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OCCHI FELICI - regia Giorgio Marini

Occhi felici Occhi felici Regia Giorgio Marini

di Ingeborg Bachman
regia: Giorgio Marini
con Anna Paola Vellaccio, Elisabetta Piccolomini, Emanuele C.Viterbi
disegno luci: Vincenzo Raponi
Roma, Teatro India dal 28 marzo al 1 aprile 2007

Il Giornale, 10 aprile 2007
Il Manifesto, 1 aprile 2007
Corriere della Sera, 1 aprile 2007
La Repubblica, 2 aprile 2007
Miranda cambia occhiali per non vedere il male

Occhi felici di Ingeborg Bachmann, in scena al Teatro Florian di Pescara fino al 15 aprile e poi in tournée, è uno spettacolo che rifiuta la routine sempre più presente sui nostri palcoscenici. Esso segna il ritorno alla prosa di un maestro della regia di sperimentazione come Giorgio Marini, che ci aveva dato negli anni Sessanta-Ottanta spettacoli di grande originalità. Come non ricordare Doppio sogno di Schnitzler? Marini si è dedicato negli ultimi quindici anni al teatro lirico, dove si è imposto con le sue regie rigorose e insieme innovative.
Un elemento di interesse di questo spettacolo è il fatto che Occhi felici è la prima parte di un progetto triennale del Teatro Stabile d’Innovazione Florian dedicato al tema del doppio e dell’ombra, intrigante e ricco di prospettive. Occhi felici, scritto dall’austriaca Ingeborg Bachmann nel 1972, un anno prima della sua precoce scomparsa, è un racconto morale, centrato non soltanto sul rapporto fra Miranda e l’amica Stasi, che prenderà il suo posto nel cuore dell'amato Josef, ma anche e soprattutto sulla circostanza che Miranda è miope e astigmatica insieme. Ha bisogno, quindi, di cambiare continuamente gli occhiali. Questi occhi «che non vedono» sono «felici», come sottolinea il titolo, perché permettono a Miranda una percezione della realtà assai più sottile e penetrante. La Bachmann gioca tutto il racconto su una scrittura asettica, illuminata però da una sottile simbologia e dove prevale il monologo interiore.
È facile immaginare la difficoltà di teatralizzare un testo che è quanto di più letterario si possa immaginare. Giorgio Marini ci riesce alla perfezione con il suo talento visivo e con il suo senso musicale delle battute. Il tema del doppio, con Miranda e Stasi che sono l’una l’immagine dell’altra, è risolto dal regista in una partitura coreografica e visiva che ha un rigore quasi scientifico e che avvicina il teatro al cinema. Per di più la vicenda di Miranda, Stasi e Josef si svolge in un buio screziato da ben 170 cambi di luce, creati magicamente da Vincenzo Raponi. Anna Paola Vellaccio è una Miranda ideale fisicamente e psicologicamente, Elisabetta Piccolomini una Stasi di nitido disegno, Emanuele Carucci Viterbi uno Josef imprevedibile con la sua immagine da uomo medio.

Giovanni Antonucci

La miopia di Miranda è una lezione di vita

Giorgio Marini torna al teatro di prosa con il racconto di Ingeborg Bachmann, «Occhi felici», in scena all'India di Roma

