di Oscar Wilde
con Geppy Gleijeses, Marianella Bargilli
con la partecipazione di Lucia Poli
traduzione Masolino D'Amico
e con (in ordine alfabetico) Valeria Contadino, Luciano D'Amico, Giordana Morandini, Orazio Stracuzzi, Renata Zamengo
regia Geppy Gleijeses
produzione Teatro Stabile di Calabria
Teatro Quirino Vittorio Gassman
Roma, Teatro Quirino 25 febbraio al 16 marzo 2014
Geniaccio e perfidia di Oscar Wilde, il quale (nella celebre commedia) mette in bocca ad un suo personaggio la battuta-chiave "Basta chiamarsi Ernesto per essere onesto?". Avvertenza: non è (solo) un gioco di parole e di pregiudizi vittoriani, posti peraltro (sopraffinamente) alla berlina, e in perfetto dosaggio fra ironia e sarcasmo. Poiché l'assioma, sempre in voga tra gli eruditi-salottieri del 'nomen omen', poco o nulla vale se paragonato, anzi soppiantato, dalla 'sonorità' della pronuncia 'sia di Ernesto che di Onesto' (in lingua inglese, ovviamente). Di qui tutta la fluviale, briosa (apparentemente frivola, sostanzialmente amara) satira dei vezzi e costumi vittoriani in voga nella seconda metà dell'800 fra damerini ed aristocratici: vacui e nullafacenti, deliziati da vita molliccia, battute di caccia e ottundenti fumatine al narghilè – innaffiate di pettegolezzi idioti, svenevoli aspirazioni (per fanciulle da maritare) e corteggiamenti cicisbei (per giovincelli col fiuto del buon-partito).
Al dunque. Nell'Inghilterra del bel tempo andato (davvero?), Algernon Moncrieff ed Ernest Worthing sono due amici di vecchia data. Il primo abita in città ed il secondo in campagna, ed entrambi vivono una ìvita segreta': Algernon finge di avere un vecchio amico malato di nome Bunbury in campagna, mentre l'altro, il cui vero nome è Jack, finge di avere un fratello scapestrato 'battezzato' Ernest (nome con cui si presenta al bel mondo cittadino). Tale espediente permette loro di assentarsi dalle rispettive case e famiglie quando e come meglio credono. E, di seguito, presentarsi in tempi diversi (sempre con il falso nome che 'dirama' onestà) a due ragazze di immacolata virtù, rispettivamente figlioccia dell'uno e cugina dell'altro.
Le fanciulle, farlocche ma furbe, credono così di amare lo stesso uomo,dando luogo ad uno dei più intrigati tourbillon della storia del teatro (superficialmente 'leggero'), farcita di equivoci plautini, scambi di persona (cui attinsero Feydeau e quasi tutto il 'boulevardier' di fine secolo), agnizioni conclusive- e compulsive- che rimettono in sesto ciò che in sesto mai più sarà (fine di un'epoca, e tutti alla malora).
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Doviziosità delle forme e uso pirotecnico del dialogo (vera e propria ipocrisia contundente), abile montaggio delle scene che si susseguono con flemmatica frenesia potrebbero, già da sole, inserire "L'importanza di chiamarsi Ernesto" tra i più esemplari meccanismi ad 'orologeria drammaturgica' del teatro satirico- moderno. Se non fosse che le tribolazioni, le umane sventure di Oscar Wilde successive a quella che( purtroppo) rimane la sua ultima opera rappresentata (in perfetta triade con "Il marito ideale" ed "Il ventaglio di Lady Windermere") non finiscano per dare alle sofisticate divagazioni di Ernesto ed Onesto lo strale invisibile dell'anatema formale ed intellettuale.
Tipico dell'uomo che aveva osato 'ostentar sodomia' in un mondo dove in tanti la prediligevano (all'aspro confronto con la donna\madre\moglie), e in cui mai e nessuno si sarebbe azzardato di fare outing. Va però precisato che Wilde, da vero dandy e flaneur, pur denigrando il modus vivendi da lui descritto (e di cui conosceva a menadito privilegi e infamità), non se ne sentiva né estraneo né in via d'abbandono. Sicchè l'ostracismo, l'imputazione di sodomia (per amore di Alfred Douglas), la fine del matrimonio (con una donna che a suo modo amava), la perdita dei figli e della dignità nell'angustia d'un carcere (causa della sua morte precoce) 'esaltano' di eroismo (e profezie testamentarie) un testo mirabilissimo comunque ancorato alle sole attrattive del virtuosismo aforistico e della collaudata conoscenza della (inaffidabile) natura umana.
