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PLEASE, COME! / FLUX

FATTORIA VITTADONI. Foto Riccardo Panozzo FATTORIA VITTADONI. Foto Riccardo Panozzo

PLEASE, COME! 
prima nazionale
Di e con Chiara Ameglio
Collaborazione artistica Santi Crispo
Musiche KeepingFaka. Luci Fabio Bozzetta
Produzione Fattoria Vittadini. Coproduzione Fondazione Luzzati Teatro della Tosse - Festival Danza in Rete

FLUX
A Production of Fattoria Vittadini
In collaboration with Scuola Mohole
Creative Director & Performer Maura Di Vietri
Music by Luca Maria Baldini
Programmer Alessandro Pregnolato
Project Manager Enrica Paltrinieri
Project Coordinators | Art Directors - Elena Accenti | Giulia Ferrando | Alessandro Galimberti | Enrica Paltrinieri
Progetto finanziato nell’ambito del PNRR– Next Generation EU

Visti al Teatro della Tosse di Genova, nell'ambito della Rassegna di teatro danza Resistere e Creare il 21 dicembre 2023

www.Sipario.it, 23 dicembre 2023

Come la mente non coincide con il cervello, essendo essa metafisicamente più di un semplice sistema di connessioni neuronali, così l'individuo non si esaurisce nel suo corpo che è in effetti come una sorta di abito che si trova ad indossare casualmente, talvolta anche poco o punto riconoscibile e riconosciuto

È in fondo, il corpo, la sua apparenza nel mondo, e lo sappiamo quanto dell'apparenza, e della sua volubilità e deformabilità, è intrisa la dimensione umana, dalle sue espressioni popolarmente proverbiali alle indagini psicologiche e sociologiche sull'io, sulla conoscenza e sulla consapevolezza dell'identità; in questa sottile differenza si insinua e si esercita l'anima, etimologicamente ἄνεμος , soffio senza apparente dimensione.

Please, come!, lo spettacolo della compagnia milanese Fattoria Vittadini, di questa sottile differenza parla, io credo, mettendo sulla scena e metaforicamente denudando un corpo che danza, agitandosi e contorcendosi fin quasi nella trance, forse per tentare di espellere l'anima che ospita e custodice, ma insieme ad esso anche l'anima stessa che si divincola per liberarsi, anche se entrambe sanno di non poter 'essere' nel mondo l'uno senza l'altra e l'altra senza l'uno.

Solo quando questo esserci inevitabilmente insieme nel mondo si separa allora ognuno uno prende la strada della morte che entrambi riguarda, anche se dentro il per ciascuno differente mistero gnostico, e ora anche quantistico, che universalmente ci circonda oltre il confine di quello stesso mondo.

Antonin Artuad fu il primo a capire tutto questo, o forse solo a capirlo più profondamente di altri, e a cercare di rappresentarlo nel e con il suo teatro 'impossibile', così da precipitarvisi fino all'abbandono nella follia.

In questo spettacolo, in prima nazionale al Teatro della Tosse di Genova nell'ambito del Festival di Danza “Resistere e Creare” (era l'ultimo titolo in rassegna), la performer Chiara Ameglio utilizza nella sua ricerca la metafora della schiavitù, intesa quasi come precipitato storico (drammaticamente storico ancora oggi) di quella più generale condizione umana che, fuor di metaforici paradisi, ci condiziona, appunto, e ci limita e a cui dunque vorremmo ribellarci.

La scena è una sorta di ring, il cubo bidimensionale di molta cinematografia nera, chiuso dentro confini luminosi e invalicabili; in esso la performer sembra tutt'uno con il ritmo battente della musica che la incalza, fusa in essa tanto da non poter discernere tra la figuratività della danza e la significatività della musica, anch'essa un soffio che si trasfigura in suono.

Il suo corpo così si fa più che iconico, si mostra paradigma di sé e di noi, mentre ogni suo muscolo in armonica risonanza erutta in rapida e incostante trasparenza quell'unico legame, irriducibile essenza dell'umano, con ogni universo fisico o metafisico.

Come il suo corpo si fa più sottile, l'atmosfera intorno a noi si fa man mano sempre più trasparente e anche l'oscurità che incombe e talvolta invade la scena trasla paradossalmente in luminosità diversa e possibile, in cui i nostri occhi cercano disperatamente di riconoscerla.

La luce della libertà empaticamente attesa tra platea e palcoscenico tenta infine di traboccare finalmente oltre i reciproci confini, come una cascata che spezza le catene, come la parola che infine prende il suo giusto spazio ed il suo tempo.

Quale cresta dell'onda che suscita, la parola drammaturgica, icastica e significativa di una condizione di incertezza e sofferenza che sembra soffocarci, tra nuove epidemie, guerre e violente diseguaglianze, porta così alla luce del pensiero coerente ciò che abbiamo 'sentito' muoversi nella danza del corpo e nella musica che l'ha accompagnata.

Chiara Ameglio, che conferma le sue indubbie doti capaci di andare oltre la semplice 'tecnica' della coreografia e della performance, costruisce così uno spettacolo di grande tensione emotiva, ma non solo, questo è infatti uno spettacolo che mostra anche una profonda tensione metafisica cercando oltre il mondo newtoniano in cui ci troviamo a vivere.

Quasi ad esergo dello spettacolo, o a sua indicativa notazione, lo stesso è stato preceduto da una performance visuale nella cosiddetta 'realtà incrementata' di 5 minuti, fruibile attraverso il visore VR ovviamente da un solo spettatore alla volta.

Flux, questo il titolo, è una immersione in un ambiente zoomorfo in transito verso il contesto antropomorfo, quasi a sintetizzare il processo di trasformazione che dalla Natura conduce alla Storia, all'origine dell'umanità che indaga e può così farsi testimone di ciò da cui è generata, in un incontro, che la sua creatrice Maura Di Vietri definisce antidogmatico, tra musica, danza, poesia, teatro e arti visive.

L'insieme a costituire un evento teatrale di raro respiro, una scelta efficace ancora una volta della Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse e del suo Festival “Resistere e Creare”, in prima nazionale alla Sala Trionfo. Forse penalizzato dalla data pre-natalizia avrebbe meritato dalla città un pubblico ancor più numeroso, che comunque ha a lungo e giustamente applaudito.

Maria Dolores Pesce

Ultima modifica il Lunedì, 01 Gennaio 2024 19:02

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