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MIRACOLO - regia Giuseppe Massa

"Miracolo", scritto e diretto da Giuseppe Massa "Miracolo", scritto e diretto da Giuseppe Massa

scritto e diretto da Giuseppe Massa
Interpreti: Gabriele Ciriello, Paolo Di Piazza, Glory Arekekhuegbe
Scene e costumi: Mela Dell'Erba
Luci: Michele Ambrose
Suono: Giuseppe Rizzo
Aiuto drammaturgia: Giuseppe Tarantino
Assistente alla regia: Marco Leone
Produzione: Sutta Scupa di Palermo
al Clan Off Teatro 10 e 11 novembre 2018

www.Sipario.it, 12 novembre 2018

Una donna di colore, Glory Arekekhueghe, con il grembo avvolto da una plastica lattescente dopo aver lanciato uno spaventoso grido partorisce una bara di legno e due uomini. In sintonia quasi con Quasimodo e Beckett che dicevano che nasciamo a cavallo d'una tomba, il giorno splende un istante, ed è subito notte. I due uomini sono fratelli: il più magro si chiama Bernardo (Gabriele Cicirello) il più in carne Antonio (Paolo Di Piazza) e hanno come mission quella di seppellire un uomo di colore per disposizione del sindaco del loro paese, scoprendo purtroppo che il cimitero è al completo e non c'è un loculo che possa accoglierlo. I due si esprimono in uno stretto dialetto palermitano, a volte incomprensibile a chi scrive, e per poco più di un'ora i loro dialoghi vertono quasi sempre su come riuscire a liberarsi di quel fardello che si trascinano faticosamente sulle spalle, girando tutt'intorno allo spazio del Clan Off Teatro di Messina. Il testo tuttavia, denominato Miracolo, respira indubbie aure beckettiane, è scritto e diretto da Giuseppe Massa con un piglio felice, è un gioiellino di drammaturgia e i due protagonisti sono davvero molto bravi e molto espressivi. Le soluzioni le trova sempre Bernardo, sistematicamente bocciate da Antonio. Non possono portare la bara nel paese confinante, pur avendo dei posti liberi, perché il cadavere deve essere tumulato nel luogo dove è morto. Né Antonio può offrirgli uno dei suoi due posti della cappella perché uno spetta al fratello e l'altro a lui stesso. Né quel corpo può essere buttato in mare perché è possibile che quegli stessi pesci mangiati potrebbero contenere parti di quel cadavere. Non può essere dato alle fiamme perché i pompieri spegnendo quel fagotto potrebbero rinvenire un individuo non del tutto carbonizzato e le colpe ricadrebbero su loro due. E non può essere gettato giù da una montagna limitrofa perché il corpo sfracellato sarebbe raccolto e trasportato dai paesani vicini dentro un lenzuolo, informando per giunta il proprio sindaco del cattivo lavoro svolto dai due. I quali ad un tratto si riposano sfilettando un'aringa affumicata e bevendo qualcosa, Antonio continuando a fumare da una sigaretta elettronica, Bernardo deponendo il coperchio longitudinalmente alla bara che resta in piedi, certamente pigliando fiato e nello stesso tempo pensare di ridurre a pezzi quel cadavere con un seracco e in mancanza con una sega elettrica e mettere i pezzi dentro sacchi della spazzatura oppure all'interno d'un grosso melone svuotato. Svaniti e vanificati tutti i modi per liberarsi della bara, i due pensano addirittura, concentrandosi e pregando, di resuscitare il morto, affermando più volte d'averlo visto muovere come per miracolo. Sono esausti i due, divagando su viaggi sulla Luna o su Marte, addormentandosi ad un tratto lì per terra, mentre il personaggio di colore dell'inizio imbiancherà i loro visi facendoli passare a nuova vita accanto alla bara. Un lavoro che accomuna elementi poetici con atmosfere assurde, pure comiche a tratti, densi d'una filosofia per niente banale, in particolare quando alla domanda di Bernardo cosa si diventa dopo morti, Antonio risponde che le ossa dopo molti anni diventano polvere, poi terra, quindi creta argilla e fango e infine ceramica, come dire un gabinetto su cui una vecchia signora poserà le proprie terga.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Lunedì, 12 Novembre 2018 23:52

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