BSipario Mensile e Portale: scopri il mondo dello spettacolo. Guida ai Teatri, ai Festival, alle Scuole di Danza e di Teatro; Recensioni degli spettacoli, Comunicati stampa, Cyclopedia e molto altro.https://sipario.it/recensioniprosab.feed2024-03-28T22:53:44+01:00Joomla! - Open Source Content ManagementBACCANTI (LE) - regia Antonio Calenda2012-07-15T01:00:00+02:002012-07-15T01:00:00+02:00https://sipario.it/recensioniprosab/item/1834-sipario-recensioni-baccanti-le.htmlAngelo Pizzuto<div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/40b5b5295ef1de0f509cd965c10fc45a_S.jpg" alt="Le Baccanti" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Euripide</strong><br /><strong>Traduzione di Giorgio Ierano</strong><br /><strong>Regia di Antonio Calenda. Scene di Pier Paolo Bisleri. Costumi di Germano Mazzocchetti. Coreografie della Martha Graham Dance Company.</strong><br /><strong>Con Maurizio Donadoni, Gaia Aprea, Francesco Benedetto,Daniele Griggio, Massimo Nicolini, Simonetta Cartia, Daniela Giovanetti, Luca Di Mauro, Alessandro Aiello, Davide Geluardi, Andrea Spatola, Jacopo Venturiero, Giacinto Palmarini</strong><br /><strong>Prod. Inda. Teatro Greco di Siracusa. Dal 10 maggio al 30 giugno 2012</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 15 luglio 2012</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">E' una lettura austera ma non solenne, calligrafica ma non ampollosa (ove la cura estetica si decanta nell'ampia spazialità del campo scenico) quella cui mette capo Antonio Calenda per le "Le Baccanti" di Euripide di scena sino a fine giugno al Teatro Greco di Siracusa per l'annuale ciclo di rappresentazioni promosse dall'Istituto Nazionale per il Dramma Antico.</p> <p style="text-align: justify;">Indispensabile –per qualsiasi analisi critica- è individuare, in prima istanza, il contesto storico-culturale in cui si colloca quest'ultima impresa creativa della tarda maturità dell'autore. Recando specifica testimonianza della complessa crisi civile e religiosa che , alla fine del V sec., minaccia la sopravvivenza del culto tradizionale delle divinità olimpiche strettamente connesso ai 'fondamentali' etici della polìs". Perche? Perché la Grecia classica sta per essere travolta da usanze e modelli di quella che verrà a subentrare sotto il nome di 'età alessandrina'. Segnando così la fine della "paideia" platonica , che Euripide qui individua nella disintegrata armonia 'fra essenza del femminile e del maschile' mai disgiunte nel 'mondo delle idee primigenee' e nel 'mito della caverna' Donde il passaggio da una religiosità intesa come ritualità simbolica (punto d'incontro dei valori e costumi condivisi dai cittadini) a una religiosità a carattere misterico , "a una fede individuale, spesso disturbante, alienante e contraddittoria"- secondo le acute annotazioni del grecista e traduttore Nuccio Palombo, che ravvede nelle "Baccanti" la travagliata consapevolezza di questa epocale (e nei millenni ciclica) crisi verso l'ignoto.</p> <p style="text-align: justify;">Un richiamo alla struttura del mito: che ruota intorno all'ambigua 'signorìa' del semidio Dioniso nato dall'amore di Zeus e dalla mortale Semele. Le cui sorelle ed il nipote Penteo, nella sventurata città di Tebe (stesso sfondo della tragedia di Edipo) diffidano della sua origine divina, inducendo Dionisio a imporre 'la sua verità', mediante l'indotta follia contro la 'comunità delle donne', spinte a salire sul monte Citerone in cui scatenarsi al culto, anzi all'idolatria, di una presenza estranea e destabilizzante. Proprio per la sua forza di sobillare e di manipolazione le viscere più temute e sconosciute dell'entità femminea.</p> <p style="text-align: justify;">Penteo, nonostante le profezie di Tiresia e i timori del nonno Cadmo, continua a non credere alla natura divina di Dioniso e si fà convincere a travestirsi da donna per spiare riti, tribalità e prodigi che, si racconta, vengano compiuti dalle divenute 'menadi'</p> <p style="text-align: justify;">Avendo Dioniso per avversario, Penteo è però scambiato dalle donne per un leone e viene ucciso in un loro momento di 'mistica' alterazione.</p> <p style="text-align: justify;">Agave, madre di Penteo, ritorna a Tebe con la testa del figlio, ancora convinta che si tratti di un leone. (solo quando rientra in sè si rende conto dell'orrore compiuto). Al termine della tragedia appare Dioniso, fattosi 'deus ex machina', spiegando che è quella (di cui siamo stati testimoni) l'esemplare punizione per chi non ha creduto nella sua natura divina. Come in un effluvio di saggezza e protervia, di lesa maestà e placato furore, di cui sono (per fortuna) emendati tonali e lessicali cedimenti al roboante e sentenziale.</p> <p style="text-align: justify;">Ci si chiede però, e al di là dell' affabulazione orfica e sanguinaria: quale 'filosofia' dare a questo genere di narrazione, dove allegoria e ambiguità del mito si prestano alle più disparate interpretazioni, secondo che le si osservi sotto un diverso profilo antropologico, psicanalitico, metaforico?</p> <p style="text-align: justify;">Cosa pensa l'intellettuale (paleo-umanista) Euripide della religione e dei suoi riti misterici?</p> <p style="text-align: justify;">Nelle "Baccanti", Euripide è un dolente razionalista che vuole denunciare il fanatismo degli uomini e la crudeltà degli dèi (a dimostrazione del come "tantum potuit religio suadere malorum"), essendo però consapevole del ruolo che la religione 'non eversiva' (non dionisiaca) svolge a lenimento delle torture cui è esposto l'animo umano. Quindi, come se il cedimento alle fascinazioni, agli allettamenti del 'nuovo' fosse premessa di disgregazione, sventura, dannazione.</p> <p style="text-align: justify;">Certamente, all'interno della tragedia – assecondando la tesi di Palombo- si muovono e interagiscono, tra i vari personaggi, "modi diversi di aderire alla fede religiosa o, addirittura, anche di negarla in parte, o del tutto".</p> <p style="text-align: justify;">L'autore, che è discepolo della logica sofistica 'racconta' e non condanna, a priori, il culto dionisiaco; né ritiene, sul piano psicologico, deplorevole dare sfogo alle incognite dell'istinto, all'impulso di una 'esoterica' escandescenza che nega ragione e obbedienza 'al mondo dei padri'. Per la legittima affermazione di una femminilità furibonda e devastante che è disvelamento di forze sconosciute, ribelliste, ma prive di progettualità alternative all'ordine, alla struttura maschile della decadente polis.</p> <p style="text-align: justify;">Elementi di riflessione che lo spettacolo di Calende tende a riconoscere ma non scandagliare: quindi senza forzare valenze politiche o di contrasto di ruoli uomo-donna, dando capo ad un allestimento di buona cultura figurativa, esaltato dagli elementi coreografici, figurativi, costumistici, in cui i contrasti cromatici (di nero, rosso e colore oro) assecondano una sorta di liturgia beffarda e funerea che, in definitiva, è la cifra espressiva di un allestimento che allude e non delude (lo spettatore estivo).</p> <p><strong>Angelo Pizzuto</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/40b5b5295ef1de0f509cd965c10fc45a_S.jpg" alt="Le Baccanti" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Euripide</strong><br /><strong>Traduzione di Giorgio Ierano</strong><br /><strong>Regia di Antonio Calenda. Scene di Pier Paolo Bisleri. Costumi di Germano Mazzocchetti. Coreografie della Martha Graham Dance Company.</strong><br /><strong>Con Maurizio Donadoni, Gaia Aprea, Francesco Benedetto,Daniele Griggio, Massimo Nicolini, Simonetta Cartia, Daniela Giovanetti, Luca Di Mauro, Alessandro Aiello, Davide Geluardi, Andrea Spatola, Jacopo Venturiero, Giacinto Palmarini</strong><br /><strong>Prod. Inda. Teatro Greco di Siracusa. Dal 10 maggio al 30 giugno 2012</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 15 luglio 2012</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">E' una lettura austera ma non solenne, calligrafica ma non ampollosa (ove la cura estetica si decanta nell'ampia spazialità del campo scenico) quella cui mette capo Antonio Calenda per le "Le Baccanti" di Euripide di scena sino a fine giugno al Teatro Greco di Siracusa per l'annuale ciclo di rappresentazioni promosse dall'Istituto Nazionale per il Dramma Antico.</p> <p style="text-align: justify;">Indispensabile –per qualsiasi analisi critica- è individuare, in prima istanza, il contesto storico-culturale in cui si colloca quest'ultima impresa creativa della tarda maturità dell'autore. Recando specifica testimonianza della complessa crisi civile e religiosa che , alla fine del V sec., minaccia la sopravvivenza del culto tradizionale delle divinità olimpiche strettamente connesso ai 'fondamentali' etici della polìs". Perche? Perché la Grecia classica sta per essere travolta da usanze e modelli di quella che verrà a subentrare sotto il nome di 'età alessandrina'. Segnando così la fine della "paideia" platonica , che Euripide qui individua nella disintegrata armonia 'fra essenza del femminile e del maschile' mai disgiunte nel 'mondo delle idee primigenee' e nel 'mito della caverna' Donde il passaggio da una religiosità intesa come ritualità simbolica (punto d'incontro dei valori e costumi condivisi dai cittadini) a una religiosità a carattere misterico , "a una fede individuale, spesso disturbante, alienante e contraddittoria"- secondo le acute annotazioni del grecista e traduttore Nuccio Palombo, che ravvede nelle "Baccanti" la travagliata consapevolezza di questa epocale (e nei millenni ciclica) crisi verso l'ignoto.</p> <p style="text-align: justify;">Un richiamo alla struttura del mito: che ruota intorno all'ambigua 'signorìa' del semidio Dioniso nato dall'amore di Zeus e dalla mortale Semele. Le cui sorelle ed il nipote Penteo, nella sventurata città di Tebe (stesso sfondo della tragedia di Edipo) diffidano della sua origine divina, inducendo Dionisio a imporre 'la sua verità', mediante l'indotta follia contro la 'comunità delle donne', spinte a salire sul monte Citerone in cui scatenarsi al culto, anzi all'idolatria, di una presenza estranea e destabilizzante. Proprio per la sua forza di sobillare e di manipolazione le viscere più temute e sconosciute dell'entità femminea.</p> <p style="text-align: justify;">Penteo, nonostante le profezie di Tiresia e i timori del nonno Cadmo, continua a non credere alla natura divina di Dioniso e si fà convincere a travestirsi da donna per spiare riti, tribalità e prodigi che, si racconta, vengano compiuti dalle divenute 'menadi'</p> <p style="text-align: justify;">Avendo Dioniso per avversario, Penteo è però scambiato dalle donne per un leone e viene ucciso in un loro momento di 'mistica' alterazione.</p> <p style="text-align: justify;">Agave, madre di Penteo, ritorna a Tebe con la testa del figlio, ancora convinta che si tratti di un leone. (solo quando rientra in sè si rende conto dell'orrore compiuto). Al termine della tragedia appare Dioniso, fattosi 'deus ex machina', spiegando che è quella (di cui siamo stati testimoni) l'esemplare punizione per chi non ha creduto nella sua natura divina. Come in un effluvio di saggezza e protervia, di lesa maestà e placato furore, di cui sono (per fortuna) emendati tonali e lessicali cedimenti al roboante e sentenziale.</p> <p style="text-align: justify;">Ci si chiede però, e al di là dell' affabulazione orfica e sanguinaria: quale 'filosofia' dare a questo genere di narrazione, dove allegoria e ambiguità del mito si prestano alle più disparate interpretazioni, secondo che le si osservi sotto un diverso profilo antropologico, psicanalitico, metaforico?</p> <p style="text-align: justify;">Cosa pensa l'intellettuale (paleo-umanista) Euripide della religione e dei suoi riti misterici?</p> <p style="text-align: justify;">Nelle "Baccanti", Euripide è un dolente razionalista che vuole denunciare il fanatismo degli uomini e la crudeltà degli dèi (a dimostrazione del come "tantum potuit religio suadere malorum"), essendo però consapevole del ruolo che la religione 'non eversiva' (non dionisiaca) svolge a lenimento delle torture cui è esposto l'animo umano. Quindi, come se il cedimento alle fascinazioni, agli allettamenti del 'nuovo' fosse premessa di disgregazione, sventura, dannazione.</p> <p style="text-align: justify;">Certamente, all'interno della tragedia – assecondando la tesi di Palombo- si muovono e interagiscono, tra i vari personaggi, "modi diversi di aderire alla fede religiosa o, addirittura, anche di negarla in parte, o del tutto".</p> <p style="text-align: justify;">L'autore, che è discepolo della logica sofistica 'racconta' e non condanna, a priori, il culto dionisiaco; né ritiene, sul piano psicologico, deplorevole dare sfogo alle incognite dell'istinto, all'impulso di una 'esoterica' escandescenza che nega ragione e obbedienza 'al mondo dei padri'. Per la legittima affermazione di una femminilità furibonda e devastante che è disvelamento di forze sconosciute, ribelliste, ma prive di progettualità alternative all'ordine, alla struttura maschile della decadente polis.</p> <p style="text-align: justify;">Elementi di riflessione che lo spettacolo di Calende tende a riconoscere ma non scandagliare: quindi senza forzare valenze politiche o di contrasto di ruoli uomo-donna, dando capo ad un allestimento di buona cultura figurativa, esaltato dagli elementi coreografici, figurativi, costumistici, in cui i contrasti cromatici (di nero, rosso e colore oro) assecondano una sorta di liturgia beffarda e funerea che, in definitiva, è la cifra espressiva di un allestimento che allude e non delude (lo spettatore estivo).