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BUIO (IL) - regia Antonio Moresco

Alessandra Dell’Atti in "Il Buio", regia Antonio Moresco. Foto Margherita Caprilli Alessandra Dell’Atti in "Il Buio", regia Antonio Moresco. Foto Margherita Caprilli

Testo e regia Antonio Moresco
con Alessandra Dell’Atti
creatrice e animatrice delle ombre Rita Deiola
progetto luci Stefano Mazzanti
progetto sonoro Guido Affini
aiuto regista Cristina Accardi, fonico Guido Affini/Massimo Nardinocchi
scene e costumi realizzati nel Laboratorio della casa dei Cantieri Meticci
Produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale. Prima assoluta.
Al Teatro delle Moline di Bologna dal 5 al 17 marzo 2024

www.Sipario.it, 9 marzo 2024

Abbiamo voluto dimenticare, confinandola nella catechistica ingenuità delle credenze popolari, che la santità è parte integrante dell'umanità e della sua condizione deiettaticamente esistenziale, e lo abbiamo fatto perchè, insieme, abbiamo dimenticato la morte, la crudeltà ed il male mentre, forse eterodiretti da estranee esigenze di 'governo' della vita, ci rifugiavamo in una limbica sospensione, abbandonando noi stessi ad altri.

Il buio, questa nuova drammaturgia di Antonio Moresco che ne preannuncia il pieno ritorno alla 'necessaria' (così lui stesso la definisce) dimensione drammaturgica, ci dice in fondo questo, quando ci sorprende occupando la scena con la dimensione binaria della vita, con quella che denomina la sua 'siamesità'.

Del resto la più avveduta Cristologia fa della stessa “Trinità” la misteriosa espressione di questa binarietà, collegata nella siamese colomba bianca e luminosa dello “Spirito Santo”, metafisicamente rappresentando, oltre la fede e l'agnosticismo, il rapporto indissolubile tra il “Bene” ed il “Male” che gli Evangeli narrano nel dialogo/scontro tra il Demonio (non dimentichiamo che Satana era e rimane “Lucifero” l'angelo prediletto e caduto 'portatore della luce') e Cristo, nei quaranta giorni nel deserto che precedono la sua predicazione.

Quasi che l'uno (il bene) non potesse prescindere dall'altro (il male e il dolore che è in sé) cosi da fare di quest'ultimo una sorta di necessità che supera agostinianamente (nel riferimento a Sant'Agostino del cui ordine del resto Rita fu monaca) il paradosso della contemporanea esistenza di Dio e del Demonio, fondamento di quel libero arbitrio che è status irriducibile e ineludibile di ogni possibile condizione umana.

Così se siamo stati abituati dalla 'tradizione' a considerare la 'Santita' come un essere 'adamantini' e puri, senza contatto con l'oscurità del male, questa drammaturgia intuisce e ci fa intuire che essa santità, al contrario, è una meta che si raggiunge solo attraversando l'oscurità del male stesso, che ne fa parte, e man mano illuminandola.

Allo stesso modo, prescindendo da ogni fede, ci suggerisce che l'Umanità dell'essere umano può essere raggiunta solo a partire dalle ombre da cui siamo generati e che ci circondano, e da quelle ombre man mano liberandoci.

Un intrinseco, pur non detto, e suggestivo riferimento a Dostoevskij, ai suoi Smerdjakov e Ivan dei Fratelli Karamazov o anche a Rodion Romanovic Raskol'nikov del suo altrettanto immortale Delitto e Castigo.

In questo la drammaturgia credo superi ogni semplificazione psicologica o di genere, cui peraltro parrebbe non del tutto aliena laddove definisce una madre nel suo ambiguo rapporto di vita e morte con i propri figli, per delineare una condizione umana universale, religiosamente atea e irrazionalmente razionale, che di quell'intreccio 'impossibile' è parte, come ne è inevitabilmente parte la sua proiezione nel 'divino'.

Santa Rita la santa dell'impossibile, la protagonista di questa drammaturgia, è infatti anch'essa una santa universale che, oltre l'agiografia ma anche dentro di essa, fa della sua vita una metafora 'concreta' (e non è un paradosso o un miracolo) del Christus Patiens che attraversa il deserto di Galilea incontrando il suo doppio, il suo incarnato gemello 'siamese', di cui declina l'invito a sottrarsi alla propria sorte fino a quel fatale Golgota.

Il buio, dunque, è un testo di rara complessità, fin complicato in certi passaggi, ma anche di altrettanto rara chiarezza, di quella semplicità che si incarna nelle parole quando transitano in scena  rendendole profondamente perspicue.

È anche una scrittura che conserva una sua indubbia letterarietà, frutto della creatività di chi del teatro sembra non conoscere i meccanismi ma li padroneggia , articolando la scena tra luci e ombre, quasi lasciando in dubbio dove o cosa sia la luce e dove o cosa sia la tenebra, essendo l'essenza dell'una nell'altra e viceversa.

Attua così una sorta di ribaltamento dell'idea di 'Santità', di cui crudelmente mostra le radici da cui attinge la sua vitalità, le radici del suo dolore che è il dolore dell'umano o 'troppo umano', ma anche una sua 'estroflessione' che porta, dal suo interno al suo esterno, il suo binario e sempre enigmatico paradosso.

In scena l'attrice sta al posto di altro ed insieme è sè stessa, o meglio le sue sè stesse e tutte autentiche, etimologicamente agendo in scena le parole che vi precipitano da un altrove che è la voce dell'autore nascosto ad ogni vista.

Uno spettacolo narrativamente e iconograficamente 'fedele', fedele cioè ad una leggenda ormai più sincera della stessa realtà storica, e la intensa Alessandra Dell'Atti, che è “Rita” e “Santa Rita” unica e distinte, è brava nello stare 'al posto di' con grande qualità di recitazione.

La scena è vuota, anzi è inesorabilmente piena del suo 'buio' attraversato e quasi ferito da luci che talvolta si fanno accecanti, mentre, oltre il fondale e su di esso proiettato, il combattimento eterno tra bene e male, tra luce e ombre, si fa intenso e serrato fino all'esito che è il perenne mistero che neanche la Santa mostra di conoscere o riconoscere. Un plauso per questo meritano Rita Deiola (animatrice delle ombre), Stefano Mazzanti (progetto luci) e Guido Affini il cui progetto sonoro ne è parte integrante.

Uno spettacolo che lo spazio raccolto del bolognese Teatro delle Moline ha reso ancor più apprezzabile. Molto interesse e molti gli applausi.

Maria Dolores Pesce

Ultima modifica il Venerdì, 15 Marzo 2024 04:39

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