Stiracchiata, di converso, nell' adattamento di Geppy Gleijeses e Masolino D'Amico -di scena al Teatro Quirino di Roma- è la 'devozionale' dedica dello spettacolo all' iconografia d'un San Sebastiano Martire, campeggiante in grande ovale (a riproduzione del famoso quadro del Reni) sin dall'apertura di sipario, in nel buio del fondo scena. Come fosse patrono d'ogni diversità misconosciuta.
Così come sembra elementare far recitare 'en travesti' (alla comunque brava e seducente Marinella Bargilli) il ruolo di un Algeron cinico ed efebico, giusto a sottolineare chissà quali ambiguità del sottotesto (e dell'ispirazione non-dichiarata) di Wilde. Mentre tutti gli altri interpreti (dalla inenarrabile Lucia Poli alla sapida Renata Zamengo, da Valeria Contadino a Giordana Morandini, sino allo stesso Gleijeses che interpreta il 'distratto' Jack) si attengono alla cifra evocativa, dilatata, sostanzialmente distaccata ed 'in vitro' che forse è il maggior pregio di uno spettacolo peraltro divulgativo, godibilissimo e di sobria struttura espositiva.
Nella quale sembra di ravvedere (ed è un complimento) quel che Cechov raccomandava ai suoi attori "Recitatemi senza melanconia, ma con la leggerezza di un vaudeville". Qui –parimenti- è come Wilde pregasse i suoi nuovi esegeti di non abbandonarsi né al sarcasmo esclamativo, cubitale né al ricamato birignao di tante compagnie oltrepassate. Raccomandazione che dà buoni frutti: "L'importanza di chiamarsi Ernesto" è oggi recitata come fosse una superflua, usuale commedia di (sterile) conversazione. Ed invece, a suo modo, è una 'tragedia' camuffata da bon-ton.
Angelo Pizzuto
"THE importance of being Earnest" debuttò trionfando il 14 febbraio 1885 al St.James's Theatre, ma venne replicato solo per sei volte a causa dello scandalo in cui Wilde si trovò per aver querelato per diffamazione Lord Queensberry, che lo aveva pubblicamente tacciato di sodomia. Wilde, abile polemico e provocatore dei suoi tempi, era teatralmente molto efficace grazie all'ironia ed alla modernità dei dialoghi.
I suoi personaggi sono pungenti e geniali come quello di Algernon interpretato con grazia da Mariella Bargilli; ed il simpatico Alfred Douglas impersonato dallo stesso regista Geppy Gleiyeses, che ricostruisce con costumi e scene dell'epoca un teatro dallo stile salottiero apparentemente frivolo e leggero, ma inaspettatamente spietato. Lady Bracknell ricorda la Regina Vittoria, incarnata dalla splendida leonessa del palcoscenico: Lucia Poli.
Tutto si svolge con l'arrivo di Jack Worthing, che è in lutto per la morte dell'immaginario fratello Ernest che successivamente stupirà tutti riapparendo al mondo. Grande stupore desterà la rivelazione di essere "Ernesto" e dell'importanza di quel nome che cela una storia di abbandono e ritrovo.
Il salotto di casa Algernon vive di incontri e scontri ed, appeso al centro della stanza, domina un grande quadro "Il Martirio di San Sebastiano" (trafitto dai dardi del destino) di Guido Reni, anticipando il destino che trafisse Wilde prima con il carcere poi con il disonore (forse per essersi innamorato pazzamente di un uomo come Alfred.
A volte lo spettacolo risente di qualche lentezza e staticità d'idee, ma nell'insieme rimane piacevole.
Buona interpretazione degli altri attori: Orazio Stracuzzi, nel doppio ruolo di Lane e Merriman; Valeria Contadino nella parte di Gwendolen; Renata Zamengo nelle vesti di Miss Prism; Giordana Morandini nel personaggio di Cecily mentre Luciano D'Amico è Chasuble.
Celina Vanni