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ORESTIADE - regia Pietro Carriglio

Orestiade (Agamennone, Coefore, Eumenidi) Orestiade (Agamennone, Coefore, Eumenidi) Regia Pietro Carriglio

(Agamennone, Coefore, Eumenidi)
di Eschilo
Traduzione di Pier Paolo Pasolini
Regia, scene e costumi di Pietro Carriglio, Musiche di Matteo D’Amico eseguite dal vivo da Palermo Art Ensemble Sestetto
Luci di Luigi Saccomandi, Movimenti coreografici di Leda Lojodice
Con Luciano Roman, Galatea Ranzi, Maurizio Donadoni, Giulio Brogi, Ilaria Genatiempo, Stefano Santospago, Luca Lazzareschi, Claudio Mazzenga, Aurora Falcone, Simonetta Cartia, Francesco Alderuccio, Francesco Biscione, Luigi Mezzanotte, Liliana Paganini, Elisabetta Pozzi, Cristina Spiga.
Produzione: INDA Siracusa
Siracusa, Teatro Greco, maggio 2008

Corriere della Sera, 22 giugno 2008
Il Mattino, 1 giugno 2008
Corriere della Sera, 11 maggio 2008
Avvenire, 10 maggio 2008
www.Sipario.it, 16 maggio 2008
Diritto e legge: le ragioni d' oggi nel mito

Coefore e Eumenidi Alla «prima», la lettura del procuratore antimafia Grasso
Nell' Orestiade di Eschilo, Coefore e Eumenidi segnano nella limpida messinscena di Pietro Carriglio la seconda tappa di un viaggio alle radici della nostra civiltà. Nella scenografia metafisica di una piazza dominata da un grande palazzo-scalinata e da una alta torre, nelle Coefore si arriva al cuore della trilogia raccontando il matricidio col quale Oreste, colpendo Clitennestra e il suo amante Egisto, vendica la morte del padre Agamennone. Nelle Eumenidi Oreste chiede ad Atena che il suo tragico operato sia giudicando da un tribunale. Carriglio ha ben saputo tracciare quel ponte che unisce classico a contemporaneo dandogli con decisione i tratti della conquista del Diritto. Diritto al quale viene delegato il compito di risolvere ogni conflitto tra gli uomini, spezzando per sempre l' atavica pratica della vendetta di padre in figlio, di generazione in generazione. Un tratto incendiario e oggi più che mai attuale che la sera della «prima» si è acceso nelle parole: «il tempo della legge è iniziato», dal celebre saggio di George Thomson sull' Orestea, lette a suggello dello spettacolo dalla cavea dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. Parole che ogni sera risuoneranno come un monito alla legalità, al bisogno di giustizia, al dovere di responsabilità e come riconoscimento della nostra millenaria storia culturale e civile. A segnare lo spettacolo, con la traduzione di Pasolini e le belle musiche di Matteo D' Amico eseguite dal vivo, un' ottima compagnia di attori, duttile e incisiva Galatea Ranzi, Clitennestra ed Elettra, bravissima Elisabetta Pozzi, volitiva Atena, Luca Lazzareschi è un travagliato Oreste, Luciano Roman un vanesio Egisto e poi Liliana Paganini, Stefano Santospago, Cristina Spina, Maurizio Donadoni, in uno spettacolo che ha saputo cercare nel paesaggio codificato dal mito quei segni che permettono di trovare le ragioni dell' oggi.

Magda Poli

L'Orestea tra Pasolini e i mali di «Gomorra»

