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ARTE DEL TEATRO (L') - regia Pascal Rambert

Paolo Musio in "L'arte del teatro", regia Pascal Rambert. Foto Luca Del Pia Paolo Musio in "L'arte del teatro", regia Pascal Rambert. Foto Luca Del Pia

testo e regia di Pascal Rambert
traduzione di Paolo Musio
con Paolo Musio
produzione Emilia Romagna Teatro, Triennale Teatro dell'arte, Teatro Metastasio di Prato,
Drama teatro, Modena, 22 febbraio 2017

www.Sipario.it, 15 marzo 2017

«La sete è l'arte del teatro. Ridi loro in faccia. Di loro che ho scelto l'arte del teatro per occuparmi dell'essere. Lasciali commentare. Lasciali ai loro commenti. Tu agisci e ti occupi dell'essere. Tu non ti occupi di recitare». Così Paolo Musio ne L'arte del teatro si rivolge al 'suo' cane, un levriero nell' allestimento prodotto da Ert, un cocker nel testo di Pascal Rambert. Il drammaturgo, coreografo e regista francese ha 'regalato' a Paolo Musio che cura anche la traduzione, una riflessione sull'arte del teatro e sulla necessità di essere e non fingere in scena. Un attore dimesso, si presenta in pantofole e tuta, si siede e comincia a dialogare con il suo cane. In gioco c'è il suo stesso essere attore, in gioco c'è la passione per il teatro e l'odio per i mestieranti e certo teatro che vuole spiegare tutto o teatranti che pretendono di sapere tutto.
«Negli anni Ottanta ho fatto uscire tante lacrime. Gli attori fanno uscire le lacrime. Gli attori adorano questo. Non c'è niente di più schifoso di un attore che si agita inutilmente per fare uscire le lacrime. I mestieranti non sanno fare uscire le lacrime. Ti insegnerò a fare uscire le lacrime», si rivolge al suo cane. L'attore racconta la sua arte e la sua disillusione, sottolinea come l'arte del teatro non sia quella dei mestieranti accusati di produrre solo effetti speciali, di commuovere facile, di agitarsi troppo. L'attore che solitario parla di teatro col suo cane, è un attore che non sa, che resta in ascolto perché: «I grandi attori hanno bisogno di silenzio per lavorare. I grandi attori lavorano in silenzio. I grandi attori nel silenzio pesano le parole dentro di sé. Non vedrai mai niente ad occhio nudo. Tutto è dentro. Pesano ogni parola sulla bilancia del loro respiro. Il respiro è una bilancia ad alta precisione che dà il peso alle parole».
Il cane lo ascolta, il cane di quell'attore è il muto interlocutore di un soliloquio che interroga l'interprete e lo spettatore al tempo stesso. Alla fine l'impressione è quella che il cane nel suo essere senza mediazione sia vero, sia l'attore che il protagonista del monologo di Rambert va cercando, mentre Paolo Musio sembra - a tratti – incarnare quello che il suo personaggio non vuole: il recitare, l'agitarsi sulla scena dei mestieranti. È questa verità dell'essere che va cercando Pascal nel teatro e – complice il suo attore in crisi – la rileva con un gioco forse ironico nell'essere lì, nell'essere autentico del cane.
Nelle parole di Pascal Rambert incarnate da Paolo Musio c'è una professione di fede inquieta, c'è un senso alto del teatro e della vita. «Quando viviamo nell'arte del teatro viviamo in un tempo aggiuntivo. Noi aggiungiamo tempo alla vita che ci abbandona. Gli attori sono cani che aggiungono tempo alla vita». L'arte del teatro è la confessione della disillusione: «Ho amato il teatro. L'ho amato più di tutto. Più di te. Più delle ragazze. Più dei ragazzi. L'ho avuto caro. Non lo amo più. Non lo capisco più». Ed è da questo senso di non più appartenenza che fuoriesce – paradossalmente – un'analisi intensa e in tensione di ciò che è o dovrebbe essere il teatro, dell'essere dell'attore, ma anche delle attese dello spettatore. E l'ottica dello spettatore e l'imperativo a non disattendere le sue attese di intensità e poesia sono ben espressi quando Musio/Rambert afferma: «Mia madre diceva nei negozi in piena faccia al venditore le ho comprato questo ieri e guardi qua come si è ristretto, io dico la stessa cosa, ho comprato un desiderio venendo a vedere il tuo putrido Shakespeare o quello che vuoi e tu me lo hai ristretto portandolo in teatro. Non ci capisci niente e parli. Cerchi solo di copiare».
Nel leggere il testo – più che nel assistere alla misurata, ma non sempre incisiva prova d'attore di Paolo Musio – ci si commuove come capita al protagonista de L'arte del teatro quando afferma: «La vita per quel che è è talmente più bella di quanto avrei potuto fare. Assesta un colpo al morale guardare la vita per quel che è. E paragonare questa bellezza alle sciocchezze che siamo stati capaci di fare durante tutta la nostra vita in teatro. Bisogna essere modesti e gentili con se stessi. Avrò fatto ciò che potevo. Piangendo a volte. Amando molto. Bisogna amare è tutto. Bisogna amare molto. Non c'è nient'altro. Tu mi ami. Tu mi ami come amano i cani. Bisogna amare come amano i cani». E dopo di ciò l'applauso è commosso, pieno, partecipato per la bellezza di queste parole e tutto passa in secondo piano.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Mercoledì, 15 Marzo 2017 21:52

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