</p> <p><strong>Angelo Pizzuto</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>BACCANTI – regia Laura Sicignano2022-01-13T13:06:45+01:002022-01-13T13:06:45+01:00https://sipario.it/recensioniprosab/item/14137-baccanti-regia-laura-sicignano.htmlGigi Giacobbe<div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/afbc262463875919b7704535a06f4bdf_S.jpg" alt=""Baccanti", regia Laura Sicignano. Foto Antonio Parrinello" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Euripide <br />regia di Laura Sicignano<br />Riduzione e adattamento di Laura Sicignano e Alessandra Vannucci<br />Interpreti: Manuela Ventura, Egle Doria, Lydia Giordano, Silvia Napoletano, Alessandro Fazzino, Antonio Alveario, Franco Mirabella, Aldo Ottobrino, Silvio Laviano<br />Musiche originali eseguite dal vivo: Edmondo Romano<br />Scene e costumi: Guido Fiorato. Movimenti di scena: Ilenia Romano<br />Luci: Gaetano La Mela. Video e suono: Luca Serra<br />Regista assistente: Nicola Alberto Orofino<br />Produzione: Teatro Stabile di Catania<br />Prima nazionale: Teatro Vittorio Emanuele di Messina 7/9 gennaio 2022</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 8 gennaio 2022</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Hanno un bell’inizio queste <em>Baccanti</em> di Euripide secondo Laura Sicignano di cui cura pure traduzione e adattamento assieme ad Alessandra Vannucci. messe in scena al Vittorio Emanuele di Messina: con una Manuela Ventura nei neri abiti androgeni del dio Dioniso, posta in alto d’una scala al centro del palcoscenico, agghindato per intero da foglioline verdi che, grazie ai video di Luca Serra, sembra ti arrivino addosso per essere poi riassorbite per incanto e ripiegarsi in alto e scomparire del tutto: evidenziando poi un ampio salone quasi museale con porte laterali e una serie nicchie sul fondo (le scene contemporanee sono di Guido Fiorato, suoi pure i costumi) occupate da un tris di fanciulle anch’esse in nero (Egle Doria, Lydia Giordano, Silvia Napoletano), una piccola rappresentanza di baccanti che si agita con un fare lascivo e sensuale. Nel prologo di Dioniso c’è già tutto il senso della tragedia lì dove recita che lui è giunto a Tebe per istituire il suo culto e vendicarsi delle zie, sorelle di sua madre Semele, ingravidata costei da Zeus dalla cui sua coscia partorirà proprio Dioniso come vuole il mito, attestando così le sue origini divine. Origini non riconosciute neppure da suo cugino Penteo (in giacca e cravatta quello di Aldo Ottobrino) diventato re di Tebe perché suo nonno Cadmo (Franco Mirabella) gli ha lasciato in eredità il trono. Adesso questo vecchio ancora in gran forma e in compagnia del cieco-non-cieco indovino Tiresia (alquanto allegrotto quello di Antonio Alveario che accenna a piccoli passi di danza, togliendosi ad un tratto pure la benda dagli occhi), si avviano come due clochard con tirso in mano sul monte Citerone per partecipare alle mistiche orge delle baccanti. Se i due vengono scherniti da Penteo,” cosa fate dove andate alla vostra età”, Dioniso viene deriso e imprigionato all’interno d’un armadio a vetri, liberandosi subito dopo in un niente, unendosi poi alle sue vampiresche seguaci. Giunge in scena il messaggero di Silvio Laviano con occhiali da saldatore in testa e guanto rosso nella mano destra, forse perché se l’è bruciato, raccontando al re i prodigi delle baccanti che allattano daini e cuccioli di lupi, che fanno scaturire acque dalle rupi, vino e latte dal suolo, miele dai tirsi, in grado pure di devastare contrade e ridurre a brandelli qualunque tipo di armento. È quasi un funereo segnale per Penteo che non riesce a cogliere il pericolo, tutto teso com’è a domare quelle belve senza alcuna morale. A questo punto Dioniso architetta la sua vendetta: fingendo di dargli buoni consigli gli dice di travestirsi da baccante, salire sul Citerone per osservare dall’alto d’un albero i selvaggi riti di quelle indiavolate e nello stesso tempo lo lobotomizza col pensiero. Una voce fuori campo racconterà che Penteo scambiato per un leone viene letteralmente sbranato e fra le baccanti c’è sua madre Agave (Alessandra Fazzino) che gli staccherà di netto la testa per infilzarla su un tirso in segno di vittoria. La poverina riacquisterà più tardi i sensi e piangerà a lungo il figlio morto mentre Dioniso uscirà di scena trionfante. Ormai è diventato un vezzo far interpretare il ruolo maschile di Dioniso ad un’attrice/donna. Lo abbiamo visto in tanti spettacoli passati e pure di recente al Teatro greco di Siracusa con la Fura dels Baus spagnola, ma ciò che resta dello spettacolo della Sicignano non sono quelle parti poetiche (invero qui poco evidenti) che erompono nei canti corali e nel racconto del messaggero, ma l’ebrezza dionisiaca delle baccanti, colte nel finale in una danza astratta con le musiche eseguite dal vivo da Edmondo Romano e il dramma dell’umana debolezza dinanzi alla potenza, certamente ingiusta e crudele, della divinità.</p> <p><strong>Gigi Giacobbe</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/afbc262463875919b7704535a06f4bdf_S.jpg" alt=""Baccanti", regia Laura Sicignano. Foto Antonio Parrinello" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Euripide <br />regia di Laura Sicignano<br />Riduzione e adattamento di Laura Sicignano e Alessandra Vannucci<br />Interpreti: Manuela Ventura, Egle Doria, Lydia Giordano, Silvia Napoletano, Alessandro Fazzino, Antonio Alveario, Franco Mirabella, Aldo Ottobrino, Silvio Laviano<br />Musiche originali eseguite dal vivo: Edmondo Romano<br />Scene e costumi: Guido Fiorato. Movimenti di scena: Ilenia Romano<br />Luci: Gaetano La Mela. Video e suono: Luca Serra<br />Regista assistente: Nicola Alberto Orofino<br />Produzione: Teatro Stabile di Catania<br />Prima nazionale: Teatro Vittorio Emanuele di Messina 7/9 gennaio 2022</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 8 gennaio 2022</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Hanno un bell’inizio queste <em>Baccanti</em> di Euripide secondo Laura Sicignano di cui cura pure traduzione e adattamento assieme ad Alessandra Vannucci. messe in scena al Vittorio Emanuele di Messina: con una Manuela Ventura nei neri abiti androgeni del dio Dioniso, posta in alto d’una scala al centro del palcoscenico, agghindato per intero da foglioline verdi che, grazie ai video di Luca Serra, sembra ti arrivino addosso per essere poi riassorbite per incanto e ripiegarsi in alto e scomparire del tutto: evidenziando poi un ampio salone quasi museale con porte laterali e una serie nicchie sul fondo (le scene contemporanee sono di Guido Fiorato, suoi pure i costumi) occupate da un tris di fanciulle anch’esse in nero (Egle Doria, Lydia Giordano, Silvia Napoletano), una piccola rappresentanza di baccanti che si agita con un fare lascivo e sensuale. Nel prologo di Dioniso c’è già tutto il senso della tragedia lì dove recita che lui è giunto a Tebe per istituire il suo culto e vendicarsi delle zie, sorelle di sua madre Semele, ingravidata costei da Zeus dalla cui sua coscia partorirà proprio Dioniso come vuole il mito, attestando così le sue origini divine. Origini non riconosciute neppure da suo cugino Penteo (in giacca e cravatta quello di Aldo Ottobrino) diventato re di Tebe perché suo nonno Cadmo (Franco Mirabella) gli ha lasciato in eredità il trono. Adesso questo vecchio ancora in gran forma e in compagnia del cieco-non-cieco indovino Tiresia (alquanto allegrotto quello di Antonio Alveario che accenna a piccoli passi di danza, togliendosi ad un tratto pure la benda dagli occhi), si avviano come due clochard con tirso in mano sul monte Citerone per partecipare alle mistiche orge delle baccanti. Se i due vengono scherniti da Penteo,” cosa fate dove andate alla vostra età”, Dioniso viene deriso e imprigionato all’interno d’un armadio a vetri, liberandosi subito dopo in un niente, unendosi poi alle sue vampiresche seguaci. Giunge in scena il messaggero di Silvio Laviano con occhiali da saldatore in testa e guanto rosso nella mano destra, forse perché se l’è bruciato, raccontando al re i prodigi delle baccanti che allattano daini e cuccioli di lupi, che fanno scaturire acque dalle rupi, vino e latte dal suolo, miele dai tirsi, in grado pure di devastare contrade e ridurre a brandelli qualunque tipo di armento. È quasi un funereo segnale per Penteo che non riesce a cogliere il pericolo, tutto teso com’è a domare quelle belve senza alcuna morale. A questo punto Dioniso architetta la sua vendetta: fingendo di dargli buoni consigli gli dice di travestirsi da baccante, salire sul Citerone per osservare dall’alto d’un albero i selvaggi riti di quelle indiavolate e nello stesso tempo lo lobotomizza col pensiero. Una voce fuori campo racconterà che Penteo scambiato per un leone viene letteralmente sbranato e fra le baccanti c’è sua madre Agave (Alessandra Fazzino) che gli staccherà di netto la testa per infilzarla su un tirso in segno di vittoria. La poverina riacquisterà più tardi i sensi e piangerà a lungo il figlio morto mentre Dioniso uscirà di scena trionfante. Ormai è diventato un vezzo far interpretare il ruolo maschile di Dioniso ad un’attrice/donna. Lo abbiamo visto in tanti spettacoli passati e pure di recente al Teatro greco di Siracusa con la Fura dels Baus spagnola, ma ciò che resta dello spettacolo della Sicignano non sono quelle parti poetiche (invero qui poco evidenti) che erompono nei canti corali e nel racconto del messaggero, ma l’ebrezza dionisiaca delle baccanti, colte nel finale in una danza astratta con le musiche eseguite dal vivo da Edmondo Romano e il dramma dell’umana debolezza dinanzi alla potenza, certamente ingiusta e crudele, della divinità.</p> <p><strong>Gigi Giacobbe</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>BACIAMANO (IL) - regia Laura Angiulli2015-10-05T10:26:58+02:002015-10-05T10:26:58+02:00https://sipario.it/recensioniprosab/item/9442-baciamano-il-regia-laura-angiulli.htmlEtta Cascini<div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/78ac259b886a657da0c98ca6d31c3de6_S.jpg" alt=""Il baciamano", regia Laura Angiulli" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Manlio Santanelli</strong><br /><strong>regia di Laura Angiulli</strong><br /><strong>con Alessandra D'Elia e Stefano Jotti</strong><br /><strong>Piazza delle Feste al Porto Antico, Genova 14 settembre 2015</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 5 ottobre 2015</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Sul palco ingombro di pignatte e pentoloni una donna è immersa in un soliloquio pieno di accenti violenti e amare considerazioni sulla propria sorte. E' Janara, popolana napoletana intenta ad affilare con cura un coltello per uccidere un gentiluomo Giacobino suo prigioniero, e poi cucinarselo. Il tono surreale della vicenda, che si svolge nella Napoli del '700, è reso vivo e realistico dall'interpretazione di Alessandra D'Elia – Janara attraverso la voce, i gesti e la mimica del volto, e nella dizione del dialetto napoletano settecentesco (non sempre tuttavia comprensibile) elaborato dall' autore Santanelli. La regia evidenzia bene la differenza di idee e cultura tra il gentiluomo e la popolana, la cui sorprendente aspirazione è poter ricevere un baciamano. Lo spettacolo fa parte della rassegna teatrale del Festival Eccellenza Femminile, unitamente ad altre performances di rilevo quali <em>Artemisia</em> con Vittorio Sgarbi e Marta Bifano,<em> Simone De Beauvoir</em> con Isabel Russinova, <em>Caro Eduardo ti voglio bene</em> con Marisa Laurito.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Etta Cascini</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/78ac259b886a657da0c98ca6d31c3de6_S.jpg" alt=""Il baciamano", regia Laura Angiulli" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Manlio Santanelli</strong><br /><strong>regia di Laura Angiulli</strong><br /><strong>con Alessandra D'Elia e Stefano Jotti</strong><br /><strong>Piazza delle Feste al Porto Antico, Genova 14 settembre 2015</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 5 ottobre 2015</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Sul palco ingombro di pignatte e pentoloni una donna è immersa in un soliloquio pieno di accenti violenti e amare considerazioni sulla propria sorte. E' Janara, popolana napoletana intenta ad affilare con cura un coltello per uccidere un gentiluomo Giacobino suo prigioniero, e poi cucinarselo. Il tono surreale della vicenda, che si svolge nella Napoli del '700, è reso vivo e realistico dall'interpretazione di Alessandra D'Elia – Janara attraverso la voce, i gesti e la mimica del volto, e nella dizione del dialetto napoletano settecentesco (non sempre tuttavia comprensibile) elaborato dall' autore Santanelli. La regia evidenzia bene la differenza di idee e cultura tra il gentiluomo e la popolana, la cui sorprendente aspirazione è poter ricevere un baciamano. Lo spettacolo fa parte della rassegna teatrale del Festival Eccellenza Femminile, unitamente ad altre performances di rilevo quali <em>Artemisia</em> con Vittorio Sgarbi e Marta Bifano,<em> Simone De Beauvoir</em> con Isabel Russinova, <em>Caro Eduardo ti voglio bene</em> con Marisa Laurito.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Etta Cascini</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>BACIAMI STUPIDO - regia Ennio Coltorti2007-12-11T01:00:00+01:002007-12-11T01:00:00+01:00https://sipario.it/recensioniprosab/item/1988-sipario-recensioni-baciami-stupido.htmlRenato Ribaud<div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/198be7d00a8625ce267f957595d2ab69_S.jpg" alt="Baciami stupido" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Anna Bonacci</strong><br /><strong>regia: Ennio Coltorti</strong><br /><strong>con Franco Oppini, Patrizia Pellegrino, Michele Carfora, Adriana Ortolani</strong><br /><strong>Roma, Teatro Manzoni, dal dal 27 novembre al 23 dicembre 2007</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Il Giornale, 11 dicembre 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Quanti equivoci se il marito incontra Lola La Bomba</strong> </span></p> <p style="text-align: justify;">Anna Bonacci non dice molto agli appassionati di teatro, eppure è autrice di L'ora della fantasia, che è stata un grande successo sui palcoscenici di tutto il mondo. Da essa sono stati tratti due film, Moglie per una notte, di Mario Camerini e Baciami stupido, di Billy Wilder. Ora la commedia della Bonacci, con lo stesso titolo dello splendido film di Wilder, approda al Teatro Manzoni di Roma (fino al 23 dicembre) e in tournée, in un adattamento di Ennio Coltorti, che ne è anche il regista, e di Tullia Alborghetti.