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IOEIO - regia Cesare Lievi

Ioeio Ioeio Regia Cesare Lievi

di Else Lasker-Schüler
traduzione, adattamento e regia: Cesare Lievi
scene: Bruno Buonincontri
costumi: Marina Luxardo
Saggio di diploma del III anno di recitazione Accademia Silvio d'Amico
Roma, Teatro Quirino, 4 e 5 giugno 2008

Corriere della Sera, 15 giugno 2008
Fuochi (d' artificio) all' inferno

A differenza degli anni Settanta, quando dalla narrativa, e non già dalla drammaturgia, si attingeva per rinnovare l' immagine teatrale, oggi si torna a quella sterminata fonte in modo più tradizionale. Trenta e più anni fa i romanzi venivano tradotti per la scena in forma sintetica, per immagini, oggi in forma analitica, con dialoghi. Penso che la ragione profonda di questo movimento, tutt' altro che innovativo, sia di bilanciare la davvero asfissiante staticità, anzi l' inerzia, delle scelte di registi e direttori. Ioeio, scritto così, senza spazi bianchi, ma che va naturalmente letto «io e io» e che traduce l' originale tedesco «Ichundich», è un dramma di Else Lasker-Schüler, scritto a Gerusalemme nel 1941 e pubblicato postumo nel 1970. Else Lasker-Schüler, ignota al pubblico italiano dei teatri, con Nelly Sachs e con Ingeborg Bachmann è una delle grandi poetesse tedesche del ventesimo secolo. Era nata nel 1869, nel Wuppertal (un' altra sua commedia s' intitola, intraducibilmente, Die Wupper), ma aveva vissuto la maggior parte della sua vita a Berlino, nei caffè letterari degli anni Dieci e Venti. Amica di tutti i poeti e i pittori dell' epoca, fu ascritta, a torto o a ragione, al movimento espressionista. Invero, la poesia di Lasker-Schüler trae la sua originalità da un' altra fonte - la sua stessa immaginazione, spiccatamente rivolta a Oriente. Per primo la presentò in Italia Giuliano Baioni: «Lo stesso Oriente che costituisce il quasi esclusivo spazio della sua fantasia, non era soltanto la terra della sua nostalgia di ebrea, ma anche la fiabesca trasfigurazione della sua casa ebrea e il suo ebraismo era affettivo, inconscio e fantastico». Poverissima, nel 1939 andò per la terza volta in Palestina e, per lo scoppio della guerra, vi rimase fino all' anno della morte, il 1945. Ebbene, uno dei grandi meriti storici (non è certo la prima volta) di Cesare Lievi è di proporre testi del tutto inediti d' origine non romanzesca, come Ioeio. In questo caso, ciò gli è consentito dal fatto che il suo spettacolo è un saggio di fine corso dell' Accademia Silvio D' Amico: una tale quantità di attori, più di venti, non gli sarebbe possibile in alcun teatro. Ho appena detto che Ioeio è un saggio. In realtà è molto di più. È uno spettacolo imponente. A partire dalla bellissima scena di Bruno Buonincontri: una cornice-quinta separa la scena in due spazi, quello della realtà e quello fantastico. L' enorme cornice è affrescata da foto di gerarchi nazisti e di poeti loro antagonisti, da cartelloni pubblicitari degli anni Trenta, da riproduzioni di quadri o disegni. Nella realtà la Poetessa (la stessa autrice) e il Regista Max Reinhardt si confrontano: come allestire il loro spettacolo? Lo spazio fantastico è nientemeno che l' inferno. Scritto sullo scoglio di Goethe (l' espressione, che cito a memoria, è della Lasker-Schüler), il dramma ricongiunge, nella loro trascendente idealità, Mefistofele e Faust. I due, come il Regista e la Poetessa, dapprima disputano - quando Göring, Goebbels, Hess e Himmler si affacciano dalle loro parti alla disperata ricerca di petrolio. Alla fine ritrovano se stessi, capiscono d' essere una stessa persona, e si alleano per farla finita con quegli usurpatori. Li sprofonderanno nelle eterne fiamme. Il tono del dramma è in prevalenza sarcastico. Tutto ritmico, esso vola via, beffardo, scherzevole, come un cabaret. Per i giovani attori è una festa. Per il regista è l' allestimento di un ininterrotto fuoco d' artificio... diabolico, scoppiettante, irridente.

Franco Cordelli

Ultima modifica il Domenica, 11 Agosto 2013 09:30

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