Roma. In mezzo a una programmazione «anonima» prima ancora che discutibile, questa è stata per il teatro India la settimana felice. Vanno in scena ancora oggi due spettacoli molto diversi, ma entrambi forti e importanti. Danio Manfredini ripropone con i suoi Tre studi per una crocifissione il nostro quotidiano teatro interiore, incubi e malesseri che con un attore straordinario come lui potrebbero rivelarsi l'assoluto teatro del futuro.
Giorgio Marini torna al teatro di prosa, dopo lungo un «esilio» nella lirica, e ribadisce la propria sapienza di regista, inteso come intellettuale che attraverso gli attori, le immagini e la parola è in grado di restituirci pensiero ed emozioni di un'altra grande intellettuale, Ingeborg Bachmann, che quasi cinquant'anni dopo la morte a Roma, aspetta ancora di uscire dal pantheon elitario di Adelphi. Un racconto della scrittrice austriaca, Occhi felici, dà titolo e ogni parola a una produzione (del Florian Teatro di Pescara) che procede a colpi di oscurità e penombra dentro il percorso di uno sguardo femminile.
Miranda ha un problema alla vista, ma quella miopia si scopre presto come il suo vero diaframma rispetto alla vita. Soprattutto rispetto all'uomo cui è legata, Josef, e alla sua amica più stretta Stasi (il diminutivo Ddr di Anastasia andava forte sulla scena viennese, come dimostra anche il personaggio truffaldino di Broch). Lo spettacolo, come e più del racconto di Bachmann, diviene così la privata e ristretta ronde dei tre personaggi, che Marini evoca, illumina e oscura come fossero intenti a passeggiare sul ring viennese, grazie alle luci mirabili disegnate da Vincenzo Raponi.
Quella miopia permette a Miranda di vedere, o non vedere, quello che lei vuole. Come l'intesa sempre più stretta tra l'uomo e l'amica: piuttosto che arrendersi all'evidenza, «preferirà» nel fracasso finale finir sepolta dalla vetrata che ha infranto. Ma d'altra parte, anche l'esistenza stessa dell'amica potrebbe essere un effetto ottico, uno sdoppiamento di persona. Non vi è alcuna certezza, in quell'equilibrio delicato e all'apparenza oggettivo tra una serrata autoanalisi e un'evocazione medianica. L'unico colpo di teatro che Marini concede è quello operistico, davanti a un sipario rosso fiammante, mentre risuona struggente Soave il vento dal terzettino mozartiano del Così fan tutte.
Del resto, l'effetto a specchio tra le due donne è tanto preciso quanto inquietante: gli abiti, i gioielli, i tavolini da toilette. Il personaggio maschile Josef (Emanuele Carucci Viterbi) che pure avrebbe delle colpe, finisce per apparire la vittima di questo moltiplicarsi femminino. Miranda (Annapaola Vellaccio) è tanto sicura di sé e della propria «miopia», che corre alla ricerca di una verità che non vuole. Stasi (la accorta Elisabetta Piccolomini) ha il privilegio di essere e avere quello che l'altra desidera senza possedere. Su tutti e tre, domina l'angoscia di un pessimismo e una disperazione che si fa parola, di teatro e di racconto. E viene davvero voglia di rileggere Ingeborg Bachmann, per cercare un confronto con la sua scrittura, dopo la compulsiva maestria di Giorgio Marini.