<br />Un adattamento che segue quasi alla lettera l'opera di Wilder, ambientata negli Stati Uniti e non nella contea inglese del testo originale. Rappresentata nel 1944 in Italia non fu subito capita dal pubblico e dalla critica, ma a poco a poco si rivelò una pièce deliziosamente trasgressiva, che affrontava con sottile umorismo e sorprendente anticipazione il problema della vita di coppia. Vita che rischia sempre la routine, l'affievolirsi della passione. Ma che succede se un giorno irrompe nella coppia un cantante di successo, casualmente di passaggio, il quale può lanciare le canzoni scritte dal padrone di casa, modesto organista di chiesa? E che può accadere quando il cantante ha bisogno di una donna compiacente, di una prostituta, nota come Lola La Bomba, che viene spacciata come moglie del candido organista? E se quest'ultimo litiga con la sua vera moglie, la quale poi finisce col trovarsi, per una serie di equivoci, nel letto di Lola? La commedia vive sul ribaltamento: la moglie fedele prende il posto della prostituta e quest'ultima per una notte si trasforma in casta sposa. La regia di Coltorti è funzionale, ma deve fare i conti con un cast poco omogeneo. Se Patrizia Pellegrino si disimpegna bene nelle vesti della moglie, Adriana Ortolani non ha la vivace personalità di Lola, mentre Franco Oppini è troppo consapevole per essere un candido sognatore. Michele Carfora è un divo della canzone un po' di maniera.</p> <p><strong>Giovanni Antonucci</strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Avanti, 30 novembre 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Lui, lei e le altre due</strong> </span></p> <p style="text-align: justify;">Franco Oppini con la sua vivace e spiritosa interpretazione ha dato senza alcun dubbio sale e pepe alla commedia andata in scena al Teatro Manzoni di Roma e che protrarrà le sue repliche ancora per qualche settimana. Parlo di "Baciami stupido", pièce liberamente ispirata a "L'ora della fantasia", nota commedia di Anna Bonacci riscritta in chiave attuale da Anna Alberghetti e da Ennio Coltorti che ne ha curato pure la regia. Accanto ad Oppini nel ruolo di uno svitato benzinaio che disperatamente cerca di lanciare le sue canzoni, Michele Carfora, mentre nella parte della prima moglie del simpatico protagonista, si è calata con seducenti vezzi Patrizia Pellegrino che assieme alla sua spigliata recitazione porta appresso sempre una gran simpatia. Al terzetto s'è fusa quale "quarto incomodo" una deliziosa Anna Bonacci che con gran bravura e senza mai andare sopra le righe, ha vivacizzato la figura della tenera prostituta di paese. Il pubblico che va al Manzoni sa ciò che vuole trovare all'accogliente teatro di via Monte Zebio, ovvero un repertorio sempre brillante, divertente, leggero, che faccia insomma tornare tutti a casa contenti e soddisfatti. Il che anche stavolta è avvenuto con suggello di applausi al chiudersi del sipario. La trama anche stavolta semplice e scorrevole parla di cosa succederebbe se una normale coppia sposata (Franco Oppini e Patrizia Pellegrino), in un piccolo centro sperduto, si trovasse ad ospitare in casa propria un uomo potente, magari un divo (Michele Carfora), magari della televisione, magari affascinante e impertinente donnaiolo. Cosa accadrebbe se la moglie fosse una sua fan, il marito un compositore che da anni, senza esito, tenta di trovare qualcuno che compri le sue canzoni e lo lanci nel mondo dello spettacolo? Da sempre gli intrighi tra lui, lei e l'altra sono stati materia di commedie, romanzi e film, ma la commedia del 1944 di Anna Bonacci "L'ora della fantasia" inserisce per prima nel classico "triangolo" un quarto personaggio: una prostituta (Adriana Ortolani) che, chiamata a sostituire provvisoriamente la moglie, complicherà il gioco. Ne risulta una scoppiettante ed esilarante situazione di equivoci, bugie, scambi di persona. Alla fine toccherà all'amore rimettere tutto in ordine. In seguito a questa "tempesta" passeggera, la moglie acquisirà più fiducia in se stessa riuscendo convincere il marito a non considerarla più un "qualcosa" da esibire quanto piuttosto un "qualcuno" da amare e rispettare. Nell'affollata platea, si notavano tra gli altri: Anrico Loverso, Tosca D'Aquino, Attilio Romita, Michele Cucuzza, Lando Buzzanca, Maria Giovanna Elmi, Samantha De Grenet, Ela Weber, Rosanna Cancellieri, Angela Melillo, Matteo Branciamore, Giulio Base e Alessandro Mastronardi.</p> <p><strong>Renato Ribaud</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/198be7d00a8625ce267f957595d2ab69_S.jpg" alt="Baciami stupido" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Anna Bonacci</strong><br /><strong>regia: Ennio Coltorti</strong><br /><strong>con Franco Oppini, Patrizia Pellegrino, Michele Carfora, Adriana Ortolani</strong><br /><strong>Roma, Teatro Manzoni, dal dal 27 novembre al 23 dicembre 2007</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Il Giornale, 11 dicembre 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Quanti equivoci se il marito incontra Lola La Bomba</strong> </span></p> <p style="text-align: justify;">Anna Bonacci non dice molto agli appassionati di teatro, eppure è autrice di L'ora della fantasia, che è stata un grande successo sui palcoscenici di tutto il mondo. Da essa sono stati tratti due film, Moglie per una notte, di Mario Camerini e Baciami stupido, di Billy Wilder. Ora la commedia della Bonacci, con lo stesso titolo dello splendido film di Wilder, approda al Teatro Manzoni di Roma (fino al 23 dicembre) e in tournée, in un adattamento di Ennio Coltorti, che ne è anche il regista, e di Tullia Alborghetti.<br />Un adattamento che segue quasi alla lettera l'opera di Wilder, ambientata negli Stati Uniti e non nella contea inglese del testo originale. Rappresentata nel 1944 in Italia non fu subito capita dal pubblico e dalla critica, ma a poco a poco si rivelò una pièce deliziosamente trasgressiva, che affrontava con sottile umorismo e sorprendente anticipazione il problema della vita di coppia. Vita che rischia sempre la routine, l'affievolirsi della passione. Ma che succede se un giorno irrompe nella coppia un cantante di successo, casualmente di passaggio, il quale può lanciare le canzoni scritte dal padrone di casa, modesto organista di chiesa? E che può accadere quando il cantante ha bisogno di una donna compiacente, di una prostituta, nota come Lola La Bomba, che viene spacciata come moglie del candido organista? E se quest'ultimo litiga con la sua vera moglie, la quale poi finisce col trovarsi, per una serie di equivoci, nel letto di Lola? La commedia vive sul ribaltamento: la moglie fedele prende il posto della prostituta e quest'ultima per una notte si trasforma in casta sposa. La regia di Coltorti è funzionale, ma deve fare i conti con un cast poco omogeneo. Se Patrizia Pellegrino si disimpegna bene nelle vesti della moglie, Adriana Ortolani non ha la vivace personalità di Lola, mentre Franco Oppini è troppo consapevole per essere un candido sognatore. Michele Carfora è un divo della canzone un po' di maniera.</p> <p><strong>Giovanni Antonucci</strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 title:<strong>Avanti, 30 novembre 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Lui, lei e le altre due</strong> </span></p> <p style="text-align: justify;">Franco Oppini con la sua vivace e spiritosa interpretazione ha dato senza alcun dubbio sale e pepe alla commedia andata in scena al Teatro Manzoni di Roma e che protrarrà le sue repliche ancora per qualche settimana. Parlo di "Baciami stupido", pièce liberamente ispirata a "L'ora della fantasia", nota commedia di Anna Bonacci riscritta in chiave attuale da Anna Alberghetti e da Ennio Coltorti che ne ha curato pure la regia. Accanto ad Oppini nel ruolo di uno svitato benzinaio che disperatamente cerca di lanciare le sue canzoni, Michele Carfora, mentre nella parte della prima moglie del simpatico protagonista, si è calata con seducenti vezzi Patrizia Pellegrino che assieme alla sua spigliata recitazione porta appresso sempre una gran simpatia. Al terzetto s'è fusa quale "quarto incomodo" una deliziosa Anna Bonacci che con gran bravura e senza mai andare sopra le righe, ha vivacizzato la figura della tenera prostituta di paese. Il pubblico che va al Manzoni sa ciò che vuole trovare all'accogliente teatro di via Monte Zebio, ovvero un repertorio sempre brillante, divertente, leggero, che faccia insomma tornare tutti a casa contenti e soddisfatti. Il che anche stavolta è avvenuto con suggello di applausi al chiudersi del sipario. La trama anche stavolta semplice e scorrevole parla di cosa succederebbe se una normale coppia sposata (Franco Oppini e Patrizia Pellegrino), in un piccolo centro sperduto, si trovasse ad ospitare in casa propria un uomo potente, magari un divo (Michele Carfora), magari della televisione, magari affascinante e impertinente donnaiolo. Cosa accadrebbe se la moglie fosse una sua fan, il marito un compositore che da anni, senza esito, tenta di trovare qualcuno che compri le sue canzoni e lo lanci nel mondo dello spettacolo? Da sempre gli intrighi tra lui, lei e l'altra sono stati materia di commedie, romanzi e film, ma la commedia del 1944 di Anna Bonacci "L'ora della fantasia" inserisce per prima nel classico "triangolo" un quarto personaggio: una prostituta (Adriana Ortolani) che, chiamata a sostituire provvisoriamente la moglie, complicherà il gioco. Ne risulta una scoppiettante ed esilarante situazione di equivoci, bugie, scambi di persona. Alla fine toccherà all'amore rimettere tutto in ordine. In seguito a questa "tempesta" passeggera, la moglie acquisirà più fiducia in se stessa riuscendo convincere il marito a non considerarla più un "qualcosa" da esibire quanto piuttosto un "qualcuno" da amare e rispettare. Nell'affollata platea, si notavano tra gli altri: Anrico Loverso, Tosca D'Aquino, Attilio Romita, Michele Cucuzza, Lando Buzzanca, Maria Giovanna Elmi, Samantha De Grenet, Ela Weber, Rosanna Cancellieri, Angela Melillo, Matteo Branciamore, Giulio Base e Alessandro Mastronardi.</p> <p><strong>Renato Ribaud</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>BACIO DELLA VEDOVA (IL) - regia Jurij Ferrini2015-05-11T10:37:52+02:002015-05-11T10:37:52+02:00https://sipario.it/recensioniprosab/item/9328-bacio-della-vedova-il-regia-jurij-ferrini.htmlMaura Sesia<div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/35e72a9127a29a3cae94aca2e76b27e5_S.jpg" alt="Jurij Ferrini" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Israel Horovitz</strong><br /><strong>traduttore Mariella Minozzi</strong><br /><strong>adattamento Andrea Quacquarelli</strong><br /><strong>regia Jurij Ferrini</strong><br /><strong>con Jurij Ferrini, Francesco Gargiulo, Rebecca Rossetti</strong><br /><strong>assistente alla regia Lia Tomatis</strong><br /><strong>tecnico di regia Anna Montalenti</strong><br /><strong>Progetto u.r.t. – Ovada (AL)</strong><br /><strong>prima nazionale al</strong><br /><strong>Torino Fringe Festival Invasioni Teatrali dal 7 al 17 maggio 2015</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 10 maggio 2015</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">In uno spazio acquerellato cilestrino si assapora del buon teatro in una tragedia che ha un avvio quasi farsesco. La scena è invasa da fogli, ci sono pile pesanti di giornali legati perché è un deposito di raccolta carta; domina una nota d'azzurro, forse per il distacco onirico della memoria che ha catturato tutta la storia, ma prevale un'atmosfera distorta, dolente, accartocciata nella pochezza di un'esistenza provinciale come quella dei due poveri personaggi, Arci e George, operai, maneschi, fermi ai tempi della scuola. Non sono cambiati, non sono cresciuti, hanno un linguaggio greve e la mentalità pregna di certezze stantie, parlano, si insultano, si menano e si perdonano e poi ancora, a girare intorno al loro vuoto esistenziale. Capita che un'ex compagna, ora nota critica, si palesi, per motivi familiari, in città. E succede che Arci la incontri per caso ed organizzi una serata con lei. Si chiama Margi, è bella, è vedova, era il sogno proibito di tutta la scuola. E' tornata perché il fratello, non vedente, è in fin di vita. Prima di raggiungere il suo capezzale, Margi fa visita ad Arci, nel deposito, scoprendo anche George. E l'incontro diventa un duello non soltanto verbale, i cui risvolti rivelano impensabili sozzure. Una pièce di fine anni '80 del drammaturgo americano, ben recitata, resa con giusta intensità dal trio di interpreti, che trascina gli spettatori in questo vortice di turpitudini: Gargiulo è lo squallido George, Ferrini bamboleggia il suo Arci incosciente, Rossetti è l'apparente algida Margi. E ce n'è per tutti.