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MARIA STUART - regia Andrea De Rosa

Maria Stuart Maria Stuart Regia Andrea De Rosa

di Friedrich Schiller
traduzione Nanni Balestrini
regia Andrea De Rosa
con Anna Bonaiuto e Frédérique Loliée
Napoli, Teatro Mercadante, dal 17 ottobre al 4 novembre 2007
Teatro Ponchielli, Cremona, aprile 2008

www.Sipario.it, 10 maggio 2008
Il Messaggero, 12 gennaio 2008
Corriere della Sera, 2 dicembre 2007
Corriere della Sera, 16 novembre 2007
Il Mattino, 14 ottobre 2007
Teatro Ponchielli, Cremona, aprile 2008

Nel dire di Maria Stuart di Schiller per la regia di Andrea De Rosa, bisogna far riferimento alla cifra estetica del regista che si conferma un abile ‘costruttore’ di situazioni teatrali che sollecitano e appagano l’occhio. Andrea De Rosa ha come pallino il ‘coinvolgimento’ sensoriale del pubblico, l’ha fatto nell’Elettra di Hofmannsthal affidandosi al suono di Hubert Westkemper di cui utilizza la maestria anche in questo caso; l’ha fatto recentemente in Molly Sweeney con Umberto Orsini e Valentina Sperlì chiedendo al pubblico di assistere a metà dello spettacolo al buio più pesto. In Maria Stuart Andrea De Rosa s’inventa uno spazio scenico ‘elisabettiano’ che sconfina nella platea. Il regista — grazie alle scene di Sergio Tramonti e alle luci di Pasquale Mari — costruisce due luoghi che bloccano in una distanza solitaria le due protagoniste: Maria Stuarda (Féderique Loliée) confinata su una pedana montata in platea, la prigione in cui l’ha rinchiusa la sorellastra Elisabetta I (Anna Bonaiuto) che solitaria ha il suo trono e la sua corte sul palco. Gli altri personaggi siedono in platea su poltroncine da teatro, spettatori interni alla vicenda solipsistica delle due donne, soffocate dal potere e dai loro amori impossibili. Il pubblico condivide questo assistere dall’interno la storia delle due regine che Andrea De Rosa asciuga e solo apparentemente restituisce ad un contesto storico, affidato ai costumi eleganti e luccicanti di Ursula Patzak. A questa vicinanza degli attori fa da contraltare una sorta di geometrica dimostrazione dell’aridità del potere, della solitudine del regnare. In un’ora e cinquanta di spettacolo le due regine si scambiano di ruolo, si scambiano gli spazi e alla fine l’uscita verso l’eternità di Maria Stuarda — condannata a morte da Elisabetta — è giocata nel lento procedere sul fondo della scena, mentre la condanna a regnare di Elisabetta si compie sulla pedana dove prima era la prigione di Maria. Le lancette dell’orologio del potere che non conosce né giustizia, né diritto, né etica scandiscono i movimenti delle due regine come su un carillon della solitudine. Elisabetta che si è liberata di Maria Stuarda si ritrova alla fine prigioniera del suo ruolo di potente. In questo cerebrale disegno registico gli attori sono tasselli — dall’intensità discontinua — che sostengono una storia asciugata all’osso, animata da belle parole che faticano a incarnarsi nel pur generoso offrirsi della compagnia. Anna Bonaiuto è una regina Elisabetta combattuta fin dall’inizio fra cuore e ragion di Stato, sofferente nel gestire le sue frustrazioni di ‘bastarda’, Fédérique Loliée col suo accento francese è una Maria Stuarda apparentemente vittima, ma che non nasconde la rabbia cocente di una sovranità mancata. Gli altri attori: Alessandra Asuni, Flavio Bonacci, Massimo Brizi, Andrea Calbucci, Fortunato Cerlino, Nunzia Schiano e Antonio Zavatteri giocano un ruolo di comprimari in un susseguirsi di intrighi e delitti che passa in secondo piano rispetto alla centralità delle due figure e al pensiero sul potere che Andrea De Rosa vuol far passare. C’è poi il gesto sporco del calarsi i pantaloni di Mortimer che è come i baffi sulla Gioconda di Duchamp, una sorta di sfregio che inquieta e dà una carnalità inattesa ad una rappresentazione teatrale che vuole essere algida e a tratti respingente rischiando di essere solo un bell’esempio di gioco intellettuale.

Nicola Arrigoni

"Mary Stuart" con la Bonaiuto

Quant'è bella nelle sue torve luminosità e quanta emozione comprime e libera la Maria Stuart che alle Fonderie teatrali Limone di Moncalieri ha aperto la stagione dello Stabile di Torino. E che meraviglia lo scontro senza rimbalzi di due regine della scena, Anna Bonaiuto e Frédérique Lolite, che riflettono nel dramma di Schiller la rivalità implacabile fra due sovrane del XVI secolo: Elisabetta I di Inghilterra e la cugina cattolica Maria Stuarda, da lei accolta dopo una fuga dalla Scozia e poi mandata a morte. Una non più giovane, avvolta da un gelo implacabile, mortificata dalla ragion di stato nella femminilità; l'altra nel fiore degli anni, traboccante di calore emotivo e sensualità. Venata di struggente dolcezza è l'interpretazione espansiva della francese che, raggomitolata nello sconforto o raggiante di speranza, tesa in una difesa appassionata della propria innocenza o chiusa in un silenzio smarrito, si muove con grazia indicibile e sovrana eleganza nel fruscio di sete grigie e austere. La Bonaiuto al contrario lascia trapelare con minacciosa efficacia pochi, ferocissimi bagliori. La regia di Andrea De Rosa si concentra con stile e misura sulle protagoniste, allentando forse un poco l'attenzione sui personaggi maschili.

