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A.H. - regia Antonio Latella

Federico Bellini in A.H. - regia Antonio Latella. Federico Bellini in A.H. - regia Antonio Latella.

drammaturgia Federico Bellini e Antonio Latella
regia: Antonio Latella
con Francesco Manetti
elementi scenici e costumi: Graziella Pepe, luci: Simone De Angelis; assistente alla regia: Francesca Giolivo, fonico: Giuseppe Stellato, production: Brunella Giolivo, management: Michele Mele, produzione stabilemobile - compagnia Antonio Latella, in coproduzione con Centrale Fies in collaborazione con KanterStrasse/Valdarno Culture
visto a Droodesera, Centrale Fies (Dro – Trento). dal 26 luglio a 3 agosto 2013

www.Sipario.it, 18 ottobre 2013

C'è voglia di confrontarsi con le grandi icone della cultura e storia dell'occidente, c'è voglia di andare al cuore del nostro essere uomini frutti di una cultura, anche barbarica, indicibile, inesprimibile. Ed è questo che muove la partitura per attore solo creata da Antonio Latella per Francesco Manetti, strepitoso corpo vibrante. Manetti è colui che cura la preparazione fisico/espressiva degli attori della Stabilemobile Compagnia Antonio Latella, ma con A. H. da preparatore diventa attore e lo fa in una prova di grande intensità fisica. A. H. è la ricerca dell'origine della violenza, forse della banalità del male, è la ricerca di un senso che non c'è, è il tentativo di rispondere alla domanda: «E se invece di mettere i baffi alla Gioconda li togliessimo a Hitler?». In gioco ci sono la verità e la menzogna, l'essere e il sembrare. Francesco Manetti entra in scena vestito di un abito di carta, ci dice di verità e menzogna, attinge a piene mani dalla linguistica, dalla Bibbia in cerca di un bandolo della matassa che dia senso all'impulso di morte e violenza che attraversa da sempre l'umanità. L'azione fisica è un incalzare di citazioni: dal romanzo Le benevole di Jonathan Littell al Grande dittatore di Chaplin, per passare dalla Torah a Tolkien. Antonio Latella che firma la drammaturgia con Federico Bellini ci mette dentro tanto, accumula materiali che sulla scena vuota sono l'azione di dipingere la seconda lettera dell'alfabeto ebraico che diventa gesto/poetico e insulto mimico, sono un vaso di Nutella con cui l'attore si lorda il volto, sono due dita poste come baffetti alla Hitler, sono lo strabuzzare gli occhi di certe fotografie del duce, è lo strappare in mille pezzi un foglio bianco ed evocare i milioni di ebrei sterminati nei lager... Nel corpo di Francesco Manetti si somma la storia dell'uomo attraverso le sue armi d'offesa e l'effetto che queste hanno sulle vittime, in una danza di spari e cadute, macete e ferite che lascia stupefatti per intensità e perfezione d'esecuzione fino alla scena fiale in cui l'attore emerge da una nuvola bianca e ricorda l'immagine dei sopravvissuti dai lager, l'immagine di chi usciva dalle nuvole delle macerie delle Torri Gemelle, suggerisce una risurrezione possibile anche dal peggiore dei mali e dalla più assoluta violenza, una resurrezione possibile e forse affidata al nostro interrogarci di uomini.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Sabato, 19 Ottobre 2013 07:38

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