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DIARIO DI MARIAPIA (Il) - regia Fausto Paravidino

"Il diario di Maria Pia" - regia Fausto Paravadino. Foto Manuela Giusto "Il diario di Maria Pia" - regia Fausto Paravadino. Foto Manuela Giusto

di Fausto Paravidino
con Iris Fusetti, Fausto Paravidino, Monica Samassa
testo e regia Fausto Paravidino
scene Laura Benzi in collaborazione con Lucia Giorgio
costumi Sandra Cardini
produzione Nidodiragno
Roma, Teatro dell'Orologio, 16 gennaio 2015

www.Sipario.it, 20 gennaio 2015

La realtà a teatro

La scenografia che fa da cornice a Il diario di Maria Pia, ultimo lavoro scritto diretto e interpretato da Fausto Paravidino, è leggera, semicircolare, povera d'oggetti. Il fondo è chiuso da pannelli atti a riprodurre, ingranditi, alcuni dettagli dello spettacolo. Le scarpe, i vestiti e gli accessori, ai lati della scena, sono i semplici mezzi attraverso cui Paravidino e Iris Fusetti raffigurano i personaggi che, a vario titolo, entrano nella storia e nel diario della protagonista, Maria Pia, interpretata da una bravissima Monica Samassa. Quella di Maria Pia è la storia di un male, di quel male che oggi affligge un italiano su tre e che fino a cinquant'anni fa non si sapeva quasi cosa fosse. Racconto e diario iniziano quando il tumore è a uno stadio ormai avanzato, irrecuperabile. Non si assiste alla lotta contro la malattia, non si insegue la chimera di una guarigione, ma, con un senso di spossatezza simile a quella "fatigue" che il tumore porta alla protagonista, lo spettatore accetta tacitamente lo status quo, che è la morte imminente di Maria Pia e lo stallo dello spettacolo.
Si potrebbe dire che il testo drammaturgico sia stato scritto a più mani. Il fulcro è costituito dalle parole che Maria Pia, madre dell'autore che vinse l'Ubu nel 2001, dettò al figlio nei giorni di ospedalizzazione che precedettero la sua morte. Queste parole si confondono a quelle di Cesare, suo fratello, che pure nel corso della vita scrisse un diario fitto di riflessioni. La figura di Cesare compare tratteggiata con tono farsesco – il tono riservato a tutti i personaggi secondari dello spettacolo. Ed ecco il problema di fondo: non c'è pietas nello sguardo di Paravidino. L'autore riserva a se stesso il ruolo di eroe: è lui a stare vicino alla madre, lui a tenere alto il morale della famiglia, lui a sopportare le manie dello zio e le puerilità della sorella. Un ruolo da eroe, ma cinico e ambiguo: al capezzale di una madre morente, troviamo il personaggio di un drammaturgo che ne raccoglie gli ultimi pensieri che diventeranno poi, senza quasi rielaborazione alcuna, uno spettacolo teatrale. I personaggi minori invece – appunto la sorella, lo zio, pazienti e dottoresse... – Paravidino li riduce a caricature: vorrebbe forse tratteggiare delle persone incapaci di reggere l'urto del dolore, ma ne escono personaggi incapaci di reggere l'urto del gioco drammatico.
Paravidino si sforza di unire leggerezza a tragedia, mira al tragicomico. Ma se "tragicomico" è un composto coordinato il cui significato è dato dalla somma dei significati che lo compongono, non è detto che anche il suo senso si determini allo stesso modo. Non è detto cioè che un tema tragico recitato con toni comici o farseschi produca automaticamente uno spettacolo tragicomico.
Nei sui lavori precedenti – Natura morta in un fosso in primis –, Paravidino aveva dato mostra non solo di talento, ma anche di grande padronanza drammaturgica: qui invece l'azione scenica propriamente detta latita. Con tratti a volte persino morbosi, Paravidino mima l'agonia della madre senza inserire alcuno scarto poetico: Il diario di Maria Pia manca di tensione drammatica. Non solo non c'è conflitto fra i personaggi, non c'è neppure un conflitto interno ai personaggi. Non accade nulla e non c'è l'impressione che qualcosa almeno "possa" accadere. Potrebbe essere una scelta in stile beckettiano, si potrebbe dire che la morte non lascia scampo e quindi un conflitto è impossibile. Vero. Ma queste sono nozioni note a tutti; se una persona su tre si ammala di tumore, quella della malattia è un'esperienza comune, non serve ribadirla. Altrimenti, si rischia di scadere in meccanismi paratelevisivi, nel ricattatorio assunto: è successo davvero, lei è morta davvero, come puoi non commuoverti? Ma l'immedesimazione, e dunque la commozione dello spettatore, non seguono percorsi analoghi in teatro e in televisione. La televisione ha bisogno di creare un'identità tra la persona e il personaggio. È il motivo per cui, anche in trasmissioni notoriamente di fiction, la finzione non è mai apertamente dichiarata. In televisione le "persone" sono lontane, uno schermo e svariati chilometri le separano dagli spettatori. E questi, spesso, più che guardare, ascoltano o guardano distrattamente. Come empatizzare con qualcuno a chilometri di distanza, guardandolo distrattamente, se questo qualcuno per di più finge? Ma in teatro le persone sono in carne e ossa, a pochi passi da un pubblico pagante, attento, motivato, che può sentire il respiro di quelle persone, guardarle mentre non sono "inquadrate" dal turno di parola, cercando di rubare un momento di intima verità. Ma di verità, appunto, quella che si trova tra l'attore e il personaggio. Una verità che è diversa dalla realtà riferita senza filtro.
Il diario di Maria Pia ha riscosso anche molti consensi e Paravidino è senz'altro uno degli autori più interessanti del panorama italiano contemporaneo, ma oggi, nell'era di facebook, dei selfie, del "racconto di sé" compulsivo, interrogarsi sui processi creativi dell'arte non è forse necessario?

Bruna Monaco

Ultima modifica il Martedì, 20 Gennaio 2015 11:51

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