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PAESAGGIO CON FRATELLO ROTTO - regia Cesare Ronconi

Paesaggio con fratello rotto Paesaggio con fratello rotto Regia Cesare Ronconi

Trilogia: Fango che diventa luce, Canto di ferro, A chi resta
regia e luci: Cesare Ronconi
parole di Mariangela Gualtieri
con Marianna Andrigo, Vanessa Bissiri, Silvia Calderoni, Leonardo Delogu, Elisabetta Ferrari, Dario Giovannini, Gaetano Liberti, Muna Mussie, Vincenzo Schino, Florent Vaudatin
musiche dal vivo: Dario Giovannini
campionamenti: Aidoru e Paolo Aralla
scene: Stefano Cortesi
produzione Teatro della Valdoca, al Teatro out Off (Milano) 2007

www.Sipario.it, 2007

«Che cosa diremo a quelli che nascono ora?/Che scusa troviamo/per questo disastro umano?» è l’interrogativo che apre la prima parte di Paesaggio con fratello rotto, un interrogativo che dà il via ad un viaggio nella bellezza e nella poesia in cerca di una resurrezione impossibile, di un senso inafferrabile da dare ad un vivere allo sbando. La soluzione? Forse nel finale «Chiedimi un dono/ Che diano e ricevano felicità/ Chiedimi ancora un dono/ Che la felicità non muti, che sia perfetta./ Sia così!». Cesare Ronconi, metteur en scène, e le parole poetiche di Mariangela Gualtieri, insieme ai flessuosi ragazzi del Teatro della Valdoca –veri strumenti poetici al servizio della scena - aggiungono un tassello importante alla coerenza estetica della loro ricerca e si sforzano di proporre un teatro che ponga degli interrogativi più che dare risposte, che mostri più che raccontare, un teatro che vuole essere epifania del pensiero che gli artisti della Valdoca hanno sul e del mondo. La trilogia di Paesaggio con fratello rotto conferma l’estetica barocca e postmoderna di cesare Ronconi in cui i segni si accumulano senza soluzione di continuità, in un controllato e ragionato mettere carne sul fuoco della metafora. Paesaggio con fratello rotto è un inno al dolore e all’angoscia che circonda i nostri giorni, un inno che si compone di riferimenti alla ritualità del tragos, che viaggia nelle seduzioni orientali di un paesaggio nipponico che non chiede di essere interpretato, ma è lì a testimoniare un modo altro di intendere il mondo. I corpi dei giovani attori sono corpi offesi, martoriati, la sessualità è indefinita. Il bianco della morte finisce col collimare col bianco abbacinante di una scena che è un tableau vivant in cui l’occhio dello spettatore si perde affamato di bellezza. E’ difficile e francamente inutile descrivere lo spettacolo, i movimenti di quegli attori che stanno a metà strada fra clown tristi e esseri mutanti di un presente post-atomico. E’ inutile volersi attardare sulla spiegazione dei simboli messi in campo, perché ciò vorrebbe dire togliere magia ad uno spettacolo che nella sovrabbondanza delle immagini e dei toni non si vuole chiudere a sterili spiegazioni, ma proprio nella sovrabbondanza rincorre la magia dell’indefinibile. Per il Teatro della Valdoca affidarsi al simbolico vuol dire aprire la porta sulla sfida del senso e del significato. Ciò detto, Cesare Ronconi e Mariangela Gualtieri descrivono comunque il nostro presente, meglio la prigionia senza via di scampo del tempo che viviamo. «Venite a prendervi/ questo pezzo di nostro cuore/ e tenetelo caro, come un amuleto/ contro la barbarie che avanza,/così alla moda,/così furba». Ed è quel donarsi finale che si compone in una citazione pittorica delle pale d’altare del Quattrocento in cui emerge l’immobile felicità di un attimo che è bello, estatico. Senza morale, senza voler rendere esplicita la speranza di quel Paesaggio con fratello rotto, alla fine di fronte alla disperazione di un mondo di non umani e di solitaria angoscia sembra che il donarsi sia la soluzione alla barbarie che avanza… Un’ipotesi, questa che nulla toglie al fascino estetico di cui il Teatro della Valdoca nutre i propri sogni e il proprio modo di intendere l’arte interrogante della scena.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Martedì, 24 Settembre 2013 07:51

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