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FAUSTAS - regia Eimuntas Nekrosius

Faustas Faustas Regia Eimuntas Nekrosius

di Johann Wolfgang Von Goethe
regia: Eimuntas Nekrosius
scene: Marius Nekrosius, costumi: Nadezda Gultiajeva, musiche: Faustas Latenas, luci: Dziugas Vakrinas, suono: Arvydas Duksta
con Vladas Bagdonas, Salvijus Trepulis, Elzbieta Laténaité, Povilas Budrys, Vaidas Vilius, Margarita Ziemelytè, Kestutitis Jackstas, Gabriella Kuodytè, Viktoija Streica, Diana Gancevskaite, Vieceslav Lukjanov, Vladimiras Dorondovas,
produzione Meno Fortas vilnius con Emilia Romagna Teatro Fondazione, Theatre de la Place Liège, Ministero della cultura lituano, al Teatro Comunale, Vie Scena Contemporanea festival, prima nazionale.
Napoli, Teatro Mercadante, 14 e 15 marzo 2008

Il Mattino, 16 marzo 2008
Il Giornale, 9 giugno 2007
www.Sipario.it, 2007
Con Nekrosius tutto il «Faust» in un'immagine

Assistendo a uno spettacolo di Eimuntas Nekrosius, lo spettatore deve compiere un tragitto mentale inverso rispetto a quello che compie di solito: non deve, cioè, andare dal testo scritto verso quanto si sente (e soprattutto si vede) sul palcoscenico, ma, per l'appunto, partire dalla messinscena per arrivare (o tornare) alle pagine stampate. E ne ha fornito l'ennesima ed esaustiva dimostrazione il «Faust» presentato al Mercadante. In breve, il maestro lituano ha confermato la sua straordinaria capacità di esprimersi con le immagini, e più esattamente di racchiudere in un'immagine un intero discorso. Vedi già l'attacco, addirittura fulminante: mentre Dio, addobbato con una palandrana bianca, s'affatica a far girare una macina, Mefistofele trasforma la propria caccia alle anime in un prosaico tiro al piattello. Così Nekrosius mette subito in chiaro una precisa e decisa presa di distanza dalla marmorea letterarietà del testo (Carmelo Bene chiamava Goethe «l'assessore al classico»...) e, specialmente, dai miti e dalle mitizzazioni allo stesso connessi. La cosa ancor più straordinaria, però, è che tale presa di distanza coincide con un'assoluta fedeltà sul piano filologico. In proposito basta un solo esempio. Al primo incontro con Faust il diavolo si esibisce in un gioco d'illusionismo, facendo sprizzare una fiammella dal taschino della giacca. Ed ecco il punto: il nome del Cane Nero (quello di cui Mefistofele assume le sembianze quando compare a Faust e a Wagner) nei vecchi «Faustbücher» suonava «Praestigiar», che vale giusto prestidigitatore. Inutile, si capisce, sottolineare l'ironia che comunque innerva la citazione colta. La demitizzazione, poi, continua a crescere su se stessa fino ad esiti rabelaisiani: giacché il Cane Nero si riduce, in pratica, a un gigantesco osso che cala sul palcoscenico appeso a due funi. E la vanità dell'inesausto studio di Faust, si poteva renderla meglio che con il girare vorticoso e capriccioso, al soffio di ventagli, delle pagine di quei libri ammucchiati al centro della scena? Potenza delle immagini, ripeto. E ripeto pure che quella potenza scava nel più profondo del testo: come quando l'agitazione interiore di Faust dopo il patto con Mefistofele viene resa per mezzo di corde tese attraverso il palcoscenico, il cui saltellìo riproduce esattamente l'alternarsi delle sistoli e delle diastoli sul monitor dell'elettrocardiografo; o come quando l'inizio del viaggio di Mefistofele col titubante Faust viene assimilato all'avvio di una corsa su una pista di atletica, con il diavolo in veste di starter a segnalare le ripetute false partenze del suo «pupillo». Insomma, questo spettacolo, sontuoso e lineare insieme, si pone come uno sfolgorante melodramma popolaresco che fonde l'epica individuata nel «Faust» da Lukács con i suoi stilemi da Sacra Rappresentazione e da Mistero medievale. Mentre l'accavallarsi e il confondersi finale delle battute di Mefistofele e di Dio a proposito di Margherita, «È condannata» ed «È salva», testimoniano di una chiave di lettura complessiva riferita alla vita in tutta la sua contraddittoria ma (proprio per questo) esaltante pienezza di miseria ed eroismo. Formidabili, infine, gli attori della Meno Fortas, la storica compagnia di Nekrosius. Da citare almeno Vladas Bagdonas (Faust), Salvijus Trepulis (Mefistofele) ed Elzbieta Latenaité (Margherita). E un'autentica ovazione ha salutato il termine della «prima». C'erano persino dei ragazzi spagnoli venuti apposta da Barcellona. Avevano speso cinquecento euro a testa.