«Sono convinto che la traduzione di Pasolini sia un'opera di grande valore poetico già nelle stesse intenzioni dell'autore. Lui non volle realizzare una trasposizione letterale dell'"Orestea" greca, ma una versione che avvicinasse il pubblico al senso profondo della poesia di Eschilo. E questo è ciò che ho cercato di fare concretamente nella mia messinscena. Pasolini restituisce con chiarezza tutte le immagini del testo». Così, fra l'altro, Pietro Carriglio, regista dell'«Orestea» che l'Istituto Nazionale del Dramma Antico presenta, al Teatro Greco, per l'appunto nella traduzione di Pier Paolo Pasolini: quella commissionata da Gassman per lo storico allestimento del '60. Ebbene, al termine di «Eumenidi», la tragedia conclusiva della trilogia, uno spettatore (non a caso ha cominciato il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso) legge dalle gradinate un passo dello storico e grecista George Thomson sull'affermarsi della legalità. E questo attiene alla concezione del teatro come assemblea civile, cara a Carriglio a partire dalla sua messinscena di «Assassinio nella cattedrale» di Eliot. Ma, rispetto ai significati specifici dell'«Orestea» (Pasolini l'intitolò «Orestiade»), s'impone un'altra citazione: «L'interpretazione figurale crea fra due fatti, che appartengono entrambi alla storia, un nesso in cui uno dei due non significa soltanto se stesso ma significa anche l'altro, mentre quest'altro comprende ed adempie il primo». È l'acuta osservazione che fece Erich Auerbach nei propri «Studi su Dante». E fondate ragioni suffragano l'ipotesi che l'«Orestea» sia, per l'appunto, «figura» del nostro lacerato e smarrito presente. Oltre ogni dubbio, infatti, il susseguirsi degli eventi narrati in quella trilogia - l'uccisione del marito da parte di Clitemnestra («Agamennone»), la vendetta di Oreste («Coefore») e l'assoluzione di quest'ultimo al termine di un processo tenuto ad Atene («Eumenidi») - coincide perfettamente con l'evolversi del concetto di giustizia nella fase del passaggio dalla società tribale alla polis: nella quale alla vendetta personale e privata si sostituisce il ricorso al giudizio pronunciato dal potere sovrapersonale dello Stato in nome della collettività. In proposito, e quindi a ribadire l'attualità della trilogia eschilea, Elisabetta Pozzi, alla quale tocca il ruolo della dea che istruisce il processo a Oreste, tira un affondo da manuale: «Mentre sugli schermi di Cannes scorrevano le immagini terribili di "Gomorra", ho pensato che Atena dovrebbe proprio farsela, una passeggiata a Scampia». Ed alle immagini, in coerenza con la sua analisi della traduzione di Pasolini, Carriglio sostanzialmente s'aggancia: la scena, da lui stesso firmata, segnala ad un tempo l'ascesa (vedi la torre sulla sinistra) e la gradualità dell'ascesa (vedi la lunghissima scalinata che taglia diagonalmente lo spazio e quella a chiocciola che circonda la torre); così come le sbarre del cancello d'ingresso alla reggia di Argo, rimosse all'inizio di «Eumenidi», simboleggiano icasticamente l'aprirsi del luogo chiuso della tirannia all'ingresso della democrazia. S'invera al meglio, dunque, l'osservazione di Auerbach: poiché l'alto comprende e riscatta il basso, allo stesso modo che (non a caso Carriglio affida i due ruoli a una sola attrice) Elettra comprende e riscatta Clitemnestra. Ed eccellente è la prova della compagnia «all stars» qui in campo: dalla Pozzi a Luca Lazzareschi (Oreste) e Galatea Ranzi (Clitemnestra ed Elettra). Infine, nel corso di un convegno su Pasolini è stato presentato un cd con versi inediti del poeta musicati da Ennio Morricone, Piero Umiliani e Piero Piccioni. E tra gli interpreti ci sono gli Avion Travel. Tutto si tiene, come direbbero, appunto, i francesi.

Enrico Fiore

Più idee che eroi nell' Eschilo di Carriglio

Senza cedere all' assolutismo romantico di Victor Hugo («chi non capisce Eschilo è un mediocre»), con più pacata logica si può affermare che Orestiade è la rappre-sentazione del passaggio dalla barbarie alla civiltà, dalla tribù primitiva, dove vendetta chiama vendetta, delitto genera delitto, alla nascita di un ordinamento democratico. E in uno stratificarsi di vari momenti della storia sociale, in questa trilogia più che mai, il teatro è il luogo in cui la città pensa se stessa e rende vera la politica. La messinscena di Pietro Carriglio, cogliendo queste tematiche, segna come il passaggio verso la democrazia parta da un' enfasi rituale e barbarica per trasformarsi in sobrio diritto. La traduzione è quella che Pasolini fece per Gassman nel 1960 e come allora Agamennone si alterna al teatro greco di Siracusa con Coefore ed Eumenidi, unite in un solo spettacolo. Il regista, anche scenografo, ha ideato una sorta di spazio metafisico per una trilogia popolata più da idee che da eroi, una piazza dominata da un grande palazzo-scalinata e da una alta torre. In Agamennone il re, tornato vincitore da Troia, viene ucciso per antico odio dalla moglie Clitennestra, complice il suo amante Egisto. Carriglio trasforma il coro in popolo e, partendo da una convenzionalità di cori cantati - le belle musiche sono di Matteo D' Amico -, esalta la centralità del popolo stanco di guerra che chiede di poter far sentire la sua voce mentre il potere chiuso nel suo formalismo diventa bolso e infiacchito, come il re Agamennone vecchio eroe non eroe ben interpretato da Giulio Brogi, o vanesio, come l' Egisto di Luciano Roman. Clitennestra, l' intensa Galatea Ranzi, è un' anima persa, un essere che ha segnato il suo tempo di vendetta che tramonterà, nella seconda parte dell' Orestiade, con la nascita di una società che delega al diritto il compito di risolvere i conflitti.

