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MEMORIE DAL SOTTOSUOLO - regia Gabriele Lavia

Memorie dal sottosuolo Memorie dal sottosuolo Regia Gabriele Lavia

da Fedor Dostoevskij
adattamento e regia: Gabriele Lavia
con Gabriele Lavia, Alice Torriani, Pietro Biondi
scene: Carmelo Giammello
costumi: Andrea Viotti
Roma, Teatro Argentina, dal 25 al 30 marzo 2008

Il Messaggero, 29 marzo 2008
"Memorie" dal profondo

E' tornato a Roma, al Teatro Argentina (ancora oggi e domani) uno spettacolo di Gabriele Lavia, Memorie dal sottosuolo, tratto da Fedor Dostoevskij, protagonista lo stesso Lavia con Alice Torriani e Pietro Biondi. S'era già visto all'India.
L'ambiente che Carmelo Giammello ha creato per questo allestimento del capolavoro dostoevskijano è, a dir poco, magnifico. In primo piano, appena dietro un brandello di muro coperto di neve, s'aprono due interni, due stanze di case diverse che coesistono senza soluzione di continuità. A destra di chi guarda, un'alcova straripante: cuscini, coperte color di lacca e cremisi a grandi rose fucsia, molli canapé, frange, pizzi, candelabri, un pianoforte aperto, cornici dorate. A sinistra, il salotto di una dimora consunta, abbandonata a sé stessa, un divanaccio stinto, pochi mobili, un piccolo tavolo. Sul fondo, sfruttando magicamente l'ampiezza dello spazio a disposizione, un'arcata di mattoni scuri sovrasta la strada innevata, che sale verso vicoli indistinti, diretti chissà dove. Nevica, appunto.
Il sottosuolo evocato da Dostoevskij nel suo romanzo del 1865, ha qui, giustamente, i connotati dell'inconscio freudiano. E l'uomo del sottosuolo drammaturgo, regista e interprete è Gabriele Lavia, affezionato aedo dello scrittore russo. Lavia che entra di prepotenza, come al solito, nell'interiorità del personaggio (un semplice impiegato, tormentato da un oscuro senso di colpa), oscillando fra malvagità e pietas, fra ragione e morale. Lavia che sguazza di gusto nell'ingovernabile, nel contarddittorio, nell'irrazionale, rappresentando a tutto tondo pulsioni ora sadiche ora masochistiche di un tipo a disagio con se stesso, emarginato dalla società, privo di relazioni, attaccabrighe e deciso, dopo una serata fallimentare trascorsa con i colleghi d'ufficio, a redimere la giovane prostita Lisa.
Il sapore di Dostoevskij aleggia costantemente nel lungo monologo (Lisa è una presenza poco più che formale), ma Lavia trova la vera misura della sua prestazione soltanto all'epilogo, quando smorza la disperazione in una lucida, devastante soluzione finale più volte accarezzata: trasformarsi in uno scarafaggio. La sua corsa a quattro zampe sulla neve, avvolto nel cappotto nero, verso l'infinito abisso dell'inconscio, fa davvero pensare a quanto precorritore sia stato Dostoevskij in materia di analisi della psiche umana.
Pietro Biondi, con efficace eloquenza, restituisce al pubblico la figura sentenziante, quasi millenarista, del vecchissimo servo.

Rita Sala

Ultima modifica il Venerdì, 11 Ottobre 2013 11:42

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