</p> <p><strong>Maura Sesia</strong></p> <p style="text-align: justify;"><span style="line-height: 1.8em;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</span></p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/35e72a9127a29a3cae94aca2e76b27e5_S.jpg" alt="Jurij Ferrini" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Israel Horovitz</strong><br /><strong>traduttore Mariella Minozzi</strong><br /><strong>adattamento Andrea Quacquarelli</strong><br /><strong>regia Jurij Ferrini</strong><br /><strong>con Jurij Ferrini, Francesco Gargiulo, Rebecca Rossetti</strong><br /><strong>assistente alla regia Lia Tomatis</strong><br /><strong>tecnico di regia Anna Montalenti</strong><br /><strong>Progetto u.r.t. – Ovada (AL)</strong><br /><strong>prima nazionale al</strong><br /><strong>Torino Fringe Festival Invasioni Teatrali dal 7 al 17 maggio 2015</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 10 maggio 2015</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">In uno spazio acquerellato cilestrino si assapora del buon teatro in una tragedia che ha un avvio quasi farsesco. La scena è invasa da fogli, ci sono pile pesanti di giornali legati perché è un deposito di raccolta carta; domina una nota d'azzurro, forse per il distacco onirico della memoria che ha catturato tutta la storia, ma prevale un'atmosfera distorta, dolente, accartocciata nella pochezza di un'esistenza provinciale come quella dei due poveri personaggi, Arci e George, operai, maneschi, fermi ai tempi della scuola. Non sono cambiati, non sono cresciuti, hanno un linguaggio greve e la mentalità pregna di certezze stantie, parlano, si insultano, si menano e si perdonano e poi ancora, a girare intorno al loro vuoto esistenziale. Capita che un'ex compagna, ora nota critica, si palesi, per motivi familiari, in città. E succede che Arci la incontri per caso ed organizzi una serata con lei. Si chiama Margi, è bella, è vedova, era il sogno proibito di tutta la scuola. E' tornata perché il fratello, non vedente, è in fin di vita. Prima di raggiungere il suo capezzale, Margi fa visita ad Arci, nel deposito, scoprendo anche George. E l'incontro diventa un duello non soltanto verbale, i cui risvolti rivelano impensabili sozzure. Una pièce di fine anni '80 del drammaturgo americano, ben recitata, resa con giusta intensità dal trio di interpreti, che trascina gli spettatori in questo vortice di turpitudini: Gargiulo è lo squallido George, Ferrini bamboleggia il suo Arci incosciente, Rossetti è l'apparente algida Margi. E ce n'è per tutti.</p> <p><strong>Maura Sesia</strong></p> <p style="text-align: justify;"><span style="line-height: 1.8em;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</span></p></div>BACIO DELLA VEDOVA (IL) – regia Teresa Ludovico2023-05-22T23:33:49+02:002023-05-22T23:33:49+02:00https://sipario.it/recensioniprosab/item/15158-bacio-della-vedova-il-regia-teresa-ludovico.htmlFrancesca Myriam Chiatto<div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/8981232689d6ff6f6033d4ed6eea6385_S.jpg" alt=""Il bacio della vedova", regia Teresa Ludovico" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>Di Israel Horovitz <br /></strong><strong>Traduzione Mariella Minozzi<br /> Regia Teresa Ludovico<br /> Con Diletta Acquaviva, Alessandro Lussiana/Mario Cangiano, Michele Schiano Di Cola<br /> Spazio scenico e luci Vincent Longuemare<br /> Coreografia Vito Cassano<br /> Assistente alla drammaturgia Loreta Guario<br /> Collaborazione ai costumi Angela Troiani<br /> Cura della produzione Sabrina Cocco<br /> Produzione Teatri di Bari Kismet<br /></strong><strong>Teatro Sannazaro di Napoli, 13 e 14 maggio 2023</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 17 maggio 2023</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Vi è mai capitato di ripensare agli anni di scuola e ai vostri compagni di classe, con cui ne avete combinate di tutti i colori e avete vissuto mille avventure? Sicuramente la risposta della maggioranza sarebbe un sì pieno, perché è quasi inevitabile ricordare con gioia, ma anche con una punta di malinconica tristezza quelli che Claudio Baglioni canterebbe come gli anni più belli. Però è chiaro che le cose cambiano, le persone anche, gli anni passano e difficilmente si riesce a ricostruire quell’armonia o, quanto meno, quella spensierata allegria che gli anni giovanili e, in particolare, scolastici, regalano. Da “grandi” la prospettiva diventa diversa, la consapevolezza cresce e questo comporta di certo una maggiore attenzione a ciò che si vive, ma anche un rimpianto verso tempi ormai andati, in cui ricordare diventa un’arma a doppio taglio: tra il dolce perdersi nei pensieri di allora e la certezza che quei momenti non potranno tornare. Riprodurre le stesse sensazioni in una delle regolari rimpatriate che organizzano Archie e George, due operai che ne discutono nello spogliatoio di un magazzino, è a quanto pare quasi impossibile e da subito, sotto le apparenti belle parole spese per gli amici della giovinezza, vengono a galla impressioni diverse, soprannomi che nascondono un sapore amaro, che dalla presa in giro, classica ragazzata che commettono tutti, crescono insieme a chi li ha pronunciati, diventando una vera e propria offesa. E così, in una provincia che immaginiamo un po’ monotona e forse defilata, quasi grigia, la strafottenza e l’arrogante supponenza dei due operai, amici da sempre ed ex compagni di classe, diventa il tono di una conversazione che inizia con un nome: Margy, altra compagna, trasferitasi in città e ritornata da poco per assistere il fratello gravemente malato. Le vecchie conquiste sono il centro del discorso, ma mai si parla di vero amore, mai di delicatezza verso un sentimento importante e tenero, anzi le parole sono quasi taglienti, forti e insensibili, fisiche, al confine con la mancanza di rispetto verso il genere femminile e anche verso le persone in quanto tali. Margy chiede ad Archie di cenare con lei, ma nel momento in cui lei stessa appare sulla scena, lo strano equilibrio svanisce, lasciando il posto a una situazione in cui la tensione si taglia col coltello e si crea un nuovo, assurdo equilibrio tra la passionalità, le chiacchiere allegre tra vecchi amici, il tormento dei tre personaggi e il vero motivo dell’invito di Margy. Bravissimi i due attori, Alessandro Lussiana e Michele Schiano Di Cola, che nei dialoghi serratissimi e spesso urlati, nelle battute continue, creano un susseguirsi di dolorosi rinfacci e di verità taciute, in bilico tra l’amicizia e l’eccesso, quando perfino il fratello della donna diventa bersaglio, perché non vedente, di scherzi crudeli e orrendi. Diletta Acquaviva rappresenta bene sul finale il messaggio significativo di una donna ferita, che ha fatto della sua distruzione la sua inevitabile forza per riprendersi, ora da signora istruita ed emancipata, ciò che tanti anni fa quei compagni le hanno tolto. Accusata di essere “quella facile”, è stata invece la prima vittima di un gioco sporco che ha fatto in realtà del male a tutti e che finirà col colpire, nel vero senso della parola, anche George. Solo Archie dichiarerà di aver davvero amato Margy, ma sarà così o sarà soltanto il grottesco tentativo di illuminare il grigiore di un uomo di provincia, ormai stanco della sua naturale predisposizione?</p> <p><strong>Francesca Myriam Chiatto</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/8981232689d6ff6f6033d4ed6eea6385_S.jpg" alt=""Il bacio della vedova", regia Teresa Ludovico" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>Di Israel Horovitz <br /></strong><strong>Traduzione Mariella Minozzi<br /> Regia Teresa Ludovico<br /> Con Diletta Acquaviva, Alessandro Lussiana/Mario Cangiano, Michele Schiano Di Cola<br /> Spazio scenico e luci Vincent Longuemare<br /> Coreografia Vito Cassano<br /> Assistente alla drammaturgia Loreta Guario<br /> Collaborazione ai costumi Angela Troiani<br /> Cura della produzione Sabrina Cocco<br /> Produzione Teatri di Bari Kismet<br /></strong><strong>Teatro Sannazaro di Napoli, 13 e 14 maggio 2023</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 17 maggio 2023</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Vi è mai capitato di ripensare agli anni di scuola e ai vostri compagni di classe, con cui ne avete combinate di tutti i colori e avete vissuto mille avventure? Sicuramente la risposta della maggioranza sarebbe un sì pieno, perché è quasi inevitabile ricordare con gioia, ma anche con una punta di malinconica tristezza quelli che Claudio Baglioni canterebbe come gli anni più belli. Però è chiaro che le cose cambiano, le persone anche, gli anni passano e difficilmente si riesce a ricostruire quell’armonia o, quanto meno, quella spensierata allegria che gli anni giovanili e, in particolare, scolastici, regalano. Da “grandi” la prospettiva diventa diversa, la consapevolezza cresce e questo comporta di certo una maggiore attenzione a ciò che si vive, ma anche un rimpianto verso tempi ormai andati, in cui ricordare diventa un’arma a doppio taglio: tra il dolce perdersi nei pensieri di allora e la certezza che quei momenti non potranno tornare. Riprodurre le stesse sensazioni in una delle regolari rimpatriate che organizzano Archie e George, due operai che ne discutono nello spogliatoio di un magazzino, è a quanto pare quasi impossibile e da subito, sotto le apparenti belle parole spese per gli amici della giovinezza, vengono a galla impressioni diverse, soprannomi che nascondono un sapore amaro, che dalla presa in giro, classica ragazzata che commettono tutti, crescono insieme a chi li ha pronunciati, diventando una vera e propria offesa. E così, in una provincia che immaginiamo un po’ monotona e forse defilata, quasi grigia, la strafottenza e l’arrogante supponenza dei due operai, amici da sempre ed ex compagni di classe, diventa il tono di una conversazione che inizia con un nome: Margy, altra compagna, trasferitasi in città e ritornata da poco per assistere il fratello gravemente malato. Le vecchie conquiste sono il centro del discorso, ma mai si parla di vero amore, mai di delicatezza verso un sentimento importante e tenero, anzi le parole sono quasi taglienti, forti e insensibili, fisiche, al confine con la mancanza di rispetto verso il genere femminile e anche verso le persone in quanto tali. Margy chiede ad Archie di cenare con lei, ma nel momento in cui lei stessa appare sulla scena, lo strano equilibrio svanisce, lasciando il posto a una situazione in cui la tensione si taglia col coltello e si crea un nuovo, assurdo equilibrio tra la passionalità, le chiacchiere allegre tra vecchi amici, il tormento dei tre personaggi e il vero motivo dell’invito di Margy. Bravissimi i due attori, Alessandro Lussiana e Michele Schiano Di Cola, che nei dialoghi serratissimi e spesso urlati, nelle battute continue, creano un susseguirsi di dolorosi rinfacci e di verità taciute, in bilico tra l’amicizia e l’eccesso, quando perfino il fratello della donna diventa bersaglio, perché non vedente, di scherzi crudeli e orrendi. Diletta Acquaviva rappresenta bene sul finale il messaggio significativo di una donna ferita, che ha fatto della sua distruzione la sua inevitabile forza per riprendersi, ora da signora istruita ed emancipata, ciò che tanti anni fa quei compagni le hanno tolto. Accusata di essere “quella facile”, è stata invece la prima vittima di un gioco sporco che ha fatto in realtà del male a tutti e che finirà col colpire, nel vero senso della parola, anche George. Solo Archie dichiarerà di aver davvero amato Margy, ma sarà così o sarà soltanto il grottesco tentativo di illuminare il grigiore di un uomo di provincia, ormai stanco della sua naturale predisposizione?</p> <p><strong>Francesca Myriam Chiatto</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>BACK TO BECKETT – regia Marco Carniti (IN STREAMING)2021-03-23T10:20:30+01:002021-03-23T10:20:30+01:00https://sipario.it/recensioniprosab/item/13635-back-to-beckett-regia-marco-carniti-in-streaming.htmlGigi Giacobbe<div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/73c71b7f29e622bde318ed32005d1bc0_S.jpg" alt="Francesca Benedetti in "Back to Beckett", regia Marco Carniti" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong>progetto e regia di Marco Carniti</strong><br /><strong>Drammaturgia di Francesco Tozzi</strong><br /><strong>Musiche di David Barittoni</strong><br /><strong>Interpreti: Francesca Benedetti e Dario Guidi</strong><br /><strong>Aiuto Regia: Lonano Francesco</strong><br /><strong>Domenica 21 MARZO 2021 - h.17 diretta streaming</strong><br /><strong>Organizzazione: Livia Pomodoro e Giulietta Albanese. Stagione 2020/2021 </strong><br /><strong>SPAZIO TEATRO NO’HMA di Milano - Rassegna LE DOMENICHE SPECIALI </strong><br /><strong>in scena dal Teatro Basilica di Roma (la prima è stata il 18 febbraio 2020)</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 22 marzo 2021</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Le 99 poltrone rosse del Teatro Basilica di Roma sono state impacchettate con plastica trasparente come in alcune installazioni di Christo. Un omaggio forse di Marco Carniti, che conosco da quando aveva i capelli neri, all’artista della Land art scomparso l’anno scorso, per avvolgere e fondere i tre romanzi di Samuel Beckett <em>Molloy</em>, <em>Malone muore</em> e <em>L’innominabile</em>, scritti tra il 1951 e il 1953, in unico delirante monologo, titolato <em>Back to Beckett</em>, propiziato dalla drammaturgia di Francesco Tozzi, organizzato da Livia Pomodoro e Giulietta Albanese dello Spazio Teatro No’hama di Milano e donato in streaming al grande pubblico dei social network da una strepitosa, incredibile, unica…Francesca Benedetti (potrei continuare a lungo con gli aggettivi). Che per poco più di un’ora ci introduce nelle viscere di Beckett, regalandoci, a mia memoria, una delle sue più straordinarie interpretazioni. Somigliando all’inizio, con quelle sue chiome rossastre tenute in alto da una fascia scura, ad una Winnie di <em>Giorni felici</em> sbucata fuori dal suo monticello di sabbia, indossando un paio d’occhiali vintage, un trasandato tailleur nero su una camicia bianca sbottonata, vagolando tra le poltrone vuote della gradinata del Teatro sostenendosi ad un frondoso bastone di legno, scandendo le parole. martellandole con toni estesi e sincopati, uscendo fuori una voce chiara, netta e “portata”, non come quelle arrangiate che udiamo sempre più spesso nelle fiction televisive. Scopriamo