Magda Poli

La trilogia di Eschilo per difendere la legalità

Tra l'arcaica vendetta e il più elevato concetto di Giustizia rivivono a Siracusa tre capolavori della tragedia tornano a rivestirsi di folla, soprattutto di una folla di giovani studenti, gli alti e immensi spalti del Teatro Greco di Siracusa per gli spettacoli classici dell'Inda, l'Istituto nazionale del dramma antico. E rivive quest'anno nella sua interezza l'Orestea di Eschilo. Quell'Orestea considerata una delle creazioni più altre di tutti i tempi. Dove troviamo i temi della grande Tragedia: l'ineluttabilità delle leggi divine, l'ereditarietà misteriosa del delitto, l'intimo contrasto tra la voce della natura e un ordine superiore, l'adempimento di una legge di giustizia nelle umane vicende. Torna il capolavoro eschileo nella sua interezza a distanza di quasi mezzo secolo. da quando tra i protagonisti figurava un fiero e nobile Vittorio Gassman che firmava anche la regia (ora l'impresa, e riuscita, è toccata a Pietro Carriglio) avvalendosi di una nuova e vitale versione commissionata a Pier Paolo Pasolini. La stessa oggi riproposta. Una versione che non cerca una mediazione classicistica ma si lega al nostro tempo presente. Anche a sottolineare questo, l'anteprima di mercoledì aveva visto, alla fine, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso leggere un passo dello storico George Thomson sulla vittoria della Giustizia sul concetto di vendetta.
È Agamennone che apre la trilogia. Ed è Agamennone colui che rappresenta il primogenito della maledizione abbattutasi sulla stirpe degli Atridi, ma anche la vittima sacrificale. Al suo ritorno dopo la vittoria su Troia troverà ad attenderlo la morte per mano della moglie Clitennestra che ha voluto vendicare il sacrificio della figlia Ifigenia con la complicità di Egisto, futuro despota. Tragedia possente, ma è Le Coefore il momento centrale della trilogia di Oreste che racconta quel nodo di vendetta-giustizia che l'eroe scioglie uccidendo l'usurpartore e la propria madre, rei dell'assassinio. Misteriosa e terribile è la tragedia del labile confine tra responsabilità umana e giustizia divina. E qui a giganteggiare è appunto Oreste, di cui a fare anche la grandezza del personaggio è l'angoscia di esitazione, quell'incrinatura interiore che ritroveremo in Amleto. Una trage- dia, Le Coefore, rapida e intensa i cui fulminei accadimenti costituiscono i passaggi di un terribile rituale religioso: il sangue che va lavato col sangue, il delitto che va purificato con un delitto anche più fosco: il matricidio. La catena dei delitti solo alla fine è interrotta dall'intervento divino nelle Eumenidi. E sarà questa la dichiarazione religiosa di Eschilo, l'omaggio al sovrannaturale al quale l'uomo non può sottrarsi.
Impresa difficile, quella di Carriglio, ma affrontata con tenacia, senza sicurezze preconcette. Il regista fa bene ad adeguarsi alla pasoliniana strategia di 'smascheramento' di un classico così illustre eppure così antropologicamente ambiguo e fa anche bene a far emergere il senso della legge cui gli uomini devono sottostare. Lavorando bene sui cori, mai forzando le tinte, semmai recando allo spettacolo una forte dose di spettacolarità.
Nei ben meditati costumi, sempre di Carrriglio, che da una bella grecità (tonalità soprattutto brune e nere) trapassano a un accennato modernismo, si erge a recitare una falange di attori valenti, quasi tutti persuasivi. Fisico asciutto, vocalità superba, nel ruolo di Oreste il giovane Luca Lazzareschi si rivela forse il migliore di tutti. Ma bravissima anche Galatea Ranzi, prima a dare algido furore a Clitennestra e poi giusta sofferenza ad Elettra. D'alta scuola l'Agamennone di Giulio Brogi e così l'Athena di Elisabetta Pozzi. Ma non deludono nemmeno Luciano Roman. Maurizio Donadoni, Liliana Paganini, Simonetta Cardia, Giancarlo Condè e, validissimo corifeo, Stefano Santospago. Ben inserite, d'alta civiltà, le musiche di Matteo D'Amico. Quaranta le repliche, fino a giugno inoltrato. A sere alternate, Agamennone e, unificate, Coefore ed Eumenidi.

