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ART - regia Giampiero Solari

Art Art regia Giampiero Solari

di Yasmina Reza
con Alessandro Haber, Alessio Boni, Gigio Alberti
traduzione Alessandra Serra
scene Gianni Carluccio, luci Marcello Iazzetti, costumi Nicoletta Ceccolini
regia Giampiero Solari
Produzione Nuovo Teatro / Gli Ipocriti.
Al Teatro Eliseo di Roma dal 20 dicembre al 15 gennaio 2012

www.Sipario.it, 2 febbraio 2012

Yasmina Reza venne rivelata alla scena italiana dal Teatro Stabile di Genova, nel 2001, con la messinscena di "Tre variazioni sulla vita", diretto da Piero Maccarinelli, protagonisti Mariangela Melato, Ugo Maria Morosi e Valentina Sperlì.

Sconosciuti (ai più) i suoi romanzi e le sue commedie (già note in Francia, da "Conversazione dopo un funerale" a "La traversata d'inverno"), faceva però capolino –nel suo curriculum italiano- un lontano adattamento da "Le metamorfosi" di Fafka, rappresentato per poche repliche ad un Festival di Spoleto, anni novanta, alla cui regia si distingueva, non a caso, un febbrile, incuriosito, molto sornione Roman Polanski (che infatti diresse "Carnage"in edizione filmica) .

"La scrittura teatrale –sosteneva la Reza- è la sola che mi permette di manipolare, da diversi punti di vista, personaggi e situazioni. Sono loro a restare uguali a se stessi; sono io a dovere mutare di ottica e prospettiva. E' un esercizio che consiglio a tutti, anche al di là del gioco scenico". Pirandello avrebbe chiosato "farsi ragione della 'ragione degli altri' ", con la supplementare costernazione che ad ogni immanenza, provvisorietà di giudizio non corrispondono mai clemenza o apertura mentale da parte delle "teste di mulo" (complementari al dogma e alle bellicose certezze).

Resta inevaso il dubbio, del come e del perché le commedie della Reza siano così trandy, à la page, vezzeggiate ed riciclate da impresari e compagnie di tutto l'occidente. Ponendosi, a me pare, ad esile baricentro fra Jonesco e Pinter, fra teatro della minaccia e pochade 'in vitro', laddove alla sarabanda degli accadimenti (si pensi a Feydeau, a Tristan Bernard ) si sostituisce- con smaliziato gioco semantico- il gorgo della parola, la rivolta del lemma, la staffetta della sineddoche e dell'equivoco lessicale

Inconfutabile è, al dunque, la capacità dell'autrice di costruire da una inezia, da un pretesto qualsiasi un grande maelstrom di equivoci, malintesi a staffetta: non fine a se stessi, ma sintomatici della labilità, della inaffidabile compulsività di una parola (di un dialogo smozzicato) che cambia di segno con il passare di bocca in bocca, di inganno in inganno, di interferenza (mentale) in interferenza (di ricezione) .

Scritto nel1994 (in pieno dibattito sui 'frammenti'e 'fermenti' della comunicazione interrotta, fuori rotta, post- barthesiana), "Art" afferra , ingurgita e tritura il tema (di per sé ozioso) della comprensibilità dell'arte contemporanea. Unitamente al veterano rapporto di amicizia fra tre uomini che si sfalda a causa di un quadro bianco, pagato moltissimo (quale status symbol del più ricco dei tre), ove ciascuno di essi intravede o crede di vedere uno zero assoluto o le più disparate ed algide simbologie (della cosmica futilità).

Viene in mente "L'imbroglio del lenzuolo" di Francesco Costa, dove però si narrava l'incantesimo iniziale della proiezione cinematografica (e dei suoi pionieri). O, più goliardicamente, l'antica vignetta, bianco immacolata, tolata al "Passaggio del mar Rosso", con gli ebrei già andati e gli egiziani non ancora arrivati.

Ma è ovvio che ad avere rilievo è, in questo caso la trita psicologia dei personaggi, diversi e complementari nelle loro nevrosi: Serge, facoltoso deus ex machina, Yvan cui tutto va di traverso ma che sta per aggrapparsi ad un tardivo matrimonio, Marc campione di cinismo eroicomico, dotato di un superego che gli puntella certezze di cartapesta

All'interno di un microcosmo scenograficamente asettico ed elegantemente vacuo, frustrato e prevedibile nei guizzi di ilarità grottesca e risate sul patibolo, tipico di "uomini senza donne" (non per odio, ma per paura), "Art" espone in acendenza tutto il suo arsenale di liti, ripicche, scontri verbali e risse corporali, generatore di divertimento e desolazione, specchi segreti e specchi infranti di una 'costrizione' al vivere tra gli altri e con gli altri, anche quando il tedio, la prevedibilità, la tirannide (e il masochismo) dei ruoli consiglierebbero diversamente.

Va da sé che il 'quadro bianco' assolve al meglio a quel ruolo di innocente monolite, casuale convitato di pietra che tutto scatena e nulla ricompone- tranne lo sfregio di pennarello su tela che mette fine alla maratona logorroica ed al suo inevitabile arenarsi in un 'cul de sac' che è sfinimento fisico e mentale dei tre duellanti e del pubblico che vivacemente si appassiona. Con bocca buona.

Angelo Pizzuto

Ultima modifica il Martedì, 23 Luglio 2013 09:35

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