in questa sua narrazione nuove pagine dello scrittore irlandese, pure poetiche e divertenti, talvolta disperate, come quando augura a tutti una vita atroce senza perdonare nessuno. La Benedetti che qui si esprime al maschile si rivolge a tale Jo dicendogli che la felicità non è l’amore ma la stanchezza, non parlare più e chiudere gli occhi, diventare ciechi con un muro davanti. In <em>Molloy</em> c’è l’eco dell’infanzia di Beckett, il rapporto con la madre, il suo vagare in bicicletta per il paese incontrando una serie di personaggi bizzarri. Un servo muto (Dario Guidi) s’aggira fra quelle poltrone, a volte illumina Francesca con una torcia, altre volte toglie la plastica da quei sedili. In questo esaltante spettacolo di Carniti dalle tinte espressioniste si sfiora <em>Aspettando Godot</em> quando la Benedetti con la voce di Pozzo dice di smetterla con la storia del tempo perché un giorno siamo nati, un giorno moriremo... “partoriamo a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, ed è subito notte". Un pensiero che accomuna Beckett a quei tre versi di Quasimodo che già nel 1930 scriveva: "Ognuno sta solo sul cuore della terra/ trafitto da un raggio di sole:/ed è subito sera". Ergo: moriamo nel momento in cui nasciamo. Francesca come l’anziano Malone si sdraia su quelle poltrone come fossero quasi quelle d’un ospizio, d’un ospedale o d’un manicomio. Le proprie cose gli sono state sottratte (tranne un cappello senza falde e un bastone macchiato di sangue), ma gli è stata data carta e matita e la facoltà di scrivere e parlare quasi ininterrottamente, somigliando a tratti alla faccia di <em>Medusa</em> di Caravaggio. Non tacerà mai Malone anche se poi dirà che “se aveste i miei occhi vedreste il mondo senza aver scoperto nulla”. C’è un profondo pessimismo nei romanzi di Beckett e anche <em>L’innominabile</em> è permeato da toni disperati sino alla fine, puntellati (come nell’<em>Ulisse</em> di James Joyce) da una lunga serie di frasi non separate fra loro da segni di punteggiature e la cui conclusione risulta quasi come un enigma: <em>I can't go on, I'll go on</em> (<em>Non posso andare avanti, andrò avanti</em>) che è stata in seguito usata per intitolare un'antologia sullo stesso Beckett.</p> <p><strong>Gigi Giacobbe</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/73c71b7f29e622bde318ed32005d1bc0_S.jpg" alt="Francesca Benedetti in "Back to Beckett", regia Marco Carniti" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong>progetto e regia di Marco Carniti</strong><br /><strong>Drammaturgia di Francesco Tozzi</strong><br /><strong>Musiche di David Barittoni</strong><br /><strong>Interpreti: Francesca Benedetti e Dario Guidi</strong><br /><strong>Aiuto Regia: Lonano Francesco</strong><br /><strong>Domenica 21 MARZO 2021 - h.17 diretta streaming</strong><br /><strong>Organizzazione: Livia Pomodoro e Giulietta Albanese. Stagione 2020/2021 </strong><br /><strong>SPAZIO TEATRO NO’HMA di Milano - Rassegna LE DOMENICHE SPECIALI </strong><br /><strong>in scena dal Teatro Basilica di Roma (la prima è stata il 18 febbraio 2020)</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 22 marzo 2021</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Le 99 poltrone rosse del Teatro Basilica di Roma sono state impacchettate con plastica trasparente come in alcune installazioni di Christo. Un omaggio forse di Marco Carniti, che conosco da quando aveva i capelli neri, all’artista della Land art scomparso l’anno scorso, per avvolgere e fondere i tre romanzi di Samuel Beckett <em>Molloy</em>, <em>Malone muore</em> e <em>L’innominabile</em>, scritti tra il 1951 e il 1953, in unico delirante monologo, titolato <em>Back to Beckett</em>, propiziato dalla drammaturgia di Francesco Tozzi, organizzato da Livia Pomodoro e Giulietta Albanese dello Spazio Teatro No’hama di Milano e donato in streaming al grande pubblico dei social network da una strepitosa, incredibile, unica…Francesca Benedetti (potrei continuare a lungo con gli aggettivi). Che per poco più di un’ora ci introduce nelle viscere di Beckett, regalandoci, a mia memoria, una delle sue più straordinarie interpretazioni. Somigliando all’inizio, con quelle sue chiome rossastre tenute in alto da una fascia scura, ad una Winnie di <em>Giorni felici</em> sbucata fuori dal suo monticello di sabbia, indossando un paio d’occhiali vintage, un trasandato tailleur nero su una camicia bianca sbottonata, vagolando tra le poltrone vuote della gradinata del Teatro sostenendosi ad un frondoso bastone di legno, scandendo le parole. martellandole con toni estesi e sincopati, uscendo fuori una voce chiara, netta e “portata”, non come quelle arrangiate che udiamo sempre più spesso nelle fiction televisive. Scopriamo in questa sua narrazione nuove pagine dello scrittore irlandese, pure poetiche e divertenti, talvolta disperate, come quando augura a tutti una vita atroce senza perdonare nessuno. La Benedetti che qui si esprime al maschile si rivolge a tale Jo dicendogli che la felicità non è l’amore ma la stanchezza, non parlare più e chiudere gli occhi, diventare ciechi con un muro davanti. In <em>Molloy</em> c’è l’eco dell’infanzia di Beckett, il rapporto con la madre, il suo vagare in bicicletta per il paese incontrando una serie di personaggi bizzarri. Un servo muto (Dario Guidi) s’aggira fra quelle poltrone, a volte illumina Francesca con una torcia, altre volte toglie la plastica da quei sedili. In questo esaltante spettacolo di Carniti dalle tinte espressioniste si sfiora <em>Aspettando Godot</em> quando la Benedetti con la voce di Pozzo dice di smetterla con la storia del tempo perché un giorno siamo nati, un giorno moriremo... “partoriamo a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, ed è subito notte". Un pensiero che accomuna Beckett a quei tre versi di Quasimodo che già nel 1930 scriveva: "Ognuno sta solo sul cuore della terra/ trafitto da un raggio di sole:/ed è subito sera". Ergo: moriamo nel momento in cui nasciamo. Francesca come l’anziano Malone si sdraia su quelle poltrone come fossero quasi quelle d’un ospizio, d’un ospedale o d’un manicomio. Le proprie cose gli sono state sottratte (tranne un cappello senza falde e un bastone macchiato di sangue), ma gli è stata data carta e matita e la facoltà di scrivere e parlare quasi ininterrottamente, somigliando a tratti alla faccia di <em>Medusa</em> di Caravaggio. Non tacerà mai Malone anche se poi dirà che “se aveste i miei occhi vedreste il mondo senza aver scoperto nulla”. C’è un profondo pessimismo nei romanzi di Beckett e anche <em>L’innominabile</em> è permeato da toni disperati sino alla fine, puntellati (come nell’<em>Ulisse</em> di James Joyce) da una lunga serie di frasi non separate fra loro da segni di punteggiature e la cui conclusione risulta quasi come un enigma: <em>I can't go on, I'll go on</em> (<em>Non posso andare avanti, andrò avanti</em>) che è stata in seguito usata per intitolare un'antologia sullo stesso Beckett.</p> <p><strong>Gigi Giacobbe</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>BACKSTAGE DI EMOZIONI – prodotta e diretta da Tiziano Eugenio Bertrand2021-11-09T08:29:27+01:002021-11-09T08:29:27+01:00https://sipario.it/recensioniprosab/item/14028-backstage-di-emozioni-prodotta-e-diretta-da-tiziano-eugenio-bertrand.htmlGiovanni Moreddu<div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/9bf4b711a30b9db67ab230eeb8b70a16_S.jpg" alt=""Backstage di Emozioni", prodotta e diretta da Tiziano Eugenio Bertrand" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong>Reading performance scritta, prodotta e diretta da Tiziano Eugenio Bertrand</strong><br /><strong>Con: Tiziano Eugenio Bertrand, Chiara Miani, Francesco Tramutola, Camilla Turrini</strong><br /><strong>Montaggio sonoro: Tiziano Eugenio Bertrand</strong><br /><strong>Assistente di produzione: Matteo “Spina”</strong><br /><strong>Collaboratrice materiale promozionale: Alice Beretta</strong><br /><strong>Organizzazione: Francesca Mina</strong><br /><strong>Materiale video e riprese: TM studios, Riccardo de Salvo, Rocco Bigoni, Matteo Schiatti, Matteo Vergani, Jacopo Zuccarella</strong><br /><strong>Ufficio Stampa: Forzatempo</strong><br /><strong>Teatro Linguaggicreativi, Milano Sabato 6 Novembre 2021</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 8 novembre 2021</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Il Teatro Linguaggicreativi di Milano è stato il luogo più adatto per il debutto di “Backstage di emozioni”. Una sala intima, dove il sussurro può farsi ululato e il silenzio assordante ossimoro. Il pubblico viene fatto accomodare sulle solenni note di Elmer Bernstein, fra gli altri, e qualcuno, forse, si sarà sentito sul set de “Il buio oltre la siepe”. Apre il sipario una diagonale di leggii, seguiti, a luci spente, da due giovani uomini (Tiziano Eugenio Bertand, anche produttore, e Francesco Tramutola) e due giovani donne (Camilla Turrini e Chiara Miani) vestiti di nero e di bianco. Blu, invece, la luce che li illumina per prima. Lo spettacolo si articola come una serie di letture sceniche, ma anche monologhi e scene recitate a memoria, tratti da <em>best seller</em> teatrali e cinematografici (da “Girl, interrupted” a “Finché c’è guerra c’è speranza”). Lo scopo sembra quello di proporre agli ascoltatori un senso lato di approccio a materiale già conosciuto, di indurre all’analisi, di spronare alla critica. Per fare ciò, la compagnia trova un filo emotivo comune per le opere citate e le raggruppa tramite tre grossi hashtag: #follia #vergogna #desiderio. Uno studio sui classici e le emozioni che nascondono, istintive per definizione, non sottostanti neanche all’ordine alfabetico. Per questo, attori e attrici sono in costante movimento sul palco (quando non recitano) accompagnati da luci perlopiù a occhio di bue facendoli sembrare lacrime, quella sublime maniera liquida con cui manifestiamo emozioni. Cosa accomuna Lady Macbeth e Lisa Rowe? Come sarebbe stato recensito Scarface da Tennessee Williams? Come faccio a empatizzare con Otello? Queste domande vengono contestualizzate dagli stessi attori attraverso un altro linguaggio, quello del video. In questo modo, viene concesso al pubblico di sbirciare il lavoro da palcoscenico: lettura dell’opera, analisi e ricerca drammaturgica, messa in scena senza copione. Ma emerge anche il bisogno degli attori stessi di far vedere che nei titoli di coda, c’è davvero qualcuno che lavora. Un teatro che nell’ultimo periodo è stato costretto a vivere solo in un pensiero speranzoso ricorda a sé stesso e a tutti che nasce prima del giorno del debutto. Nasce dal riscaldamento, dal fuggi fuggi di costumi e oggetti di scena, dal “merda merda” (volutamente fatto sentire). La rappresentazione vera e propria è solo una cerimonia funebre che termina con un <em>oratio</em> di applausi. E il cerchio si chiude, con le locandine rimaste appese a prendere polvere in sala prove. È bello e importante, dunque, sapere che tutto, o quasi, si può fermare ma non il processo creativo la cui invincibilità merita di essere rappresentata. Bertand è un attore di voce e ciò si apprezza anche nell’impronta direttiva del reading che però, a volte, non esplode in recitazione ma cristallizza solo in un canone di belle voci e letture pulite. La speranza per <em>Backstage di emozioni</em> è che continui a crescere da questo primo studio, ottimamente contestualizzato, in modo da dare allo scopo divulgativo-didattico quella punta di azione che permette di fare centro.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Giovanni Moreddu</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/9bf4b711a30b9db67ab230eeb8b70a16_S.jpg" alt=""Backstage di Emozioni", prodotta e diretta da Tiziano Eugenio Bertrand" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p style="text-align: justify;"><strong>Reading performance scritta, prodotta e diretta da Tiziano Eugenio Bertrand</strong><br /><strong>Con: Tiziano Eugenio Bertrand, Chiara Miani, Francesco Tramutola, Camilla Turrini</strong><br /><strong>Montaggio sonoro: Tiziano Eugenio Bertrand</strong><br /><strong>Assistente di produzione: Matteo “Spina”</strong><br /><strong>Collaboratrice materiale promozionale: Alice Beretta</strong><br /><strong>Organizzazione: Francesca Mina</strong><br /><strong>Materiale video e riprese: TM studios, Riccardo de Salvo, Rocco Bigoni, Matteo Schiatti, Matteo Vergani, Jacopo Zuccarella</strong><br /><strong>Ufficio Stampa: Forzatempo</strong><br /><strong>Teatro Linguaggicreativi, Milano Sabato 6 Novembre 2021</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 8 novembre 2021</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">Il Teatro Linguaggicreativi di Milano è stato il luogo più adatto per il debutto di “Backstage di emozioni”. Una sala intima, dove il sussurro può farsi ululato e il silenzio assordante ossimoro. Il pubblico viene fatto accomodare sulle solenni note di Elmer Bernstein, fra gli altri, e qualcuno, forse, si sarà sentito sul set de “Il buio oltre la siepe”. Apre il sipario una diagonale di leggii, seguiti, a luci spente, da due giovani uomini (Tiziano Eugenio Bertand, anche produttore, e Francesco Tramutola) e due giovani donne (Camilla Turrini e Chiara Miani) vestiti di nero e di bianco. Blu, invece, la luce che li illumina per prima. Lo spettacolo si articola come una serie di letture sceniche, ma anche monologhi e scene recitate a memoria, tratti da <em>best seller</em> teatrali e cinematografici (da “Girl, interrupted” a “Finché c’è guerra c’è speranza”). Lo scopo sembra quello di proporre agli ascoltatori un senso lato di approccio a materiale già conosciuto, di indurre all’analisi, di spronare alla critica. Per fare ciò, la compagnia trova un filo emotivo comune per le opere citate e le raggruppa tramite tre grossi hashtag: #follia #vergogna #desiderio. Uno studio sui classici e le emozioni che nascondono, istintive per definizione, non sottostanti neanche all’ordine alfabetico. Per questo, attori e attrici sono in costante movimento sul palco (quando non recitano) accompagnati da luci perlopiù a occhio di bue facendoli sembrare lacrime, quella sublime maniera liquida con cui manifestiamo emozioni. Cosa accomuna Lady Macbeth e Lisa Rowe? Come sarebbe stato recensito Scarface da Tennessee Williams? Come faccio a empatizzare con Otello? Queste domande vengono contestualizzate dagli stessi attori attraverso un altro linguaggio, quello del video. In questo modo, viene concesso al pubblico di sbirciare il lavoro da palcoscenico: lettura dell’opera, analisi e ricerca drammaturgica, messa in scena senza copione. Ma emerge anche il bisogno degli attori stessi di far vedere che nei titoli di coda, c’è davvero qualcuno che lavora. Un teatro che nell’ultimo periodo è stato costretto a vivere solo in un pensiero speranzoso ricorda a sé stesso e a tutti che nasce prima del giorno del debutto. Nasce dal riscaldamento, dal fuggi fuggi di costumi e oggetti di scena, dal “merda merda” (volutamente fatto sentire). La rappresentazione vera e propria è solo una cerimonia funebre che termina con un <em>oratio</em> di applausi. E il cerchio si chiude, con le locandine rimaste appese a prendere polvere in sala prove. È bello e importante, dunque, sapere che tutto, o quasi, si può fermare ma non il processo creativo la cui invincibilità merita di essere rappresentata. Bertand è un attore di voce e ciò si apprezza anche nell’impronta direttiva del reading che però, a volte, non esplode in recitazione ma cristallizza solo in un canone di belle voci e letture pulite. La speranza per <em>Backstage di emozioni</em> è che continui a crescere da questo primo studio, ottimamente contestualizzato, in modo da dare allo scopo divulgativo-didattico quella punta di azione che permette di fare centro.