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BADANTE (LA) - regia Cesare Lievi

La badante La badante Regia Cesare Lievi

di Cesare Lievi
regia: Cesare Lievi
scene: Josef Frommweiser
costumi: Marina Luxardo
con Monika Kroll, Susanne Bard, Evelyn M. Faber, Uwe Kraus, Lars Wellings
Teatro di Wiesbaden, 22 settembre 2007
Brescia, Teatro Santa Chiara, dal 29 marzo 2008
Teatro Bellini, Palermo fino al 22 Dicembre 2008

Giornale di Sicilia, 13 febbraio 2009
www.Sipario.it, 14 luglio 2008
Corriere della Sera, 6 aprile 2008
Avvenire, 2 aprile 2008
Il Giornale, 25 settembre 2007
Brescia, Teatro Santa Chiara, dal 29 marzo 2008

Se il nostro benessere è senza un futuro

Personaggio centrale e ben costruito della commedia di Cesare Lievi La badante, è la vecchia signora dal carattere forte, con un fondo di astio verso i figli, l' uno industriale che ama solo il danaro, l' altro che fa la bella vita, entrambi senza figli. Una ricca signora che deve accettare la presenza di una badante all' inizio odiandola e vessandola e poi capendo che il ruolo, la dedizione, la vitalità della donna, che ha lasciato i suoi figli in Ucraina per accudirla, sono per lei l' unica fonte di sopravvivenza e forse anche di gioia. Una figura che diventa specchio della nostra società, un corpo vecchio che ha bisogno di innesti vitali, non contaminati da quella totalizzante corsa al benessere che l' ha resa sterile e incapace di guardare al futuro. La vecchia signora mostra anche un altro nostro volto nel ricordo dell' odiato padre fascista, ucciso forse dai partigiani, quello di un' Italia incapace di guardare criticamente al suo passato che sopito, sembra sempre ricomparire come il ricordo sgradevole, fatto di urla e di lezzo «di sudore sporco», della giornata in cui il padre la portò, bambina, a vedere l' arrivo del Duce a Gargnano, vicino a quella Salò dove erano andati ad abitare. Un personaggio che si compone in una drammaturgia ben articolata in dialoghi agili e che alla fine sceglierà di lasciare la sua eredità alla badante in disprezzo ai figli, «cadaveri» senza domani. Nella limpida messinscena di Cesare Lievi, in un' austera sala con una finestra che si apre sul lago - la scena è di Josef Frommwieser - bravissima è Ludovica Modugno a far vivere una vecchia dalla cattiveria ancora giovane e dalla stanchezza e dalla delusione antica, Giuseppina Turra ben disegna la badante. Bravi anche Leonardo De Colle, Emanuele Carucci Viterbi, i figli, e Paola Di Meglio la disistimata nuora .