Domenico Rigotti

Un triangolo rettangolo, guarnito da quattro piani di finestroni che degradano  ad arco simili a quelli d’un Colosseo piatto, ha il cateto alto 15 metri lambito da un enorme disco dorato, la base misura una quarantina di metri e l’ipotenusa seghettata da almeno settanta scalini va a scemare lì accanto ad un’alta cilindrica torre biancastra, come le pietre della cavea del teatro, accessibile attraverso una scala a chiocciola che giunge sino in cima come una spirale del DNA. La scena in perfetto bilanciamento prospettico si completa con un’ampia e bianca agorà che si dispiega all’inizio con varie file di scaloni, per chiudere infine la skené dalle fogge rotondeggianti accanto ad una fossa di sabbia raffigurante la tomba di Agamennone. E’ la scena architettata da Pietro Carriglio che firma pure i costumi orientali e un’appassionata messinscena di questo kolossal di 25 secoli fa che è l’Orestiade di Eschilo e che utilizza la versione tradotta quarantotto anni fa da Pier Paolo Pasolini per Vittorio Gassman che curò pure la regia assieme a Luciano Lucignani e che vede sulla scena in tre ore e quaranta minuti di spettacolo (come è avvenuto all’anteprima, mentre le repliche saranno scandite in due serate) un centinaio di personaggi, tra cori di vecchi e giovani, soldati, figuranti e attori comprimari. La scena raffigura chiaramente la casa degli Atridi, il luogo dove si consumano tresche e ammazzamenti e dove il sangue scorrerà solo raffigurato da rigagnoli di stoffe scarlatte. La parola regna sovrana, si veste di lutto e di violenza e lentamente andrà a placarsi e adagiarsi sulle coscienze di tutti, con un messaggio di pace e di giustizia. All’inizio è la Clitennestra di Galatea Ranzi di rosso-magenta vestita ad aprire le danze di morte con l’aiuto del suo amante Egisto (Luciano Roman), scannando prima il suo sposo Agamennone, quello autorevole di Giulio Brogi che giunge ad Argo portato a spalla su un fercolo come un santo in processione, colpevole costui d’aver sacrificato ad Artemide la figlia Ifigenia prima della spedizione contro Troia, e poi ri-scannando il corpo della di lui schiava e concubina Cassandra, alias Ilaria Genatiempo, che in alcuni momenti di possessione vaticinante si farà sfuggire via il microfono rendendo la sua voce più umana e naturale.
L’arrivo di Oreste, figlio di Agamennone, una silouette nera quella del bravo Luca Lazzareschi, meditabondo e implacabile come un Amleto ante litteram, pareggerà i conti, infilzando con un pugnale prima Egisto e poi sua madre, non prima d’essersi fatto riconoscere dalla sorella Elettra (la stessa Ranzi) colta a pregare assieme alle Coefore sue ancelle sulla tomba del padre. Fugge Oreste inseguito dalle Erinni, chiedendo aiuto ad Apollo che appare in alto su quella torre bianca (meglio in questo ruolo Maurizio Donadoni che non come isterico messaggero) senza potergli risolvere il problema, perché quelle furie nere non sentono ragione e vogliono a tutti i costi fargli la pelle. Ecco infine apparire davanti a quel disco dorato la dea Atena, tutta argentata, carismatica e ronconiana quella di Elisabetta Pozzi, che ascoltate accuse e discolpe d’ambo le parti decide di rimettere il giudizio ad un tribunale di cittadini ateniesi da lei stessa costituito, il cosiddetto Areopago, qui raffigurato da dieci spettatori che decideranno la sorte di Oreste ponendo in un’urna cinque biglie nere e cinque bianche e poiché la votazione risulterà pari, il processo si concluderà con l’assoluzione di Oreste grazie al voto favorevole della dea. Le Erinni diventeranno benevole Eumenidi e saranno poi venerate come tali. Ancora un’emozione finale, quella proveniente dalla cavea, con la lettura di un brano di George Thomson, Il regno della legge è iniziato, letto con un filo d’emozione dal procuratore nazionale dell’antimafia Piero Grasso e sarà così sino al 22 giugno a fine spettacolo, in cui una personalità sempre diversa, leggerà il brano a suggello del messaggio di giustizia e di legalità proveniente da questa Orestiade di Carriglio per questo 44° ciclo di rappresentazioni classiche al Teatro greco di Siracusa.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Venerdì, 20 Settembre 2013 08:54

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