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Giovanni Moreddu</strong></p> <p style="text-align: justify;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p></div>BAD AND BREAKFAST - regia Rosario Lisma2016-06-22T04:28:27+02:002016-06-22T04:28:27+02:00https://sipario.it/recensioniprosab/item/10066-bad-and-breakfast-regia-rosario-lisma.htmlAndrea Pietrantoni<div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/d9de35c977b2146f8ae269d31a688440_S.jpg" alt=""Bad and breakfast", regia Rosario Lisma" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><em><strong>la casa felice</strong></em><br /><strong>di Rosario Lisma</strong><br /><strong>regia Rosario Lisma</strong><br /><strong>con Marco Balbi, Anna Della Rosa, Rosario Lisma, Andrea Narsi</strong><br /><strong>scene e costumi Guido Buganza</strong><br /><strong>musiche Gino Gurrado</strong><br /><strong>luci Luigi Biondi</strong><br /><strong>produzione Teatro Franco Parenti in collaborazione con Jacovacci e Busacca</strong><br /><strong>Teatro Franco Parenti, Milano, dal 27 maggio al 16 giugno</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong><a href="http://www.Sipario.it,">www.Sipario.it,</a> 22 giugno 2016</strong>}</p> <p style="text-align: justify;"><strong>La fatica di diventare grandi</strong></p> <p style="text-align: justify;">Gli interni curati ma vecchi di un appartamento borghese ci introducono in questa commedia <em>noir</em>. Siamo alle soglie del capodanno. Antonio e Gaia, due giovani fidanzati in crisi di identità e vicini ai quarant'anni, decidono di "far fuori" i genitori di lui per realizzare un sogno: trasformare l'appartamento di mamma e papà in un <em>bed and breakfast</em> e dare una svolta alla propria vita. Il destino anticipa il piano malvagio, facendo morire i genitori in un attentato terroristico a Sharm el Sheikh. L'euforia sostituisce il lutto. Il sogno può diventare finalmente realtà. Saranno i primi due ospiti della nuova attività, un carabiniere e un notaio, insieme a un ripensamento improvviso della ragazza sul fidanzato, a cambiare le carte in tavola e a ridisegnare il destino esistenziale dei personaggi.<br />"Bad and breakfast" contiene già nel titolo la tematica che vuole affrontare. Antonio e Gaia rispecchiano pienamente i "giovani" di oggi che anagraficamente appartengono di diritto al mondo degli adulti senza però riuscire a entrarci. Un'interpretazione di questa impossibilità è quella che definisce questi "giovani" con il termine di "bamboccioni", cioè nell'accezione di giovani adulti che invece di rendersi autonomi, preferiscono stare in casa dai genitori facendosi mantenere da loro. Ma i personaggi di Antonio e Gaia, restituiti dalla drammaturgia di Rosario Lisma, lavorano, anche se in condizioni precarie e insoddisfacenti. Vorrebbero diventare indipendenti e felici ma non possono farlo. L'impossibilità di crescere, in questo caso, è oggettiva e più riconducibile a dinamiche sociali e famigliari che rientrano nello scontro generazionale fra chi è nato soprattutto nei primi anni '70 e chi l'ha preceduto. I genitori di Antonio ne sono un esempio. Se la godono in vacanza almeno fino a un certo punto. Ci fanno intuire di essere in pensione dopo una carriera gratificante e ricca mentre il figlio è a casa loro ad arrovellarsi il cervello su come poter cambiare la propria vita e, nell'attesa, a raccogliere le "briciole" di chi ha "mangiato" prima di lui. È uno scontro di potere in cui genitori e figli non si incontrano ma possono scontrarsi come succede ad Antonio con il suo progetto perverso. Sia che i figli non vogliano staccarsi dai genitori sia che non lo possano fare, il <em>bed</em> diventa <em>bad</em>, una sorta di carcere esistenziale con possibili conseguenze pericolose.<br />Nella commedia si affronta anche il tema, non meno importante, relativo a quell' "ombra" dell'anima che, secondo Jung, contiene gli aspetti più profondi, inconfessabili e autentici dell'essere umano. Antonio, che ricorda il Pietro Maso delle cronache nere, desidera uccidere i propri genitori ed è ad un passo dal farlo. Gaia è sua complice, ma poi rompe l'alleanza con il fidanzato rinviando il suo crudele destino nel finale dello spettacolo. Il carabiniere rimane a metà del guado non riuscendo a manifestare pienamente la propria omosessualità nei confronti del notaio (e questo aspetto, forse, poteva essere più approfondito). Il personaggio del notaio, disegnato da Lisma, è quello meno "scoperto" e con tratti comici davvero esaltanti. Tutti cercano la propria "verità". Solo Antonio e Gaia ci riescono pienamente, pagando l'autenticità della loro vita con una sconfitta pesante anche se degna di <em>pietas</em>.<br />Nel complesso, la drammaturgia accattivante è il punto più forte di tutto lo spettacolo. Ci trascina, senza mai annoiarci, verso un finale, tuttavia, facilmente immaginabile. Gli attori, con la loro bravura, aggiungono qualità alla commedia. Una nota particolare va fatta a Marco Balbi davvero imperdibile. Le musiche danno <em>suspense</em> a una storia diretta egregiamente dallo stesso Lisma e premiata dall'applauso del pubblico.</p> <p><strong>Andrea Pietrantoni</strong></p> <p style="text-align: justify;"><span style="line-height: 1.8em;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</span></p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/d9de35c977b2146f8ae269d31a688440_S.jpg" alt=""Bad and breakfast", regia Rosario Lisma" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><em><strong>la casa felice</strong></em><br /><strong>di Rosario Lisma</strong><br /><strong>regia Rosario Lisma</strong><br /><strong>con Marco Balbi, Anna Della Rosa, Rosario Lisma, Andrea Narsi</strong><br /><strong>scene e costumi Guido Buganza</strong><br /><strong>musiche Gino Gurrado</strong><br /><strong>luci Luigi Biondi</strong><br /><strong>produzione Teatro Franco Parenti in collaborazione con Jacovacci e Busacca</strong><br /><strong>Teatro Franco Parenti, Milano, dal 27 maggio al 16 giugno</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong><a href="http://www.Sipario.it,">www.Sipario.it,</a> 22 giugno 2016</strong>}</p> <p style="text-align: justify;"><strong>La fatica di diventare grandi</strong></p> <p style="text-align: justify;">Gli interni curati ma vecchi di un appartamento borghese ci introducono in questa commedia <em>noir</em>. Siamo alle soglie del capodanno. Antonio e Gaia, due giovani fidanzati in crisi di identità e vicini ai quarant'anni, decidono di "far fuori" i genitori di lui per realizzare un sogno: trasformare l'appartamento di mamma e papà in un <em>bed and breakfast</em> e dare una svolta alla propria vita. Il destino anticipa il piano malvagio, facendo morire i genitori in un attentato terroristico a Sharm el Sheikh. L'euforia sostituisce il lutto. Il sogno può diventare finalmente realtà. Saranno i primi due ospiti della nuova attività, un carabiniere e un notaio, insieme a un ripensamento improvviso della ragazza sul fidanzato, a cambiare le carte in tavola e a ridisegnare il destino esistenziale dei personaggi.<br />"Bad and breakfast" contiene già nel titolo la tematica che vuole affrontare. Antonio e Gaia rispecchiano pienamente i "giovani" di oggi che anagraficamente appartengono di diritto al mondo degli adulti senza però riuscire a entrarci. Un'interpretazione di questa impossibilità è quella che definisce questi "giovani" con il termine di "bamboccioni", cioè nell'accezione di giovani adulti che invece di rendersi autonomi, preferiscono stare in casa dai genitori facendosi mantenere da loro. Ma i personaggi di Antonio e Gaia, restituiti dalla drammaturgia di Rosario Lisma, lavorano, anche se in condizioni precarie e insoddisfacenti. Vorrebbero diventare indipendenti e felici ma non possono farlo. L'impossibilità di crescere, in questo caso, è oggettiva e più riconducibile a dinamiche sociali e famigliari che rientrano nello scontro generazionale fra chi è nato soprattutto nei primi anni '70 e chi l'ha preceduto. I genitori di Antonio ne sono un esempio. Se la godono in vacanza almeno fino a un certo punto. Ci fanno intuire di essere in pensione dopo una carriera gratificante e ricca mentre il figlio è a casa loro ad arrovellarsi il cervello su come poter cambiare la propria vita e, nell'attesa, a raccogliere le "briciole" di chi ha "mangiato" prima di lui. È uno scontro di potere in cui genitori e figli non si incontrano ma possono scontrarsi come succede ad Antonio con il suo progetto perverso. Sia che i figli non vogliano staccarsi dai genitori sia che non lo possano fare, il <em>bed</em> diventa <em>bad</em>, una sorta di carcere esistenziale con possibili conseguenze pericolose.<br />Nella commedia si affronta anche il tema, non meno importante, relativo a quell' "ombra" dell'anima che, secondo Jung, contiene gli aspetti più profondi, inconfessabili e autentici dell'essere umano. Antonio, che ricorda il Pietro Maso delle cronache nere, desidera uccidere i propri genitori ed è ad un passo dal farlo. Gaia è sua complice, ma poi rompe l'alleanza con il fidanzato rinviando il suo crudele destino nel finale dello spettacolo. Il carabiniere rimane a metà del guado non riuscendo a manifestare pienamente la propria omosessualità nei confronti del notaio (e questo aspetto, forse, poteva essere più approfondito). Il personaggio del notaio, disegnato da Lisma, è quello meno "scoperto" e con tratti comici davvero esaltanti. Tutti cercano la propria "verità". Solo Antonio e Gaia ci riescono pienamente, pagando l'autenticità della loro vita con una sconfitta pesante anche se degna di <em>pietas</em>.<br />Nel complesso, la drammaturgia accattivante è il punto più forte di tutto lo spettacolo. Ci trascina, senza mai annoiarci, verso un finale, tuttavia, facilmente immaginabile. Gli attori, con la loro bravura, aggiungono qualità alla commedia. Una nota particolare va fatta a Marco Balbi davvero imperdibile. Le musiche danno <em>suspense</em> a una storia diretta egregiamente dallo stesso Lisma e premiata dall'applauso del pubblico.</p> <p><strong>Andrea Pietrantoni</strong></p> <p style="text-align: justify;"><span style="line-height: 1.8em;">{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</span></p></div>BADANTE (LA) - regia Cesare Lievi2009-02-13T01:00:00+01:002009-02-13T01:00:00+01:00https://sipario.it/recensioniprosab/item/7733-badante-la-regia-cesare-lievi.htmlNicola Arrigoni <div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/99f96c5b99e363e03747beae954989bf_S.jpg" alt="La badante" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Cesare Lievi<br />regia: Cesare Lievi<br />scene: Josef Frommweiser<br />costumi: Marina Luxardo<br />con Monika Kroll, Susanne Bard, Evelyn M. Faber, Uwe Kraus, Lars Wellings<br />Teatro di Wiesbaden, 22 settembre 2007<br />Brescia, Teatro Santa Chiara, dal 29 marzo 2008<br />Teatro Bellini, Palermo fino al 22 Dicembre 2008</strong><strong></strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Giornale di Sicilia, 13 febbraio 2009</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Brescia, Teatro Santa Chiara, dal 29 marzo 2008</strong></span></p> <p><span style="font-size: 10pt;"><strong>Se il nostro benessere è senza un futuro</strong> </span></p> <p>Personaggio centrale e ben costruito della commedia di Cesare Lievi La badante, è la vecchia signora dal carattere forte, con un fondo di astio verso i figli, l' uno industriale che ama solo il danaro, l' altro che fa la bella vita, entrambi senza figli. Una ricca signora che deve accettare la presenza di una badante all' inizio odiandola e vessandola e poi capendo che il ruolo, la dedizione, la vitalità della donna, che ha lasciato i suoi figli in Ucraina per accudirla, sono per lei l' unica fonte di sopravvivenza e forse anche di gioia. Una figura che diventa specchio della nostra società, un corpo vecchio che ha bisogno di innesti vitali, non contaminati da quella totalizzante corsa al benessere che l' ha resa sterile e incapace di guardare al futuro. La vecchia signora mostra anche un altro nostro volto nel ricordo dell' odiato padre fascista, ucciso forse dai partigiani, quello di un' Italia incapace di guardare criticamente al suo passato che sopito, sembra sempre ricomparire come il ricordo sgradevole, fatto di urla e di lezzo «di sudore sporco», della giornata in cui il padre la portò, bambina, a vedere l' arrivo del Duce a Gargnano, vicino a quella Salò dove erano andati ad abitare. Un personaggio che si compone in una drammaturgia ben articolata in dialoghi agili e che alla fine sceglierà di lasciare la sua eredità alla badante in disprezzo ai figli, «cadaveri» senza domani. Nella limpida messinscena di Cesare Lievi, in un' austera sala con una finestra che si apre sul lago - la scena è di Josef Frommwieser - bravissima è Ludovica Modugno a far vivere una vecchia dalla cattiveria ancora giovane e dalla stanchezza e dalla delusione antica, Giuseppina Turra ben disegna la badante. Bravi anche Leonardo De Colle, Emanuele Carucci Viterbi, i figli, e Paola Di Meglio la disistimata nuora .