Magda Poli

La scena si apre su un interno borghese austero, un emiciclo rotto da un’enorme finestra chiusa. C’è qualcosa di cimiteriale nelle scenografie che Josef Frommwieser ha concepito per La badante di Cesare Lievi, di cui il regista gardesano è autore e regista. Al centro di quella stanza una vecchia Signora alle prese col figlio. I due parlano della badante ucraina, Ludmilla che da qualche tempo, per volere dei figli, accudisce la donna. La Signora non accetta quella presenza e a tutti i costi cerca di screditarla per convincere il figlio a cacciarla. Nel dialogo col figlio Cesare Lievi mette a segno tutti i luoghi comuni sugli extracomunitari in cui il pubblico può riconoscere propri timori e taciute meschinità. La badante è il terzo tassello di riflessione del regista del Ctb sulla presenza degli stranieri, iniziata con Fotografia di una stanza e proseguita con Il mio amico Baggio.
Il primo atto serve per mettere a punto la diffidenza nei confronti degli stranieri, ma al tempo stesso racconta di una donna e dei suoi figli, uno che commercia in motoscafi, l’altro in giro per il mondo a fare lo scrittore, entrambi in vario modo assenti. Il secondo atto mostra quella stessa stanza illuminata a giorno, la finestra è spalancata e si vede il Lago di Garda e a confrontarsi ora sono i due figli più Inge, la moglie tedesca dell’imprenditore di motoscafi. Si apprende che la Signora è morta e con lei si sono volatilizzati soldi ed eredità. Il confronto fra i due figli è serrato, a fare da arbitro Inge, testimone di una recita grottesca di due uomini inetti. Fra i due non c’è legame, l’unico punto di contatto sembra essere quello dell’eredità, così come nel primo atto l’unica preoccupazione del figlio era per la riscossione dell’affitto di una serie di appartamenti intestati alla madre. L’imprenditore si sente ingannato da Ludmilla e finisce col sospettare che la badante abbia raggirato la Signora, lo scrittore è dell’idea opposta, ma alla fine acconsentirà di interpellare un avvocato, malgrado l’inutilità dell’iniziativa. Nel terzo atto Cesare Lievi, come suo solito, spiazza lo spettatore che, rassicurato del prosieguo della narrazione, si attenderebbe la soluzione del giallo ed invece vede confrontarsi la Signora e Ludmilla, in uno spostamento dell’asse temporale antecedente al decesso della donna. Ed è qui che il testo e lo spettacolo mostrano tutta la loro intensità, grazie anche ad una splendida Ludovica Modugno nei panni della Signora. Ecco allora che quello che nei due atti era appena accennato si fa chiaro. Attraverso la Signora Cesare Lievi racconta di un deserto degli affetti, di una sterilità dell’oggi che può avere una soluzione solo nella voglia di vivere degli extracomunitari. Per questo la Signora deciderà di lasciare tutto a Ludmilla e ai suoi figli affamati di riscatto. È la voglia di esistere che la Signora non ritrova nei suoi di figli, ma ancor più è l’ultimo atto di ribellione di una donna che ha sempre odiato il lago e ci ha vissuto per tutta la vita, un luogo di morte e di morti dove lei pure sente di essere stata seppellita. Cesare Lievi dà corpo ad un testo di grande intensità, il racconto della Signora dice della storia recente, del padre fascista, della Salò repubblichina, dell’amore per quel marito che vorrebbe ancora vivo, ma anche della voglia di sconfiggere la morte attraverso questo suo ultimo atto contro la sterilità dei suoi figli e per sentirsi viva. La Signora, che ricorda un po’ il personaggio di Alla meta di Bernhard, parla, si racconta, la sua memoria vacilla, ma non la sua volontà. Ad ascoltarla è Ludmilla, la badante, che dice pochissime parole ma che Giuseppina Turra sa rendere con silenziosa intensità e forte presenza scenica, a suo modo trasfigurandosi. Ludovica Modugno è invece una vecchia Signora che ha saputo cucirsi addosso con incredibile intensità, regalando una grande prova d’attrice, in grado di tirare fuori tutta la dolente e comica crudeltà di quella vecchia che prepara il suo atto d’accusa contro il mondo. Cesare Lievi ha saputo come non mai dirigere e tirare fuori il meglio dai suoi attori, Leonardo De Colle, Emanuele Carucci Viterbi, Paola Di Meglio. La badante di Cesare Lievi è dunque un esempio intelligente di scrittura teatrale e registica che sotto l’apparente ‘tradizione’ ha il coraggio di offrire il teatro come luogo di analisi e di pensiero sulla contemporaneità.

Nicola Arrigoni

Brescia, Teatro Santa Chiara, dal 29 marzo 2008

Se il nostro benessere è senza un futuro

Personaggio centrale e ben costruito della commedia di Cesare Lievi La badante, è la vecchia signora dal carattere forte, con un fondo di astio verso i figli, l' uno industriale che ama solo il danaro, l' altro che fa la bella vita, entrambi senza figli. Una ricca signora che deve accettare la presenza di una badante all' inizio odiandola e vessandola e poi capendo che il ruolo, la dedizione, la vitalità della donna, che ha lasciato i suoi figli in Ucraina per accudirla, sono per lei l' unica fonte di sopravvivenza e forse anche di gioia. Una figura che diventa specchio della nostra società, un corpo vecchio che ha bisogno di innesti vitali, non contaminati da quella totalizzante corsa al benessere che l' ha resa sterile e incapace di guardare al futuro. La vecchia signora mostra anche un altro nostro volto nel ricordo dell' odiato padre fascista, ucciso forse dai partigiani, quello di un' Italia incapace di guardare criticamente al suo passato che sopito, sembra sempre ricomparire come il ricordo sgradevole, fatto di urla e di lezzo «di sudore sporco», della giornata in cui il padre la portò, bambina, a vedere l' arrivo del Duce a Gargnano, vicino a quella Salò dove erano andati ad abitare. Un personaggio che si compone in una drammaturgia ben articolata in dialoghi agili e che alla fine sceglierà di lasciare la sua eredità alla badante in disprezzo ai figli, «cadaveri» senza domani. Nella limpida messinscena di Cesare Lievi, in un' austera sala con una finestra che si apre sul lago - la scena è di Josef Frommwieser - bravissima è Ludovica Modugno a far vivere una vecchia dalla cattiveria ancora giovane e dalla stanchezza e dalla delusione antica, Giuseppina Turra ben disegna la badante. Bravi anche Leonardo De Colle, Emanuele Carucci Viterbi, i figli, e Paola Di Meglio la disistimata nuora .

