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PANTANI - regia Marco Martinelli

Pantani Pantani Regia Marco Martinelli

di Marco Martinelli
Ideazione di Marco Martinelli e Ermanna Montanari
Con Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Ermanna Montanari, Francesco Mormino, Laura Redaelli, Pino Roncucci (in video)
Regia Marco Martinelli
Ideazione spazio scenico Alessandro Panzavolta – Ortographe
Montaggio ed elaborazione video Alessandro e Francesco Tedde – Black Box Film
Fisarmonica e composizione musicale Simone Zanchini
Tecnico luci e video Francesco Catacchio, Tecnico suono Fagio
Produzione Teatro delle Albe
Genova, Teatro Duse 17 dicembre 2013
In scena al Teatro Duse fino a venerdì 20 dicembre 2013

www.Sipario.it, 16 dicembre 2013
Marco Pantani, prima di diventare un'icona del ciclismo italiano, era un ragazzo di Cesenatico, e non stupisce che sia una compagnia che viene dalla sua Romagna ad omaggiarlo. Da circa un anno, il Teatro delle Albe di Ravenna porta in scena Pantani, un'ode civile di dimensioni epiche, quanto le imprese del Pirata.

La scena è essenziale: un divano, un tavolino, una calla bianca dentro a un vaso. Il palco è tutto per i personaggi che raccontano, ognuno coi propri occhi, frammenti di vita del campione: i genitori Tonina (Ermanna Montanari) e Paolo (Luigi Dadina) ci fanno scoprire un Marco bambino, cresciuto a piadine e tortelli, che si innamora della bicicletta da piccolo e coltiva la sua passione con tenacia, improvvisando catene per le ruote per andare sul ghiaccio e costringendo il padre a modificare con sega e trapano una vecchia bici, che è troppo alta e pesante.

Il carattere di Pantani è come quello della sua terra, genuino, schietto, ruvido. Una terra dai nomi bizzarri, come il nonno Sotèro che gli regala la prima bici da corsa, e dai gesti istrionici, come quando, per la premiazione del Tour de France del 1998, fa tingere di giallo i capelli ai compagni di squadra e fa mettere loro l'orecchino. Pantani è il corridore che non piange mai, "solo quando mi entra lo shampoo negli occhi". È il momento del successo: il Pirata è l'atleta che ridà al ciclismo il lustro dei tempi d'oro di Coppi e Bartali, che ci mette il cuore nella salita, che è capace di stupire, di realizzare la grande impresa, che fa aprire le braccia in segno di resa agli avversari che si lascia alle spalle.

Quattro giovani interpreti formano il coro che si raccoglie intorno all'eroe e danno voce all'entourage del campione ricordando le vittorie, gli incidenti, le sconfitte, le calunnie, la discesa agli inferi. Il giornalista francese (Francesco Mormino) ripercorre, dietro ad un leggìo, il calvario giudiziario che travolge Pantani da quel 5 giugno 1999 quando, a Madonna di Campiglio, viene squalificato dal Giro d'Italia per un valore di ematocrito fuori dai limiti consentiti dal Coni. "Quella mattina a Campiglio, la Madonna non c'era" ebbe a dire il campione.

Martinelli propone un excursus rigoroso delle tappe che portano Pantani al tracollo: l'accusa mediatica prima ancora che giudiziaria; la cospirazione testimoniata dalla lettera di Renato Vallanzasca indirizzata a Tonina, in cui viene alla luce la volontà di eliminare Marco dal Giro, (notizia che alimentava le scommesse clandestine); l'ira furiosa che lo porta a segare in due la bicicletta quando si sente gridare "dopato!" nella sua Cesenatico che prima lo adorava come un dio; la depressione; l'abuso di cocaina, la morte a 34 anni per overdose il 14 febbraio 2004 nel residence "Le rose" di Rimini.

Tuttora nel nostro immaginario, alimentato dai giornali e dalle chiacchiere da bar, Pantani resta "il dopato", la lettera scarlatta non si cancella dalle maglie rosa e gialle vinte in anni di corse leggendarie, anche dopo la sentenza che, pochi mesi prima della morte, lo scagiona dall'accusa di frode sportiva. Il verdetto positivo non fa audience. La necessità del capro espiatorio su cui riversare le nostre colpe e le nostre paure è più forte della verità.

Ci pensa il teatro, nella sua funzione primigenia, a riportare alla luce le storie che dimentichiamo, a sbattercele in faccia, in tutta la loro forza drammatica. In tre ore e un quarto di spettacolo non ci si perde nulla: la voce insieme potente e fragile di Tonina, la presenza rocciosa di Paolo, i numeri e le date del processo, i canti romagnoli che accompagnano le voci narranti come un presagio di morte, le immagini delle volate del campione quando si alzava sui pedali e aggrediva la montagna. Solo, come ogni eroe davanti al proprio destino.
Pantani è una pièce che emoziona e indigna, che ci costringe a riflettere sulla meschinità di "un'Italia fondata sullo sport".

Marianna Norese

 

Ultima modifica il Domenica, 29 Dicembre 2013 00:26

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