Gianfranco Capitta

«Occhi felici» della Bachmann nello straordinario allestimento di Giorgio Marini

Nel mondo sdoppiato di Miranda

Dopo tredici anni Giorgio Marini torna dal teatro lirico a quello di prosa. Vi torna con uno spettacolo straordinario, Occhi felici, tratto da un racconto del 1972 di Ingeborg Bachmann. È la prima parte di un progetto triennale del Florian di Pescara sul tema delle ombre, del doppio: un tema caro a Marini che mise in scena Doppio sogno di Schnitzler in un altro memorabile spettacolo del 1982. Per la protagonista Miranda il mondo è oscillante. Esso, sempre si doppia. In lei sommandosi e crescendo miopia e astigmatismo, vi è un costante bisogno di occhiali nuovi. Se gli occhiali non vi sono, o se debbono essere cambiati (debbono spesso essere cambiati), Miranda viaggia al buio. Vienna è la sua città e Josef è «l' unico mondo dove lei si sente a suo agio». Ma Miranda «si stupisce come gli altri uomini riescano a sopportare quotidianamente le cose che vedono e che sono costretti a vedere». Per lei il mondo è «l' inferno, il cui orrore non è mai cessato». Preconizzando l' orrore, dopo la seconda volta che Josef esce con la sua amica Stasi, Miranda quasi favorisce la nuova relazione: il mondo si sdoppia fino al punto che Stasi diventerà un perfetto alter ego di Miranda, cioè ne prenderà il posto nel cuore di Josef. Di fronte allo spettacolo di Marini il problema che si pone è in che cosa egli abbia trasformato lo struggente conte moral della Bachmann. Che Occhi felici tale sia («Tieni d' occhio il tuo bene» ammonisce il racconto in clausola), non vi sono dubbi. Da una parte vi è il mondo, che è quale appare, ovvero dispare, a Miranda, il mondo in cui lo stesso Josef, il traditore, pensa che «ancora oggi si fanno delle esecuzioni capitali, e questa non è niente altro che una esecuzione, perché tutto quello che faccio è un misfatto, ma i fatti sono appunto i misfatti». Dall' altro vi è la vittima, il «candido angelo» di Josef: «Tenero è tutto in Miranda, dalla voce fino ai piedi incerti, ivi compresa la sua funzione nel mondo. Che dovrebbe essere la tenerezza tout court». Non diceva Roberto Rossellini che la tenerezza è una posizione morale? Essa, nel racconto della scrittrice austriaca, si manifesta in una forma tipicamente moderna, avviluppandosi, in modo vertiginoso scavando in se stessa e nel mondo che le è antagonista. Ma il monologo interiore, questa sua particolare variante, come può essere trasferito sulla scena? Di fatto, Marini non trasforma il racconto in un copione ma in una doppia partitura, musicale e coreografica. Nel foyer ve ne è la prova in bacheca, un esempio della scrittura del regista disposta sul pentagramma. Tale scrittura, fedele a quella d' origine fino alle virgole, la sgrana, la sminuzza lasciando che sempre se ne crei una riverberazione, un' eco: il tema della ripetizione (del doppio) vi è così riflesso, secondo una linea di impercettibili sfasature, sia nel senso sonoro che nel senso visivo. È come se il Concerto per violino di Alban Berg si mutasse in Sonata da camera di Salvatore Sciarrino, per citare un autore spesso messo in scena da Marini. La radicale atonalità dello spettacolo che si chiama come il racconto della Bachmann ne estremizza l' angoscia, il senso dell' indefinibile attesa di un compimento comunque drammatico. Che poi tutto ciò avvenga nel buio, ovvero in ridotti quadri di luce (vi sono 170 cambi-luce in 90 minuti), appartiene alla grammatica iperbolica e sontuosa dell' avanguardia nata negli anni Settanta, quella che sfidò il cinema sul suo stesso terreno. Vi sono immagini di un nitore cesellato fino allo spasimo, e vi sono i sincronici movimenti dei tre attori, perfetti, cioè flessibili, oppure inflessibili, come gli strumenti di un trio, soprano, violoncello e piano: Emanuele Carucci Viterbi, Elisabetta Piccolomini, Anna Paola Vellaccio.

Franco Cordelli

Uno strano triangolo in cui tutto è dubbio

Dopo 13 anni di esilio dorato nella lirica Giorgio Marini torna alla prosa con la complicità del Florian di Pescara che gli ha commissionato un progetto triennale sul tema del doppio di cui Occhi felici, tratto da una novella di Ingeborg Bachman, è il primo, riuscitissimo tassello. E ritorna con un racconto che gli ha consigliato nel ’73, un anno prima della sua tragica morte, la stessa scrittrice austriaca; quasi per riallacciare i fili con il suo apprendistato nel fertile terreno della scuola romana del Teatro d’Immagine, naturalmente arricchito dalle successive esperienze. Occhi felici arriva carico di ricordi inzuppati nel cinema della Nouvelle Vague, soprattutto il Resnais di Marienbad, nelle doppie e triplici partiture di Bob Wilson, nel montaggio musicale delle scene scandite come fotogrammi dal prezioso disegno luci di Vincenzo Rapponi.
In un’atmosfera viennese retrò, assistiamo al girotondo di tre personaggi, un uomo e due donne, racconatato attraverso la patologica miopia della protagonista, Miranda (Anna Paola Vellaccio).  Tutto è dubbio: forse è un ménage a tre; forse l’uomo la sta tradendo con l’amica (Elisabetta Piccolomini); forse è lei a spingerlo nelle sue braccia. O forse loro, le donne, sono tutte e due frutto dell’immaginazione dell’uomo (Emanuele C. Viterbi), che nel finale appare come il solo, unico spettatore. Ma forse quello spettatore è il regista, Giorgio Marini.

Nico Garrone

Ultima modifica il Sabato, 21 Settembre 2013 07:38

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