</p> <p><strong>Magda Poli</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 14 luglio 2008</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">La scena si apre su un interno borghese austero, un emiciclo rotto da un’enorme finestra chiusa. C’è qualcosa di cimiteriale nelle scenografie che Josef Frommwieser ha concepito per La badante di Cesare Lievi, di cui il regista gardesano è autore e regista. Al centro di quella stanza una vecchia Signora alle prese col figlio. I due parlano della badante ucraina, Ludmilla che da qualche tempo, per volere dei figli, accudisce la donna. La Signora non accetta quella presenza e a tutti i costi cerca di screditarla per convincere il figlio a cacciarla. Nel dialogo col figlio Cesare Lievi mette a segno tutti i luoghi comuni sugli extracomunitari in cui il pubblico può riconoscere propri timori e taciute meschinità. La badante è il terzo tassello di riflessione del regista del Ctb sulla presenza degli stranieri, iniziata con Fotografia di una stanza e proseguita con Il mio amico Baggio. <br />Il primo atto serve per mettere a punto la diffidenza nei confronti degli stranieri, ma al tempo stesso racconta di una donna e dei suoi figli, uno che commercia in motoscafi, l’altro in giro per il mondo a fare lo scrittore, entrambi in vario modo assenti. Il secondo atto mostra quella stessa stanza illuminata a giorno, la finestra è spalancata e si vede il Lago di Garda e a confrontarsi ora sono i due figli più Inge, la moglie tedesca dell’imprenditore di motoscafi. Si apprende che la Signora è morta e con lei si sono volatilizzati soldi ed eredità. Il confronto fra i due figli è serrato, a fare da arbitro Inge, testimone di una recita grottesca di due uomini inetti. Fra i due non c’è legame, l’unico punto di contatto sembra essere quello dell’eredità, così come nel primo atto l’unica preoccupazione del figlio era per la riscossione dell’affitto di una serie di appartamenti intestati alla madre. L’imprenditore si sente ingannato da Ludmilla e finisce col sospettare che la badante abbia raggirato la Signora, lo scrittore è dell’idea opposta, ma alla fine acconsentirà di interpellare un avvocato, malgrado l’inutilità dell’iniziativa. Nel terzo atto Cesare Lievi, come suo solito, spiazza lo spettatore che, rassicurato del prosieguo della narrazione, si attenderebbe la soluzione del giallo ed invece vede confrontarsi la Signora e Ludmilla, in uno spostamento dell’asse temporale antecedente al decesso della donna. Ed è qui che il testo e lo spettacolo mostrano tutta la loro intensità, grazie anche ad una splendida Ludovica Modugno nei panni della Signora. Ecco allora che quello che nei due atti era appena accennato si fa chiaro. Attraverso la Signora Cesare Lievi racconta di un deserto degli affetti, di una sterilità dell’oggi che può avere una soluzione solo nella voglia di vivere degli extracomunitari. Per questo la Signora deciderà di lasciare tutto a Ludmilla e ai suoi figli affamati di riscatto. È la voglia di esistere che la Signora non ritrova nei suoi di figli, ma ancor più è l’ultimo atto di ribellione di una donna che ha sempre odiato il lago e ci ha vissuto per tutta la vita, un luogo di morte e di morti dove lei pure sente di essere stata seppellita. Cesare Lievi dà corpo ad un testo di grande intensità, il racconto della Signora dice della storia recente, del padre fascista, della Salò repubblichina, dell’amore per quel marito che vorrebbe ancora vivo, ma anche della voglia di sconfiggere la morte attraverso questo suo ultimo atto contro la sterilità dei suoi figli e per sentirsi viva. La Signora, che ricorda un po’ il personaggio di Alla meta di Bernhard, parla, si racconta, la sua memoria vacilla, ma non la sua volontà. Ad ascoltarla è Ludmilla, la badante, che dice pochissime parole ma che Giuseppina Turra sa rendere con silenziosa intensità e forte presenza scenica, a suo modo trasfigurandosi. Ludovica Modugno è invece una vecchia Signora che ha saputo cucirsi addosso con incredibile intensità, regalando una grande prova d’attrice, in grado di tirare fuori tutta la dolente e comica crudeltà di quella vecchia che prepara il suo atto d’accusa contro il mondo. Cesare Lievi ha saputo come non mai dirigere e tirare fuori il meglio dai suoi attori, Leonardo De Colle, Emanuele Carucci Viterbi, Paola Di Meglio. La badante di Cesare Lievi è dunque un esempio intelligente di scrittura teatrale e registica che sotto l’apparente ‘tradizione’ ha il coraggio di offrire il teatro come luogo di analisi e di pensiero sulla contemporaneità.</p> <p><strong>Nicola Arrigoni</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Corriere della Sera, 6 aprile 2008</strong>}Brescia, Teatro Santa Chiara, dal 29 marzo 2008</p> <p><span style="font-size: 10pt;"><strong>Se il nostro benessere è senza un futuro</strong> </span></p> <p style="text-align: justify;">Personaggio centrale e ben costruito della commedia di Cesare Lievi La badante, è la vecchia signora dal carattere forte, con un fondo di astio verso i figli, l' uno industriale che ama solo il danaro, l' altro che fa la bella vita, entrambi senza figli. Una ricca signora che deve accettare la presenza di una badante all' inizio odiandola e vessandola e poi capendo che il ruolo, la dedizione, la vitalità della donna, che ha lasciato i suoi figli in Ucraina per accudirla, sono per lei l' unica fonte di sopravvivenza e forse anche di gioia. Una figura che diventa specchio della nostra società, un corpo vecchio che ha bisogno di innesti vitali, non contaminati da quella totalizzante corsa al benessere che l' ha resa sterile e incapace di guardare al futuro. La vecchia signora mostra anche un altro nostro volto nel ricordo dell' odiato padre fascista, ucciso forse dai partigiani, quello di un' Italia incapace di guardare criticamente al suo passato che sopito, sembra sempre ricomparire come il ricordo sgradevole, fatto di urla e di lezzo «di sudore sporco», della giornata in cui il padre la portò, bambina, a vedere l' arrivo del Duce a Gargnano, vicino a quella Salò dove erano andati ad abitare. Un personaggio che si compone in una drammaturgia ben articolata in dialoghi agili e che alla fine sceglierà di lasciare la sua eredità alla badante in disprezzo ai figli, «cadaveri» senza domani. Nella limpida messinscena di Cesare Lievi, in un' austera sala con una finestra che si apre sul lago - la scena è di Josef Frommwieser - bravissima è Ludovica Modugno a far vivere una vecchia dalla cattiveria ancora giovane e dalla stanchezza e dalla delusione antica, Giuseppina Turra ben disegna la badante. Bravi anche Leonardo De Colle, Emanuele Carucci Viterbi, i figli, e Paola Di Meglio la disistimata nuora .</p> <p><strong>Magda Poli</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Avvenire, 2 aprile 2008</strong>}Brescia, Teatro Santa Chiara, dal 29 marzo 2008</p> <p><span style="font-size: 10pt;"><strong>«La badante» di Lievi, giallo sui valori</strong> </span></p> <p style="text-align: justify;">Con questo bel testo, La badante, raffinato e carico a un tempo di malinconia ma anche di sottile ironia, Cesare Lievi viene a riconfermare che esiste anche da noi una drammaturgia che sa guardare, e attentamente, nel nostro tempo presente. Terzo tassello di una trilogia che ha già contemplato Festa d'anime e Il mio amico Baggio, ma qui il risultato è forse più pieno, lo scrittore e regista bresciano, ne La badante pone il suo sguardo, pietoso e impietoso al tempo stesso, sul nulla del nostro quotidiano, sulla sterilità di certo nostro benessere.<br />Scatta Lievi la sua fotografia su una famiglia borghese che vive nel nostro Nord ricco e benestante, ma spesso povero di autentici valori. Due figli, l'uno che sfugge la vita gettandosi a fare lo scrittore, l'altro più pragmatico che continua l'azienda di famiglia, cura il cantiere dove si costruiscono yacht destinati soprattutto al mercato orientale. Fra di loro una madre anziana alla quale il loro egoismo offre poco tempo da dedicare. E così ecco la necessità di metterle accanto una badante, una ancora giovane donna arrivata da un paese povero dell'Est. Ma l'anziana donna, capricciosa e tiranna, fatica ad accettarla. La vede, salvo poi maturare in lei una nuova coscienza, come una straniera, una avversaria. La tratta e la denuncia come una disonesta, una ladra. Morirà la signora dopo una convivenza problematica e quando nella scena centrale verrà letto il suo testamento il lutto dei figli ecco che si tramuta in rabbia, in rancore perché l'eredità della madre, sulla quale i figli pur contavano pur non avendone bisogno, è scomparsa nel nulla. Il motivo? Svelarlo sottrae al potenziale spettatore la «novità» (e il senso) che possiede il lavoro sul quale l'autore lascia scivolare una ventata di giallo. Giallo che risolverà il quadro finale che cronologicamente dovrebbe essere quello centrale e qui diventa invece, a sorpresa, un 'tempo teatrale'.<br />Non è soltanto sulla pagina che la scrittura della pièce trova il suo valore, ma è sulla scena che si valorizza, in quell'unità fra parole e gesti, nell'armonia delle varie componenti dello spettacolo. Soprattutto trovando in Ludovica Modugno una protagonista perfetta capace di dare un'esemplare, straordinaria concretezza alla figura della madre. Convincenti anche Giuseppina Turra (la badante), Emanuele Carucci Viterbi, Leonardo Da Colle e Paola Di Meglio.</p> <p><strong>Domenico Rigotti</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Il Giornale, 25 settembre 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>La strana badante schiava e padrona dei tempi moderni</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Il sipario si apre tre volte su un interno borghese elegante e spazioso dominato da un massiccio tavolo capitonné. A cui è seduto un uomo di mezza età assorto a sfogliare un incartamento. Scopriremo presto la sua identità: è il figlio maggiore della protagonista occupato a vagliare gli affari, gli introiti, le penose dimenticanze della madre affetta dall’Alzheimer. Che, nel suo caso, si manifesta in un’ossessiva mania di persecuzione ai danni della «Badante» che dà il titolo alla commedia, un’emigrata dall’Ucraina che si dedica alla padrona con affettuosa dedizione. Invano il figlio cerca di placare l’ira materna. La donna non intende ragione: lei non ha bisogno di una spia di nome Ludmilla. Secondo round: la signora è morta e i due figli, più una nuora di complemento, scoprono con raccapriccio di essere stati giocati. Infatti la terribile madre si è disfatta dell’intero patrimonio: l’avrà plagiata la Badante? Terzo ed ultimo tempo: in un flashback cechoviano scopriamo che la signora ha finto sia di essere affetta da un male incurabile che di odiare la schiava docilmente assoggettata alle sue cure. Per quale motivo? Semplicissimo, non voleva che i figli sospettassero le sue intenzioni: diseredarli a favore di chi, per tutta la vita, non ha mai avuto un momento di pace per dimostrare al mondo, e allo spettatore, che ogni atto su cui si regge l’oliato meccanismo della società è solo una miserabile convenzione. <br />Su questo teorema d’impressionante lucidità dialettica Cesare Lievi ha impostato con una coerenza non esente da una buona dose di humour la sua ultima fatica di drammaturgo. Ne è risultata una pièce d’intensa suggestione animata da un ritmo irresistibile dove le battute, macabre e taglienti, rimbalzano come palle da tennis in un gioco serrato che fa pensare ai grandi precedenti di interno familiare dipinti da Becque e prediletti da Balzac. Qui sostenuti dall’impeccabile recitazione della compagnia stabile di Wiesbaden e da una grande protagonista di nome Monika Kroll. Un exploit che vedremo presto anche da noi tutt’uno all’edizione italiana sempre diretta da Lievi, straordinario animatore di questa bella serata di grande teatro.