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PAPÀ, SEI DI TROPPO - regia Mario Mattia Giorgetti

Mario Mattia Giorgetti e Vincenzo Bocciarelli in "Papà, sei di troppo", regia Mario Mattia Giorgetti Mario Mattia Giorgetti e Vincenzo Bocciarelli in "Papà, sei di troppo", regia Mario Mattia Giorgetti

di Yannis Hott
Regia: Mario Mattia Giorgetti
con Mario Mattia Giorgetti e Vincenzo Bocciarelli
Roma, Teatro Tordinona dal 5 al 15 novembre 2016

www.Sipario.it, 20 nov 2016
www.Sipario.it, 13 nov 2016
www.Sipario.it, 13 nov 2016
Non si attarda in preamboli, non conosce prologo questo impietoso, indignato dramma futuribile dello statunitense (di lingua italiana) Yanis Hott, permeato di incubi e distopie che sembrano assimilare l'universo beckettiano a quello più incombente ed ineludibile di Bradbury, Dick, Asimov -ed altri campioni (lungimiranti come Tiresia) della fantascienza 'dark', ove lo spazio vitale dell'essenza, della dignità umana si immaginano coatti ed implosi a solo vantaggio di un Potere prensile, o grande Fratello, che tutto sorveglia, intuisce, perlustra e previene. Come in quella sorta di editto- che è fulcro dell'ipotesi drammaturgica- che impedisce agli anziani di "andare oltre una certa età", specie se non più "cittadini produttivi e consumatori di beni diffusi": a maggior gloria di un (attualissimo) imperativo capital-finanziario che trasforma il cittadino in suddito, il libero arbitrio in pensiero unico, la scelta di "ciò che serve" in imposizione subliminale, pubblicitaria di "ciò che impone la strategia del mercato globalizzato" Ed essendo dispendioso, "disdicevole" (poco elegante?) occuparsi della soppressione degli individui "in esubero", toccherà ai figli doversi occupare della soppressione dei genitori. Avendo il nuovo, spettrale Ordine Dispotico predisposto ad anestetizzare ogni istinto di pietas, di affettività, di solidarietà fra simili. Né più né meno come, nel teatro ellenico, già si profilava sin dai tempi di Creonte e dell'erioina Antigone. Contro cui dovrà arrendersi l'empietà della tirannide, le cui trame si ribalteranno in sciagura e vana espiazione d'una intera stirpe.

Gli ultimi incontri fra l'anziano genitore (che Mario Mattia Giorgetti rende con alta austerità da antico testamento, quasi un'antitesi del mito di Abramo) e dell'impaurito, fibrillante figliolo (che Vincenzo Bocciarelli affronta con l'energia e lo smarrimento di un Isacco inorridito e braccato, sino alla perdita di ogni libido e desiderio vitale) partecipano di un'umanissima, "eroica resistenza" che nega sparizione e sottomissione all'irrazionalità di un incubo. Qui metabolizzato (egregiamente) in serrati dialoghi, brevi stacchi temporali e fervido rinnovarsi di un'insubordinazione geniale ed inter.generazionale.

Non solo in nome della consanguineità, ma nella più ampia accezione di un'esistenza "che è meglio perdere" piuttosto che consegnare alle mille teste di un'Idra di Lerna (e poi Leviatano) che rinasce a se stessa, evo dopo evo.
Sobrio, dialettico, scandito per incalzanti sequenze "Papà, sei di troppo" (detto così, quasi con tono da commedia americana) suona quasi anaforetico rispetto alla gravità della sua materia. Che sbaglieremmo a classificare 'apocalittica', poiché, qui e adesso, la realtà fattuale (geopolitica, genocidica, non solo in Medio Oriente) supera –in presa diretta- l'immaginazione della scrittura drammaturgica e letteraria.

