, il rapporto di questo col reticolo orchestrale il quale, a onta dell' esser costruito secondo forme «assolute», è al tempo stesso potente gesto drammatico. Allora la regia non deve calarsi sopra quella già fatta da Berg, o Dio liberi calarsi aggiungendo simboli, spostando l' epoca, etc... deve lavorare per sottrazione, scavando attorno al testo di Berg affinché esso sia circondato il più possibile di vuoto. Il palcoscenico vede solo un piano inclinato grigio, percorso da linee biancastre l' intersecarsi delle quali provoca figure geometriche irregolari, all' interno di esse scritti numeri, come un disegno cabalistico. Nient' altro. Ma questo piano inclinato è tutto costituito di botole all' aprirsi delle quali i personaggi vi prendono posto: il loro exeunt è dato dal reinfilarsi nelle botole che si richiudono su di essi. Che siano anche tombe e che il Wozzeck sia una storia dal destino così inflessibile che i personaggi possono esser visti come gia morti, si scopre in un attimo di massima tensione quando tutte le botole si aprono simultaneamente, silenzioso urlo di cimitero. La recitazione è curata come nel teatro di prosa e se ne avvantaggiano tutti i cantanti, a cominciare dal protagonista Jean-Philippe Lafont, impressionante per il suo essere qualcosa di più di una voce e di un attore, una personalità. Se penso a Gianluigi Gelmetti sul podio mi viene in mente quel che proprio Serafin era solito dire, essere il direttore italiano capace di calarsi più di ogni altro nei caratteri, per così dire, nazionali delle varie musiche affrontate, il non esistere per lui confini. Tocca la naturalezza con che Gelmetti fa suo uno stile che i superficiali riterrebbero una sorta di dominio riserbato, dando una lettura di fulgida esattezza (e dirigendo praticamente a memoria, l' abbiamo osservato) della partitura difficillima, ottenendo dalla sua orchestra un timbro morbido a un tempo e screziatissimo, divisionistico giusta il di lei carattere: e riuscendo a far percepire l' apparato formale della scrittura senza mai coprire le voci ma salvando l' aspetto divinamente ambivalente di essa, ripeto, musica assoluta e teatro. Il tutto avendo superato la prima preoccupazione, quella del solfeggio e della coordinazione (si pensi al valzer dell' «interno»!), così da evitare quel tanto di rigido e meccanico che esecuzioni pure illustri posseggono. Qui vorrei ricordare l' intimo sentimento col quale, alle soglie del silenzio, Gelmetti affronta la scena della lettura del Vangelo con la musicalissima Marie di Janice Baird. Il Tamburmaggiore, Richard Decker, possiede lo «squillo», qui vicino al fatuo chicchirichì di un gallo; Alexander Kaimbacher è un sensibilissimo Andres; Pierre Lefebvre è un Capitano tra i migliori che abbiamo ascoltati e Francesco Facini un crudelissimo Medico.

Paolo Isotta

Le note di Wozzeck per la pace

Un autunno romano. Negli stessi giorni in cui nel 1942 il Wozzeck venne rappresentato (in prima italiana) al Teatro Reale dell'Opera consumando una sorta di sfida nei confronti dell'alleato tedesco che aveva messo all'indice come musica degenerata il capolavoro di Alban Berg, un anno dopo 1024 ebrei romani furono rastrellati dai nazisti, destinazione Auschwitz. Solo in sedici tornarono a casa alla fine della guerra. Non c'era alcuna relazione tra i due eventi, ma l'altra sera, ancora in un autunno di altri 64 anni dopo, l'ente lirico romano ha stabilito fra essi una sorta di ideale collegamento. E alle vittime del nazismo ha dedicato la prima rappresentazione di una nuova messa in scena di quest'opera, che non è ­solo una descrizione del disagio dell'uomo contemporaneo e di un'umanitsenza prospettive, ma anche una condanna morale della sopraffazione e della guerra.
Il pubblico (peraltro non numeroso) ha riservato una buona accoglienza a un allestimento che ha curato in modo particolare, com'era giusto e doveroso, la parte musicale del Wozzeck. Sul podio, Gianluigi Gelmetti ha realizzato il difficile equilibrio fra momenti che anticipano ed esprimono il nuovo corso della musica e cascami lirico- romantici che, nel segno della tradizione viennese, Berg pareva ancora tutt'altro che deciso a liquidare.
L'orchestra impegnata da quest'opera­ tra le più numerose, anche se poi agisce per piccoli organici e con effetti diversissimi tra loro, a seconda delle esigenze della variegata partitura ed esprimendo puntualmente le situazioni che il compositore aveva tratto dal dramma teatrale di Georg Buchner, a sua volta ispirato da una vicenda reale. L'esecuzione è ­stata quasi impeccabile; e anche i cantanti sono stati all'altezza dei rispettivi ruoli, a cominciare dal protagonista, il baritono Jean-Philippe Lafont, che vive intensamente, dal punto di vista vocale e scenico, il dramma del soldato Wozzeck, torturato dal mondo che lo circonda. Tutti si fanno beffe di lui: il capitano (Pierre Lefebvre) inesorabile nonostante il suo falsetto, il medico (Francesco Facini) che lo trasforma in una sorta di cavia umana, la moglie Marie ( Janice Baird) che lo tradisce con il violento tamburmaggiore (Richard Decker).
Essenziale, forse troppo, la regia di Giancarlo Del Monaco. La sua scenografia­ un desolante piano inclinato attraversato da una tangente luminosa che segnala il susseguirsi delle quindici scene mentre l'orchestra esegue gli stupendi interludi di Berg.

Virgilio Celletti

Ultima modifica il Martedì, 16 Luglio 2013 19:12
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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