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QUEI DUE, IL SOTTOSCALA - regia Roberto Valerio

Tullio Soleggi e Massimo Dapporto in "Quei due, il sottoscala", regia Roberto Valerio Tullio Soleggi e Massimo Dapporto in "Quei due, il sottoscala", regia Roberto Valerio

di Charles Dyer   
adattamento Massimo Dapporto 
Interpreti: Tullio Solenghi, Massimo Dapporto 
scene Massimo Bellando Randone 
costumi Moris Verdiani
musiche Brentmont 
regia Roberto Valerio
Prodotto da Angelo Tumminelli per Star Dust Show Productions
Teatro Quirino Roma dal 7 al 25 marzo  
Teatro  Manzoni Milano  dal 14 al 19 aprile
In ripresa autunnale

www.Sipario.it, 28 aprile 2017

L' "amore necessario" di Charlie e di Harry

Dopo una certa età anagrafica (a ciascuno la sua), qualche lustro dopo l'indeterminato "mezzo del cammin" (a ciascuno il suo), due solitudini che si puntellano reciprocamente, due nevrosi (già collaudate) che imparano a integrarsi, solidarizzare, accudirsi  rischiano di farsi paradigmatiche e tenerissime: sfondando il muro dello spazio e del tempo per elevarsi a paradossale, misericordioso modello pedagogico.  Lungo e circostanziato, quindi, potrebbe essere (anzi è) il curriculum scenico - con varianti cinematografiche- della commedia di Charles Dyer, scritta nel 1966, con il titolo originale Staircase.
Pièce dichiaratamente  autobiografica rappresentata la prima volta dalla Royal Shakespeare Company con Paul Scofield e Patrick Magee protagonisti. E presto importata sui palcoscenici italiani (stagione '67\'68)  per un'edizione storica (priva purtroppo di ripresa televisiva) padroneggiata alla grande da un tandem di 'storici' interpreti quali Paolo Stoppa e Renzo Ricci.  A seguire poi, altre versione, tutte godibilissime, come quelle con Paolo Ferrari, Vittorio Caprioli, Alessandro Haber, Vittorio Viviani e degni veterani del trasformismo introspettivo.
Sappiamo, inoltre, che il successo internazionale di Quei due fu tale da non potere non coinvolgere Hollywood – dove nel 1969  Stanley Donnen diresse Richard Burton e Rex Harrison in un'agrodolce commedia dei sentimenti e delle convenzioni sociali (da stigmatizzare), in uno dei primi titoli ascrivibili, di diritto, alla filmografia di tematica omosessuale. E di implicita insofferenza verso ogni forma di discriminazione omofobica.
Condizione  per la quale indugiarono, traccheggiarono, gettandola in burla, persino autori "progressisti" e "liberal" del valore di Billy Wilder e Neil Simon (dai femminei, leggiadri travestimenti di "A qualcuno piace caldo" sino alle allusive idiosincrasie de "La strana coppia"), indubbiamente censurati dal bigottismo dei tempi e dalla semplice constatazione che narrare, argomentare, dipanare lo status della "diversità" a   Beverly Hills, e in quasi tutti gli States, era "come sfondare porte aperte", ma allo stesso tempo denudare  innominabili segreti cui lo star system (pensate a Hudson, Clift, allo stesso James Dean) non  osava esporsi, nell'universale perbenismo dei "vizi privati e delle pubbliche virtù" – regolarmente esportati nei paesi del Patto Atlantico  (per gran sollazzo dell'Italia codina, da avanspettacolo).
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Con adeguate sfumature e chiaroscuri incastonati nell'ambito della battaglia per i diritti civili e universali, a  contesto socio-affettivo del vecchio copione, anche la messinscena odierna, ben amalgamata dalla regia  Roberto Valerio (mirante innanzi tutto sull' 'appeal' di due attori di razza come Dapporto e Solenghi), lascia che l'ambientazione dello spettacolo resti invariata per tutti e  due gli atti, come a martellarne l'allegoria claustrale e claustro-asfissiante.
Dislocando così "Quei due" nel bigio sottoscala d'una bottega di barbieri ("due poltrone girevoli, due specchi illuminati contornati da lampadine come quelli nei camerini delle star") ove Charlie vanta un passato di  "divo e glorioso attore" (nonché, una figlia di vent'anni, "errore di gioventù" che si accinge a riabbracciare:  particolare poi rinverdito  da Il vizietto di Edouard Molinarò nel 1980) ed  Harry, nel ruolo di stizzita coniuge, sfoggia un immenso turbante  poiché afflitto da incipiente calvizie e, più in generale, inorridito dall'invecchiamento del proprio corpo, educato al culto di ua bellezza kitsch e debordante.
Conviventi e malmostosi, logorati da un lungo rapporto che è tutto un crescendo di rimostranze, gelosie (pregresse e preventive), scenate e sotterfugi, Solenghi e Dapporto (in solidale e sorvegliata performance)  "umanizzano" una commedia che slitta, per sua natura, nei porticcioli del grottesco e della pochade. Senza tuttavia rinunciare alla sua leggiadra, confortevole porporina di comprensione umana e umanitaria, donde sono banditi gli slittamenti nel ridicolo e nel ridanciano.
Anzi, restituendo alle umane miserie di ogni 'vita-a-due' la dignità di un legame imprescindibile e inscindibile: non solo per abitudine, sottomissioni reciproche, timore della solitudine. Ma per maturata accettazione di se stessi e dei propri limiti. Erga omnes ed a prescindere da gusti, tendenze, velleità tardo-priapesche. Manuale di (intermittenze e) sopravvivenza cardiaca, di "amore necessario" per capitolazioni over 'quella certa età'? Ebbene sì,  ed è bene tenerne conto.

Angelo Pizzuto

Ultima modifica il Venerdì, 28 Aprile 2017 09:48

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