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NATALE IN CASA CUPIELLO (2016) - regia Antonio Latella

"Natale in casa Cupello", regia Anotnio Latella "Natale in casa Cupello", regia Anotnio Latella

di Eduardo De Filippo
regia Antonio Latella
con Francesco Manetti, Monica Piseddu, Lino Musella, Valentina Vacca, Francesco Villano, Michelangelo Dalisi, Leandro Amato, Giuseppe Lanino, Maurizio Rippa, Annibale Pavone, Emilio Vacca, Alessandra Borgia
drammaturga del progetto Linda Dalisi
scene Simone Mannino e Simona D'Amico; costumi Fabio Sonnino
musiche Franco Visioli; luci Simone De Angelis
assistenti alla regia Brunella Giolivo, Michele Mele, assistente volontaria Irene Di Lelio
al teatro Storchi, Modena, il 30 novembre 2016

www.Sipario.it, 7 dicembre 2016

E' un unico racconto quello che Antonio Latella sta componendo, spettacolo dopo spettacolo, un racconto che lo pone di fronte e ci pone davanti ai concetti di eredità, di tradizione, ma anche a quello dello 'spostamento' che il regista individua nel trittico di Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo. Lo spostamento che il teatro eduardiano compie nei confronti della tradizione e della sceneggiata è emblematico e confermativo per il pensiero registico e drammaturgico che Latella porta avanti e che di testo in testo, di spettacolo in spettacolo mette alla prova. Ed è questo che accade in Natale in casa Cupiello: la tradizione si offre come un passare attraverso un classico per assumerne la responsabilità, per dire «sì, me piace 'o Presebbio».
Antonio Latella costruisce un Natale in casa Cupiello in cui il racconto si fa immagini, in cui i tre atti che compongono la pièce vivono di una loro individualità, sono parti del tutto, sono parti di un sogno, di un'illusione infranta: quel presepe intorno al quale Luca Cupiello vorrebbe riunita la famiglia, una famiglia sfasciata che l'uomo si rifiuta di vedere, una famiglia che guarda l'uomo con compassione. Un incrocio di sguardi, un altro presepe che ancora si deve comporre. In quel presepe della favola bella Luca alla fine si rifugerà per uscire di scena, farsi esso stesso presepe, natura morta di una realtà nuova, frutto dello spostamento che Eduardo andava cercando ed elaborando col suo teatro, allontanandolo dalla sceneggiata e innovando la tradizione della scena partenopea. Antonio Latella costruisce per ogni atto situazioni e immagini potenti che giocano sulla essenzialità dei segno, il rigore della prassi recitativa e iconica. Così il primo atto mostra i personaggi in fila sul proscenio, sormontati da un'enorme stella cometa di fiori gialli, bellissima e inquietante al tempo stesso. Il testo di Eduardo vive come racconto, è un'azione linguistica, in mezzo c'è Luca Cupiello in abito chiaro che scrive il copione. Gli attori recitano non solo la parte, ma anche le didascalie. Le azioni sono narrate e ciò dà un angosciante senso di straniamento. Vengono in mente Bestia da stile e Ti regalo la mia morte, Veronika. È come se le statuine del presepe fossero tutte in fila, in attesa di essere spolverate e collocante al loro posto. Il rito del fare il presepe è un rito linguistico, è un accento grave o acuto, un salto e uno storcer di testa, è un gesto impercettibile, è la mano di Luca Cupiello (Francesco Manetti) che scrive nell'aria il proprio racconto, il proprio rifiuto della realtà. Non a caso i personaggi indossano maschere nere che impediscono di vedere, non a caso quelle statuine si sommano nella chiusura dell'atto affidato a un pulcinella di nero vestito.
Il secondo atto è la sceneggiata raggelata, è la natura morta del presepe, è la forza malgrado tutto di andare avanti, forza affidata a Concetta (Monica Piseddu sempre più brava e incredibile nel suo istintuale e sublime essere attrice) che spinge un carretto che è quello di Madre Coraggio, ma è anche un carro funebre in cui sta Luca Cupiello con le carcasse degli animali di peluche che un attimo prima i vari membri di casa Cupiello si erano portati addosso, pastori del presepe, Re Magi senza regno. Potente, pietosa è Concetta di Monica Piseddu, il motore primo di quella casa, colei che per amore e sacrificio tiene uniti, che tutela la follia del marito e alla fine l'inconsistenza del suo non essere capo famiglia. E' lei che sa che la figlia Ninuccia (Valentina Acca) è ai ferri corti con Nicoletto (Francesco Villano) e che vorrebbe fuggire con Vittorio Elia (Giuseppe Lanino), è lei che ha consapevolezza della fragilità del figlio Nennillo (Lino Musella) Il carro funebre tirato da Concetta/Piseddu vaga intorno, procede nel suo cammino in cerca di vita, in cerca di sopravvivenza, malgrado le avversità. E in questo secondo atto Latella regala una straordinaria potenza iconica che spazia da Brecht, passa per Pirandello, approda a Kantor... Suggestioni di un sottotesto di straordinaria ricchezza.
Il terzo atto è la resa della vita alla natura morta o forse la sublimazione di quel presepe in cui Luca Cupiello delirante trova posto in una grande mangiatoia sacello. E l'apertura lascia senza fiato col calare di Beppe Barra in un acquasantiera a forma di angioletto – di quelle che si trovano alla testa dei vecchi letti delle nonne – che canta sul motivo La calunnia è un venticello del Barbiere di Siviglia di Rossini. In un potente recitardantando si compie la veglia del moribondo Luca in cui Concetta e le altre donne si presentano in abiti ottocenteschi di un nero funereo e squillante, quegli stessi abiti, ma colorati tornano come segno in Ti regalo la mia morte, Veronika. Fra effluvi di caffè e di fagioli si compie la trasfigurazione di Luca dal fare il presepe all'essere presepe, atto ultimo di un confronto fra la realtà e ciò che si vorrebbe. E a porre fine a tutto è Nennillo che dopo aver detto che gli piace il presepe, soffoca il padre/neonato nella mangiatoia, intorno alla quale due bimbi portano le statuine del bue e l'asinello. Quell'eutanasia del padre è anche un assunzione di eredità, è lo spostamento dalla tradizione ad un teatro che innova dall'interno. E' un Natale funereo quello che annuncia l'Eduardo di Latella, è la resa incondizionata all'insopportabile realtà a cui solo Concetta può far fronte come ogni donna che porta in sé l'urgenza di vita e nutrimento. Superfluo sottolineare che la compagnia attoriale vive di una sua intensità interpretativa e di racconto che non lascia respirare e si conquista l'attenzione della platea.
Natale in casa Cupiello è un pensiero, è un altro tassello che aggiunge al suo personale percorso che lo induce a ri-definire cosa sia la tradizione teatrale, cosa voglia dire passare attraverso i classici per approdare in un altrove che non è natura morta, ma vita che palpita. A questa esigenza sembrano richiamarsi il contestato Servitore di due padroni, Natale in casa Cupiello, ma anche il recente Santa Estasi, piuttosto che Ti regalo la mia morte, Veronica. E a suggerire come non ci sia soluzione di continuità nei suoi lavori, Latella recupera segni, simboli e stilemi che ricorrono nei suoi spettacoli non come vezzo stilistico, ma come permanenze che dicono di una riflessione continua che il regista ingaggia con se stesso, con i suoi attori e con il pubblico nella convinzione che il teatro sia uno spazio di formidabile elaborazione di pensiero sulla nostra contemporaneità oltre che sulla semantica della scena.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Lunedì, 12 Dicembre 2016 19:04

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