Mirella Caveggia

De Rosa mette in scena «Maria Stuart» di Schiller, con qualche scelta eccessiva

Lo scontro delle due regine Nella Maria Stuart di Andrea De Rosa, Mortimer, un personaggio non storico, frutto della fantasia di Schiller, dichiara alla regina di Scozia il suo amore. Egli dice che la porterà via dalla prigione in cui è rinchiusa da diciotto anni; dice che impedirà a Elisabetta, regina d' Inghilterra, di giustiziare lei, Maria; dice che è pronto a rischiare la vita. Ma in cambio vuole possederla! Per dimostrare quanto ciò Mortimer desideri, De Rosa chiede a Fortunato Cerlino, che ne interpreta la parte, di tirarsi giù le brache, esibire se stesso alla regina. Un simile gesto, difficilmente immaginabile sia nella circostanza storica che nel dramma di Schiller, così marmoreo e dove già la dichiarazione è un eccesso, è in specie incongruo nel registro figurativo dello spettacolo. Il gesto è compiuto fino in fondo, quindi da parte del regista è una scelta precisa. Egli intende rompere un ordito fino ad allora, e nel seguito, sobrio e perfino austero, se non cupo: si va da Georges de La Tour fino a Bacon, a Rothko. Il fine credo sia lo stesso che si scorge nei costumi. Vi sono gli elegantissimi abiti delle regine, mauve o grigio-perla e rosso o rosso-cupo, quasi viola. Ma vi sono anche gli abiti più moderni dei personaggi maschili, a indicare la fluttuazione di senso dal 1687 della morte di Maria Stuart al 1800 del dramma di Schiller, al nostro 2007: la lotta tra i sessi, ovvero all' interno dello stesso sesso, e soprattutto le guerre di religione (tra protestanti e cattolici) che ne amplificano il rilievo, non sono che sanguinose maschere di lotte politiche e culturali di ben più vasta portata. Pure, quel gesto di Mortimer, quella rottura stilistica sembra uno sbrego, un eccesso, peggio: una concessione non al nostro tempo come è, ma come esso vuole essere. Poi c' è un altro problema. La recitazione di Frédérique Loliée, già notevole interprete del precedente spettacolo di De Rosa, l' Elettra di Hofmannsthal, accanto a momenti davvero difficili, come la scena in cui s' inginocchia di fronte alla sua grande nemica e rivale, risolta in modo toccante, sembra a volte impacciata, chiusa nel laccio troppo stretto del suo accento francese. Meno felice m' è parsa Anna Bonaiuto, fin troppo compresa nella sua parte di regina. Vi è, nel suo movimento, e nella complessiva postura, un che di convenzionale, anche in questo caso un tributo al nostro oggi più corrivo: la Bonaiuto alza le braccia come fosse regina in uno sceneggiato televisivo, e modula la voce come se stesse doppiando Cate Blanchett in una delle due Elizabeth. Persuasiva, invece, mai concessiva, la traduzione di Nanni Balestrini; e decisamente bello, cioè ricco di senso, l' impianto scenografico di Sergio Tramonti: vi sono due scene, o meglio due palcoscenici. Più lontano, quasi irraggiungibile, quello dominato da Elisabetta. Più accessibile, e più piccolo, quindi una prigione, quello dove si muove Maria. Il primo è l' Inghilterra e il secondo la Scozia. I due spazi sono uniti da una breve passerella. Come Robert De Niro e Al Pacino in Heath e come nel dramma di Schiller, non come nella realtà storica, alla fine le due regine s' incontrano. Sono due regine, due donne e, in fondo (lo desumo da Stefan Zweig e da Lytton Strachey), due criminali, che alla ragione e alla ragion di Stato antepongono le ragioni personali. Ma per Schiller e per De Rosa sono soprattutto due personaggi antichi, malate entrambe dell' idea di regalità come unzione divina, votata la vincitrice alla solitudine e la vinta alla redenzione.