Angelo Pizzuto

Benvenuti nel nostro orribile futuro

In un futuro non lontano il Padre (Giorgetti) vive recluso in un bunker, dove il Figlio (Bocciarelli) lo ha nascosto: il Governo ha, infatti, deciso che nessuno può vivere oltre ai 70 anni e che, nel caso, saranno i figli a dover eliminare i padri anziani. Il Figlio (spaventato dalle conseguenze che subirebbe se il Padre ultrasettantenne venisse scoperto) cerca di convincerlo a morire ma lui è irremovibile; da vecchio rivoluzionario lo incita, anzi, e ribellarsi; il futuro che si prospetta al giovane non è certo roseo: un lavoro sottopagato in un call-center, un matrimonio con l'obbligo di mettere al mondo tre figli - pena pesanti multe - e nessuna prospettiva di miglioramento. Rimasto solo il Padre colloca su dodici sedie, idealmente, i suoi amici e compagni di lotta (evidentemente, tutti eliminati per ragioni d'età), simbolizzati da quadri rappresentanti i diversi giochi d'azzardo con i quali ciascuno aveva allegramente sperperato la propria vita e si addormenta. Il Figlio, disperato perché il regime lo pressa e vuole prove tangibili della morte dell'anziano, di notte va nel bunker per ucciderlo ma non trova l'arma adatta (e il coraggio). Le sue manovre svegliano il Padre e, in un duro confronto, il ragazzo gli confessa di essere impotente, accusandolo di essere lui, con la sua prorompente vitalità e virilità, la causa della sua menomazione. Rimasto di nuovo solo, il Padre volta i quadri e, dietro ad ognuno, appare uno dei dodici apostoli. In una sorta di Ultima Cena laica, l'uomo si avvelena e il Figlio, che era tornato con un revolver, colpito dall'orrore della situazione decide di rivolgere l'arma contro il Potere.
Yannis Holt è una vecchia conoscenza di questa testata e i suoi lettori sanno che la sua scrittura è spesso permeata da un'idea di solitudine, in parte di dichiarata derivazione beckettiana (il suo Quando usciremo è una sorta di sequel di Aspettando Godot) ma molto permeata di impegno civile. Papà sei di troppo, in particolare, è riconducibile al filone "distopico", cioè all'immaginario di un futuro angoscioso; il genere ha precedenti illustri: si va dalla Modesta proposta di Swift, a La macchina del tempo di Wells, a Il nuovo mondo di Huxley, a 1984 di Orwell e a Fahrenheit 451 di Bradbury. In questi anni poi la letteratura e il cinema popolare hanno dato grande vigore alle previsioni spettacolari di un futuro invivibile, basti pensare ai serial letterari e cinematografici Hunger games, Divergent e Maze runner; in fondo, proprio con questi la pièce di Holt ha almeno un punto in comune: la tirannia del domani prossimo venturo sarà (forse) sconfitta dalla ribellione dei giovani. Come rendere però un tema così ampio nello strettissimo spazio di un teatro? E qui viene fuori la genialità ed il mestiere di Giorgetti (è un po' imbarazzante scriverlo in questa sede ma è così): lui, sfruttando anche i buchi e gli appesantimenti di un testo apocalittico, si è cucito addosso un Padre ingombrante e tenero e ha lasciato al bravo Bocciarelli gli spazi per portare con lievità e convinzione (lo abbiamo visto piangere in scena) il Figlio sopra e sotto le righe. La povertà della scena è poi, ad un tempo, necessitata e voluta. Insomma: è Teatro.

Antonio Ferraro

Al Teatro Tordinona, Yannis Hott con Papà, sei di troppo, sorprende pubblico e critici romani

Yannis Hott, dopo un interessante ciclo di letture dei suoi testi, interpretati dagli attori della compagnia "La Contemporanea" allo Spazio Arlecchino Casas di Montemurlo di Prato, è approdato a Roma, al Teatro Tordinona, sorprendendo pubblico e critici con la sua ultima opera Papà, sei di troppo, con protagonisti Vincenzo Bocciarelli e Mario Mattia Giorgetti, che ha curato anche la regia.
Il testo affronta con un linguaggio ironico-grottesco un tema di grande attualità, che in un prossimo futuro potrebbe anche diventare realtà: sopprimere i vecchi oltre i settant'anni da parte di uno Stato despota, votato al capitalismo globale, poiché improduttivi e dispendiosi per il loro mantenimento; e, infine, per dare spazio ai giovani nel lavoro e abbattere la concorrenza degli altri Stati.
Lo scontro tra un Padre e un Figlio, figure simbolo della famiglia, si fa cruento, tanto che il figlio obbliga il Padre a vivere in uno scantinato per nasconderlo alle Autorità preposte al controllo degli anziani, e non sa come fare per sopprimerlo per guadagnarsi così un posto di lavoro in un call center, spinto a vendere di tutto.
In questo clima emergono molti temi che stanno a cuore all'autore: come sopravvivere alla solitudine, l'amore per la vita, lasciare in eredità ai giovani il sapere dei vecchi, preservare la memoria come frutto della nostra esistenza.
L'interpretazione dei due attori è stata emozionante e coinvolgente, seguita dai numerosi applausi elargiti dal pubblico.
Lo spettacolo, replicato per oltre quindici giorni nel mese di novembre, ha indotto il pubblico ad intrattenersi con gli attori per un libero dibattito, tanto era l'entusiasmo per i temi sollevati.
Si prevedono nel corso delle prossime stagioni molte repliche sul territorio nazionale, ma anche nei festival internazionali visto il tema affrontato.

D.G.

 

Ultima modifica il Domenica, 20 Novembre 2016 21:11

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