Enrico Fiore

Nel Faust di Nekrosius Dio è ridotto a schiavo

A differenza del mirabile abbozzo strehleriano dove, per espressa volontà del grande regista, il tragico dottore delle saghe popolari germaniche assumeva il volto del demiurgo di via Rovello immerso in un'appassionata identificazione con l'archetipo di Goethe, il Faust di Eimuntas Nekrosius inverte clamorosamente la rotta. Deciso a sormontare indenne la splendida intercapedine del verso, l'artista di Vilnius precipita lo spazio del dissidio tra l'uomo e i suoi demoni sul piancito di un palco che somiglia alla tolda di una nave. Tramutando la scena, grazie alla luce impietosa che piove dall'alto, nella cresta frastagliata di una Terra. Che non ha più a che fare col nostro abituale universo di segni. Non esiste infatti paesaggio urbano né tantomeno geografico per Nekrosius che opera, sotto i nostri occhi, al di là del mondo conosciuto. Così lo studio del Doctor Magnificus non è più l'osservatorio astronomico disegnato, per l'Urfaust di Castri, da Balò in quel lontano excursus metateatrale.

E nemmeno ha qualcosa a che fare coi lignei supporti da teatro di marionette immaginati da Francia per l'edizione di Scaparro. Rigettata con rabbia iconoclasta la tentazione di ambientare il sogno di Faust in una stanza aperta sull'infinito di una notte stellata, Nekrosius respinge con furore persino la romantica seduzione di precipitare in un antro pauroso l'angoscia metafisica del veggente. La scena che propone diviene invece un rettangolo al cui centro si rizza una macina. Vi è incatenato Dio Padre che, al pari di Sisifo, è condannato ad azionare per sempre l'infernale meccanismo della nascita e della morte dell'uomo.

Ma se Dio è ridotto a schiavo dello stesso implacabile fato che non potrà mai interrompere, non appare diverso neppure il destino di chi gli si contrappone. Poiché l'Angelo Caduto del mito delle origini, miracolosamente risorto dall'abisso in cui è stato precipitato, ora lo osserva con sardonica sufficienza dando libero corso a un duello ravvicinato che, fin dall'origine, si propone come una scommessa virtuale che non avrà vincitori né vinti. A cominciare dall'inutile sparatoria ingaggiata dal nuovo Mefistofele contro bersagli immaginari volutamente lasciati cadere nel vuoto come indecifrabili segni dallo straordinario imbonitore che firma la regia di questo non stop di quattro ore filate. Dove persino Faust appare allo stato di abbozzo o, nella migliore ipotesi, come un addendo del magmatico affresco che lo contiene. Dominato da cima a fondo da inconsulti brandelli dell' inconscio. Come accadeva, sia pure in diverso ambito espressivo, al più suggestivo dei Faust degli ultimi anni. Ovvero alla riscrittura di Gertrude Stein Doctor Faustus lights the light magnificamente allestito da Bob Wilson.