</p> <p><strong>Enrico Groppali</strong></p> <p><strong></strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p> <p> </p></div><div class="K2FeedImage"><img src="https://sipario.it/media/k2/items/cache/99f96c5b99e363e03747beae954989bf_S.jpg" alt="La badante" /></div><div class="K2FeedIntroText"></div><div class="K2FeedFullText"> <p><strong>di Cesare Lievi<br />regia: Cesare Lievi<br />scene: Josef Frommweiser<br />costumi: Marina Luxardo<br />con Monika Kroll, Susanne Bard, Evelyn M. Faber, Uwe Kraus, Lars Wellings<br />Teatro di Wiesbaden, 22 settembre 2007<br />Brescia, Teatro Santa Chiara, dal 29 marzo 2008<br />Teatro Bellini, Palermo fino al 22 Dicembre 2008</strong><strong></strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Giornale di Sicilia, 13 febbraio 2009</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>Brescia, Teatro Santa Chiara, dal 29 marzo 2008</strong></span></p> <p><span style="font-size: 10pt;"><strong>Se il nostro benessere è senza un futuro</strong> </span></p> <p>Personaggio centrale e ben costruito della commedia di Cesare Lievi La badante, è la vecchia signora dal carattere forte, con un fondo di astio verso i figli, l' uno industriale che ama solo il danaro, l' altro che fa la bella vita, entrambi senza figli. Una ricca signora che deve accettare la presenza di una badante all' inizio odiandola e vessandola e poi capendo che il ruolo, la dedizione, la vitalità della donna, che ha lasciato i suoi figli in Ucraina per accudirla, sono per lei l' unica fonte di sopravvivenza e forse anche di gioia. Una figura che diventa specchio della nostra società, un corpo vecchio che ha bisogno di innesti vitali, non contaminati da quella totalizzante corsa al benessere che l' ha resa sterile e incapace di guardare al futuro. La vecchia signora mostra anche un altro nostro volto nel ricordo dell' odiato padre fascista, ucciso forse dai partigiani, quello di un' Italia incapace di guardare criticamente al suo passato che sopito, sembra sempre ricomparire come il ricordo sgradevole, fatto di urla e di lezzo «di sudore sporco», della giornata in cui il padre la portò, bambina, a vedere l' arrivo del Duce a Gargnano, vicino a quella Salò dove erano andati ad abitare. Un personaggio che si compone in una drammaturgia ben articolata in dialoghi agili e che alla fine sceglierà di lasciare la sua eredità alla badante in disprezzo ai figli, «cadaveri» senza domani. Nella limpida messinscena di Cesare Lievi, in un' austera sala con una finestra che si apre sul lago - la scena è di Josef Frommwieser - bravissima è Ludovica Modugno a far vivere una vecchia dalla cattiveria ancora giovane e dalla stanchezza e dalla delusione antica, Giuseppina Turra ben disegna la badante. Bravi anche Leonardo De Colle, Emanuele Carucci Viterbi, i figli, e Paola Di Meglio la disistimata nuora .</p> <p><strong>Magda Poli</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>www.Sipario.it, 14 luglio 2008</strong>}</p> <p style="text-align: justify;">La scena si apre su un interno borghese austero, un emiciclo rotto da un’enorme finestra chiusa. C’è qualcosa di cimiteriale nelle scenografie che Josef Frommwieser ha concepito per La badante di Cesare Lievi, di cui il regista gardesano è autore e regista. Al centro di quella stanza una vecchia Signora alle prese col figlio. I due parlano della badante ucraina, Ludmilla che da qualche tempo, per volere dei figli, accudisce la donna. La Signora non accetta quella presenza e a tutti i costi cerca di screditarla per convincere il figlio a cacciarla. Nel dialogo col figlio Cesare Lievi mette a segno tutti i luoghi comuni sugli extracomunitari in cui il pubblico può riconoscere propri timori e taciute meschinità. La badante è il terzo tassello di riflessione del regista del Ctb sulla presenza degli stranieri, iniziata con Fotografia di una stanza e proseguita con Il mio amico Baggio. <br />Il primo atto serve per mettere a punto la diffidenza nei confronti degli stranieri, ma al tempo stesso racconta di una donna e dei suoi figli, uno che commercia in motoscafi, l’altro in giro per il mondo a fare lo scrittore, entrambi in vario modo assenti. Il secondo atto mostra quella stessa stanza illuminata a giorno, la finestra è spalancata e si vede il Lago di Garda e a confrontarsi ora sono i due figli più Inge, la moglie tedesca dell’imprenditore di motoscafi. Si apprende che la Signora è morta e con lei si sono volatilizzati soldi ed eredità. Il confronto fra i due figli è serrato, a fare da arbitro Inge, testimone di una recita grottesca di due uomini inetti. Fra i due non c’è legame, l’unico punto di contatto sembra essere quello dell’eredità, così come nel primo atto l’unica preoccupazione del figlio era per la riscossione dell’affitto di una serie di appartamenti intestati alla madre. L’imprenditore si sente ingannato da Ludmilla e finisce col sospettare che la badante abbia raggirato la Signora, lo scrittore è dell’idea opposta, ma alla fine acconsentirà di interpellare un avvocato, malgrado l’inutilità dell’iniziativa. Nel terzo atto Cesare Lievi, come suo solito, spiazza lo spettatore che, rassicurato del prosieguo della narrazione, si attenderebbe la soluzione del giallo ed invece vede confrontarsi la Signora e Ludmilla, in uno spostamento dell’asse temporale antecedente al decesso della donna. Ed è qui che il testo e lo spettacolo mostrano tutta la loro intensità, grazie anche ad una splendida Ludovica Modugno nei panni della Signora. Ecco allora che quello che nei due atti era appena accennato si fa chiaro. Attraverso la Signora Cesare Lievi racconta di un deserto degli affetti, di una sterilità dell’oggi che può avere una soluzione solo nella voglia di vivere degli extracomunitari. Per questo la Signora deciderà di lasciare tutto a Ludmilla e ai suoi figli affamati di riscatto. È la voglia di esistere che la Signora non ritrova nei suoi di figli, ma ancor più è l’ultimo atto di ribellione di una donna che ha sempre odiato il lago e ci ha vissuto per tutta la vita, un luogo di morte e di morti dove lei pure sente di essere stata seppellita. Cesare Lievi dà corpo ad un testo di grande intensità, il racconto della Signora dice della storia recente, del padre fascista, della Salò repubblichina, dell’amore per quel marito che vorrebbe ancora vivo, ma anche della voglia di sconfiggere la morte attraverso questo suo ultimo atto contro la sterilità dei suoi figli e per sentirsi viva. La Signora, che ricorda un po’ il personaggio di Alla meta di Bernhard, parla, si racconta, la sua memoria vacilla, ma non la sua volontà. Ad ascoltarla è Ludmilla, la badante, che dice pochissime parole ma che Giuseppina Turra sa rendere con silenziosa intensità e forte presenza scenica, a suo modo trasfigurandosi. Ludovica Modugno è invece una vecchia Signora che ha saputo cucirsi addosso con incredibile intensità, regalando una grande prova d’attrice, in grado di tirare fuori tutta la dolente e comica crudeltà di quella vecchia che prepara il suo atto d’accusa contro il mondo. Cesare Lievi ha saputo come non mai dirigere e tirare fuori il meglio dai suoi attori, Leonardo De Colle, Emanuele Carucci Viterbi, Paola Di Meglio. La badante di Cesare Lievi è dunque un esempio intelligente di scrittura teatrale e registica che sotto l’apparente ‘tradizione’ ha il coraggio di offrire il teatro come luogo di analisi e di pensiero sulla contemporaneità.</p> <p><strong>Nicola Arrigoni</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Corriere della Sera, 6 aprile 2008</strong>}Brescia, Teatro Santa Chiara, dal 29 marzo 2008</p> <p><span style="font-size: 10pt;"><strong>Se il nostro benessere è senza un futuro</strong> </span></p> <p style="text-align: justify;">Personaggio centrale e ben costruito della commedia di Cesare Lievi La badante, è la vecchia signora dal carattere forte, con un fondo di astio verso i figli, l' uno industriale che ama solo il danaro, l' altro che fa la bella vita, entrambi senza figli. Una ricca signora che deve accettare la presenza di una badante all' inizio odiandola e vessandola e poi capendo che il ruolo, la dedizione, la vitalità della donna, che ha lasciato i suoi figli in Ucraina per accudirla, sono per lei l' unica fonte di sopravvivenza e forse anche di gioia. Una figura che diventa specchio della nostra società, un corpo vecchio che ha bisogno di innesti vitali, non contaminati da quella totalizzante corsa al benessere che l' ha resa sterile e incapace di guardare al futuro. La vecchia signora mostra anche un altro nostro volto nel ricordo dell' odiato padre fascista, ucciso forse dai partigiani, quello di un' Italia incapace di guardare criticamente al suo passato che sopito, sembra sempre ricomparire come il ricordo sgradevole, fatto di urla e di lezzo «di sudore sporco», della giornata in cui il padre la portò, bambina, a vedere l' arrivo del Duce a Gargnano, vicino a quella Salò dove erano andati ad abitare. Un personaggio che si compone in una drammaturgia ben articolata in dialoghi agili e che alla fine sceglierà di lasciare la sua eredità alla badante in disprezzo ai figli, «cadaveri» senza domani. Nella limpida messinscena di Cesare Lievi, in un' austera sala con una finestra che si apre sul lago - la scena è di Josef Frommwieser - bravissima è Ludovica Modugno a far vivere una vecchia dalla cattiveria ancora giovane e dalla stanchezza e dalla delusione antica, Giuseppina Turra ben disegna la badante. Bravi anche Leonardo De Colle, Emanuele Carucci Viterbi, i figli, e Paola Di Meglio la disistimata nuora .</p> <p><strong>Magda Poli</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Avvenire, 2 aprile 2008</strong>}Brescia, Teatro Santa Chiara, dal 29 marzo 2008</p> <p><span style="font-size: 10pt;"><strong>«La badante» di Lievi, giallo sui valori</strong> </span></p> <p style="text-align: justify;">Con questo bel testo, La badante, raffinato e carico a un tempo di malinconia ma anche di sottile ironia, Cesare Lievi viene a riconfermare che esiste anche da noi una drammaturgia che sa guardare, e attentamente, nel nostro tempo presente. Terzo tassello di una trilogia che ha già contemplato Festa d'anime e Il mio amico Baggio, ma qui il risultato è forse più pieno, lo scrittore e regista bresciano, ne La badante pone il suo sguardo, pietoso e impietoso al tempo stesso, sul nulla del nostro quotidiano, sulla sterilità di certo nostro benessere.<br />Scatta Lievi la sua fotografia su una famiglia borghese che vive nel nostro Nord ricco e benestante, ma spesso povero di autentici valori. Due figli, l'uno che sfugge la vita gettandosi a fare lo scrittore, l'altro più pragmatico che continua l'azienda di famiglia, cura il cantiere dove si costruiscono yacht destinati soprattutto al mercato orientale. Fra di loro una madre anziana alla quale il loro egoismo offre poco tempo da dedicare. E così ecco la necessità di metterle accanto una badante, una ancora giovane donna arrivata da un paese povero dell'Est. Ma l'anziana donna, capricciosa e tiranna, fatica ad accettarla. La vede, salvo poi maturare in lei una nuova coscienza, come una straniera, una avversaria. La tratta e la denuncia come una disonesta, una ladra. Morirà la signora dopo una convivenza problematica e quando nella scena centrale verrà letto il suo testamento il lutto dei figli ecco che si tramuta in rabbia, in rancore perché l'eredità della madre, sulla quale i figli pur contavano pur non avendone bisogno, è scomparsa nel nulla. Il motivo? Svelarlo sottrae al potenziale spettatore la «novità» (e il senso) che possiede il lavoro sul quale l'autore lascia scivolare una ventata di giallo. Giallo che risolverà il quadro finale che cronologicamente dovrebbe essere quello centrale e qui diventa invece, a sorpresa, un 'tempo teatrale'.<br />Non è soltanto sulla pagina che la scrittura della pièce trova il suo valore, ma è sulla scena che si valorizza, in quell'unità fra parole e gesti, nell'armonia delle varie componenti dello spettacolo. Soprattutto trovando in Ludovica Modugno una protagonista perfetta capace di dare un'esemplare, straordinaria concretezza alla figura della madre. Convincenti anche Giuseppina Turra (la badante), Emanuele Carucci Viterbi, Leonardo Da Colle e Paola Di Meglio.</p> <p><strong>Domenico Rigotti</strong></p> <p>{2jtoolbox_content tabs id:1 begin title:<strong>Il Giornale, 25 settembre 2007</strong>}<span style="font-size: 10pt;"><strong>La strana badante schiava e padrona dei tempi moderni</strong></span></p> <p style="text-align: justify;">Il sipario si apre tre volte su un interno borghese elegante e spazioso dominato da un massiccio tavolo capitonné. A cui è seduto un uomo di mezza età assorto a sfogliare un incartamento. Scopriremo presto la sua identità: è il figlio maggiore della protagonista occupato a vagliare gli affari, gli introiti, le penose dimenticanze della madre affetta dall’Alzheimer. Che, nel suo caso, si manifesta in un’ossessiva mania di persecuzione ai danni della «Badante» che dà il titolo alla commedia, un’emigrata dall’Ucraina che si dedica alla padrona con affettuosa dedizione. Invano il figlio cerca di placare l’ira materna. La donna non intende ragione: lei non ha bisogno di una spia di nome Ludmilla. Secondo round: la signora è morta e i due figli, più una nuora di complemento, scoprono con raccapriccio di essere stati giocati. Infatti la terribile madre si è disfatta dell’intero patrimonio: l’avrà plagiata la Badante? Terzo ed ultimo tempo: in un flashback cechoviano scopriamo che la signora ha finto sia di essere affetta da un male incurabile che di odiare la schiava docilmente assoggettata alle sue cure. Per quale motivo? Semplicissimo, non voleva che i figli sospettassero le sue intenzioni: diseredarli a favore di chi, per tutta la vita, non ha mai avuto un momento di pace per dimostrare al mondo, e allo spettatore, che ogni atto su cui si regge l’oliato meccanismo della società è solo una miserabile convenzione. <br />Su questo teorema d’impressionante lucidità dialettica Cesare Lievi ha impostato con una coerenza non esente da una buona dose di humour la sua ultima fatica di drammaturgo. Ne è risultata una pièce d’intensa suggestione animata da un ritmo irresistibile dove le battute, macabre e taglienti, rimbalzano come palle da tennis in un gioco serrato che fa pensare ai grandi precedenti di interno familiare dipinti da Becque e prediletti da Balzac. Qui sostenuti dall’impeccabile recitazione della compagnia stabile di Wiesbaden e da una grande protagonista di nome Monika Kroll. Un exploit che vedremo presto anche da noi tutt’uno all’edizione italiana sempre diretta da Lievi, straordinario animatore di questa bella serata di grande teatro.</p> <p><strong>Enrico Groppali</strong></p> <p><strong></strong>{2jtoolbox_content tabs id:1 end}</p> <p> </p></div>