Franco Cordelli

Tesa e rigorosa messinscena della vita di Maria Stuarda

Come nelle tragedie greche in «Maria Stuart», scritta nel 1800 da Friedrich Schiller, l' azione è ridotta al momento della catastrofe: gli ultimi giorni di Maria, regina di Scozia, condannata alla pena capitale da Elisabeth Tudor, la regina d' Inghilterra. Della sua vita dolorosa, costellata di assassinii, amori infelici, oppressa da ben diciotto anni di prigionia, ci sono solo echi in un presente cupo. Nella messinscena tesa e rigorosa di Andrea De Rosa con una asciutta drammaturgia, una nera pedana posta in platea è prigione e patibolo in cui la cattolica Maria, legittima erede al trono d' Inghilterra, aspetta la sua fine, mentre lontana sul palcoscenico vi è sul trono la regina Elisabeth, protestante, figlia di Anna Bolena e considerata da tutti «bastarda». Si tratta di due mondi separati che si scontrano e le due attrici che fanno rivivere questi universi riescono a disegnare personaggi complessi e fuori dalla convenzione. Elisabeth, interpretata con ricchezza di sfumature dalla brava Anna Bonaiuto, è sì impastoiata nei calcoli secchi di una ragione di Stato e compressa nell' odio e nella gelosia per la Stuart, ma è anche una donna di volontà, di dispute e controversie, sola e pronta a sacrificare molto, ma non tutto, al potere. Di fronte a lei Maria, cui l' intensa Frédérique Loliée dà tratti di dolce umanità, è attraversata, più che da afflati di cristiana devozione, da un forte senso dell' ingiustizia che la scuote e più che una vittima sacrificale ne fa la vittima di un abuso di potere. Intorno alle due regine un mondo di uomini dalle poche virtù e dalle molte convenzioni ben interpretati, tra gli altri, dai bravi Flavio Bonacci e Andrea Calbucci.

Magda Poli

Un gran duello fra attrici regine e regine attrici

«Maria Stuart» di Schiller in un eccellente allestimento di De Rosa Applausi a scena aperta
Le regie di Andrea De Rosa hanno una capacità rara e particolarissima nell'asfittico panorama teatrale italiano di oggi: riescono non solo a mettere perfettamente a fuoco il testo prescelto, ma anche a riportare alla mente - parlo per me, s'intende - i documenti (li conosca o meno non ha importanza) che a quel testo hanno dato origine e ragioni. E così, se la messinscena di «Elettra» rimandava agli «Studi sull'isteria» di Breuer e Freud che furono alla base del riattraversamento dei grandi miti e dei grandi tragici da parte di Hofmannsthal, adesso l'allestimento di «Maria Stuart» - prodotto dallo Stabile napoletano e presentato al Mercadante - rimanda alla lettera che Schiller scrisse a Goethe il 2 ottobre 1797. Scrisse fra l'altro Schiller: «L'Edipo è, per così dire, solo un'analisi tragica. Tutto è già presente, e non fa che essere sviluppato. Ciò può avvenire mediante un'azione semplicissima e in un lasso di tempo assai breve, anche se le vicende erano complicate e soggette a varie circostanze. E di quanto se ne avvantaggia il Poeta! Ma temo che l'Edipo formi un genere a sé, e che non ne esista una seconda specie...». Ebbene, «Maria Stuart» - non a caso composta appena un paio d'anni più tardi, fra il 1799 e il 1800 - costituisce il tentativo disperato, nell'ambito dell'incipiente crisi del dramma moderno, di ricreare e reinventare la tecnica analitica di Sofocle. Infatti, quella tragedia comincia quando tutto (i diciotto anni di prigionia della regina di Scozia, il processo intentatole da Elisabetta d'Inghilterra e la sentenza di condanna a morte) è già avvenuto. E il plot non riguarda che gli ultimi tre giorni prima dell'esecuzione: tre giorni interamente occupati, per l'appunto, dal «dibattito» sulla liceità (e l'opportunità) morale e politica di eseguire la condanna in questione. Aveva ragione, Wilkinson, a considerare Schiller come un poeta che si mette a fare il filosofo. E tutto questo la regia di De Rosa traduce con un'intelligenza e una precisione esemplari, e accoppiate con altrettanta inventiva. Il contesto determinato insieme con lo scenografo Sergio Tramonti parla di un teatro che è «prima» del teatro: con gli attori seduti, in attesa del loro turno di battuta, nelle poltrone sistemate ai due lati di un palcoscenico eretto in platea; mentre Elisabetta, al suo apparire, sta seduta su un trono collocato al centro del palcoscenico «vero», quello fisso, e dunque preesistente, del Mercadante. È l'equivalente visivo della sentenza già pronunciata. E una trovata davvero strepitosa, poi, è la passerella posata a vista, e addirittura con strepito, per unire i due palcoscenici in occasione dell'incontro (storicamente mai avvenuto!) fra le due regine: come si poteva sottolineare meglio l'artificiosità melodrammatica che diffusamente connota la tragedia schilleriana? Il tutto, infine, si riassume e si esalta nel duello di bravura fra le due protagoniste: Anna Bonaiuto (Elisabetta I) e Frédérique Loliée (Maria Stuart) offrono una prova d'attrice da collocare senz'alcun dubbio in un'ideale antologia del teatro degli ultimi anni. Più scolastici gli altri, fra i quali citerei Flavio Bonacci nel ruolo di Lord Talbot. Applausi scroscianti, e spesso a scena aperta, da parte di un pubblico eccellente che andava, poniamo, da Umberto Orsini a Mario Martone.

Enrico Fiore

Ultima modifica il Venerdì, 11 Ottobre 2013 11:39

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