Magda Poli

Brescia, Teatro Santa Chiara, dal 29 marzo 2008

«La badante» di Lievi, giallo sui valori

Con questo bel testo, La badante, raffinato e carico a un tempo di malinconia ma anche di sottile ironia, Cesare Lievi viene a riconfermare che esiste anche da noi una drammaturgia che sa guardare, e attentamente, nel nostro tempo presente. Terzo tassello di una trilogia che ha già contemplato Festa d'anime e Il mio amico Baggio, ma qui il risultato è forse più pieno, lo scrittore e regista bresciano, ne La badante pone il suo sguardo, pietoso e impietoso al tempo stesso, sul nulla del nostro quotidiano, sulla sterilità di certo nostro benessere.
Scatta Lievi la sua fotografia su una famiglia borghese che vive nel nostro Nord ricco e benestante, ma spesso povero di autentici valori. Due figli, l'uno che sfugge la vita gettandosi a fare lo scrittore, l'altro più pragmatico che continua l'azienda di famiglia, cura il cantiere dove si costruiscono yacht destinati soprattutto al mercato orientale. Fra di loro una madre anziana alla quale il loro egoismo offre poco tempo da dedicare. E così ecco la necessità di metterle accanto una badante, una ancora giovane donna arrivata da un paese povero dell'Est. Ma l'anziana donna, capricciosa e tiranna, fatica ad accettarla. La vede, salvo poi maturare in lei una nuova coscienza, come una straniera, una avversaria. La tratta e la denuncia come una disonesta, una ladra. Morirà la signora dopo una convivenza problematica e quando nella scena centrale verrà letto il suo testamento il lutto dei figli ecco che si tramuta in rabbia, in rancore perché l'eredità della madre, sulla quale i figli pur contavano pur non avendone bisogno, è scomparsa nel nulla. Il motivo? Svelarlo sottrae al potenziale spettatore la «novità» (e il senso) che possiede il lavoro sul quale l'autore lascia scivolare una ventata di giallo. Giallo che risolverà il quadro finale che cronologicamente dovrebbe essere quello centrale e qui diventa invece, a sorpresa, un 'tempo teatrale'.
Non è soltanto sulla pagina che la scrittura della pièce trova il suo valore, ma è sulla scena che si valorizza, in quell'unità fra parole e gesti, nell'armonia delle varie componenti dello spettacolo. Soprattutto trovando in Ludovica Modugno una protagonista perfetta capace di dare un'esemplare, straordinaria concretezza alla figura della madre. Convincenti anche Giuseppina Turra (la badante), Emanuele Carucci Viterbi, Leonardo Da Colle e Paola Di Meglio.

Domenico Rigotti

La strana badante schiava e padrona dei tempi moderni

Il sipario si apre tre volte su un interno borghese elegante e spazioso dominato da un massiccio tavolo capitonné. A cui è seduto un uomo di mezza età assorto a sfogliare un incartamento. Scopriremo presto la sua identità: è il figlio maggiore della protagonista occupato a vagliare gli affari, gli introiti, le penose dimenticanze della madre affetta dall’Alzheimer. Che, nel suo caso, si manifesta in un’ossessiva mania di persecuzione ai danni della «Badante» che dà il titolo alla commedia, un’emigrata dall’Ucraina che si dedica alla padrona con affettuosa dedizione. Invano il figlio cerca di placare l’ira materna. La donna non intende ragione: lei non ha bisogno di una spia di nome Ludmilla. Secondo round: la signora è morta e i due figli, più una nuora di complemento, scoprono con raccapriccio di essere stati giocati. Infatti la terribile madre si è disfatta dell’intero patrimonio: l’avrà plagiata la Badante? Terzo ed ultimo tempo: in un flashback cechoviano scopriamo che la signora ha finto sia di essere affetta da un male incurabile che di odiare la schiava docilmente assoggettata alle sue cure. Per quale motivo? Semplicissimo, non voleva che i figli sospettassero le sue intenzioni: diseredarli a favore di chi, per tutta la vita, non ha mai avuto un momento di pace per dimostrare al mondo, e allo spettatore, che ogni atto su cui si regge l’oliato meccanismo della società è solo una miserabile convenzione.
Su questo teorema d’impressionante lucidità dialettica Cesare Lievi ha impostato con una coerenza non esente da una buona dose di humour la sua ultima fatica di drammaturgo. Ne è risultata una pièce d’intensa suggestione animata da un ritmo irresistibile dove le battute, macabre e taglienti, rimbalzano come palle da tennis in un gioco serrato che fa pensare ai grandi precedenti di interno familiare dipinti da Becque e prediletti da Balzac. Qui sostenuti dall’impeccabile recitazione della compagnia stabile di Wiesbaden e da una grande protagonista di nome Monika Kroll. Un exploit che vedremo presto anche da noi tutt’uno all’edizione italiana sempre diretta da Lievi, straordinario animatore di questa bella serata di grande teatro.

Enrico Groppali

 

Ultima modifica il Mercoledì, 07 Agosto 2013 14:13

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