Enrico Groppali

Chi si aspettasse di ritrovare il Faust di Goethe nel Faustas di Nekrosius rimarrebbe deluso... Il regista lituano mette in scena il mito di Faust, in cui ogni paternità autorale sia questa quella di Goethe o quella di Bulgakov appare pretestuosa, accessoria ad una figura fondante la modernità occidentale e che Nekrosius finisce col leggere in chiave cechoviana. I resti goethiani sono più che altro suggestioni e come spesso accade in Nekrosius si assiste a dilatazioni di particolari e a sintesi simboliche di intere parti del racconto, sintesi al limite dell'imperscrutabilità, sintesi che non tengono conto se non accidentalmente dell'origine testuale. Così il faustas suddiviso in tre parti è un viaggio nel mito di quel vecchio sapiente che nella sua ricerca di sapere e di 'potere della conoscenza' altro non è che uno studente incanutito, un vecchio che cerca di allontanare da sé la morte. In questa chiave Faust diviene quinta essenza della cultura dell'Occidente, afflitta dal senso di un tramonto immanente che non s'acquieta nell'accrescimento di sapere. Eimuntas Nekrosius dà fondo alla sua inventiva simbolica, procede per accumulo e soprattutto nelle terza parte dà l'impressione di girare a vuoto e, se non si avesse un grande rispetto del genio di Nekrosius, si sarebbe tentati di pensare ad un certo autocompiacimento narcisistico. Nekrosius procede come suo solito con una dilatazione preparatoria dell'azione e così la prima parte dello spettacolo se ne va fra il Prologo in cielo e il dialogo di Faust col suo allievo. Le due scene sono speculari. Da un lato c'è Dio intento a trascinare una trave come un animale da soma e nella fatica di 'governare il mondo' si confronta col suo doppio e opposto: il diavolo. I due si sfidano, in palio c'è il potere, e l'oggetto della loro sfida è proprio Faust. Dall'altro lato c'è Faust in dialogo col suo allievo. Nell'esprimere la propria ansia di sapere dialoga in realtà con se stesso, dialoga con il giovane studente che non è più. In quel dialogare, le parole di Goethe risuonano come illuminazione e nel chiedersi se in principio c'era il verbo, oppure il pensiero, o ancora la forza, la soluzione di Faust è che in principio c'era l'azione. Agire per non morire ed è quello che fa Faust, agisce per sconfiggere il tempo che passa. La seconda parte del Faustas è tutta dedicata all'incontro con Mefistofele, un Mefistofele beffardo, bulkakoviano, ma soprattutto ancora una volta il doppio di Faust. Entrambi sono vestiti nel medesimo modo, una giacca nera con le code del frac, il loro è un dialogo allo specchio. E se la manifestazione di Mefistofele è quella di un cane randagio, quasi ironicamente sull'azione è sospeso un enorme osso, come quello dei cartoon, osso che alla fine finisce col farsi simbolo di un'animalità insopprimibile, tanto che nella terza parte farà da desco ad una sorta di cena da sabba. Alla fine della seconda parte dello spettacolo col patto di faust col diavolo si ha l'impressione che Nekrosius sia riuscito a dare del mito faustiano una lettura tanto lineare quanto chiara. Quel gioco sul doppio, quella sua chiara volontà di potenza e di sapere è segno della debolezza, dell'ansia di sconfiggere il tempo che passa e quindi l'avvicinarsi della morte. Dalla terza parte ci sia spetterebbe il trionfo e non solo nelle fantasmagorie che Mefistofele regala al suo adepto, invece Nekrosius sembra avvilupparsi, non riuscire a liberarsi dell'incontro di Faust con Gretchen, un incontro che finisce col distruggere quell'oggetto d'amore che è in realtà la soluzione al non senso esistenziale di cui soffre Faust, in cerca di un'univoca e rassicurante interpretazione del mondo. Nekrosius accumula simboli, riempie la scena, laddove prima era una scatola nera: le capanne vulcani del villaggio di Gretchen, la presenza inquietante di quei pipistrelli o corvi che volano sull'inverno di Faust, l'incombere di quell'osso bianco, simbolo ancestrale di una natura beluina non ancora sconfitta sono elementi che si rincorrono e si ripetono in un accumulo di immagini che rapisce lo sguardo dello spettatore, ma al tempo stesso appare faticoso, non ha la chiarezza a cui ci ha abituato Eimuntas Nekroisus nelle prima due parti del suo faustas. E' come se l'incontro con la bellezza e l'amore avesse fagocitato tutto, e lo stupore di Faust davanti alla bellezza di Gretchen – Margherita – Elena avesse abbagliato lo stesso regista, gli avesse fatto perdere il filo del racconto. Fasutas rimane così prigioniero delle immagini simboliche del regista lituano e in più punti si ha l'impressione di un non - sviluppo, di una stasi narrativa che non fa accadere nulla in scena se non l'incontrarsi e il lasciarsi di Faust e Gretchen, un conflitto amoroso che non ha soluzione e si ripete con un certo leziosisimo o compiacimento. E' come se nell'ultima parte del Faustas Eimuntas Nekrosius avesse accumulato materiali su materiali, immagini su immagini e il tempo lo avesse sorpreso ancora lontano dal poter dire: «Aattimo sei bello, fermati!».

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Venerdì, 30 Agosto 2013 11:01

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