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RIGENERAZIONE (LA) - regia Antonio Calenda

La rigenerazione La rigenerazione Regia Antonio Calenda

di Italo Svevo
regia: Antonio Calenda
scene: Pier Paolo Bisleri
con Gianrico Tedeschi, Lidia Kozlovich, Sveva Tedeschi, Carlo Ferreri, Zita Fusco
Latina, Teatro Comunale, 15 e 16 marzo 2008

Il Mattino, 13 dicembre 2008
Corriere della Sera, 16 marzo 2008
Avvenire, 19 gennaio 2007
La Provincia Pavese, 14 gennaio 2007
Corriere della Sera, 13 gennaio 2007
Svevo, Tedeschi e il sogno proibito della gioventù

Come sappiamo, Svevo lasciò l'impiego presso la banca Union ed entrò a far parte del colorificio dei suoceri nel maggio del 1899, tre anni dopo il matrimonio con la cugina Livia Veneziani. E già il 2 ottobre successivo annotava nel suo diario intimo: «Fuori della penna non c'è salvezza». In breve, lo scrittore triestino individuava nella letteratura l'unica possibilità di sfuggire all'integrazione nella borghesia e di non restare prigioniero dei meccanismi capitalistici. Ma questo, evidentemente, era solo un sogno, uno dei molti di cui - come Svevo annotò, sempre nel diario, il 10 gennaio 1906 - fu «piena» la sua vita «troppo corta». Dunque, Giovanni Chierici - il protagonista settantaseienne de «La rigenerazione», l'ultima e probabilmente la migliore commedia di Svevo, datata 1927-'28 e presentata ora al Bellini dallo Stabile del Friuli-Venezia Giulia e dalla compagnia Artisti Associati - si rivela come un parente stretto di Zeno Cosini: poiché ha in comune con lui non solo la condizione di commerciante agiato, ma anche e soprattutto la «malattia», l'inettitudine alla vita. E cerca di guarirne per l'appunto attraverso un sogno, che «riscriva» la vita allo stesso modo della letteratura. Infatti, Giovanni tenta, mediante un'operazione, di ringiovanire. E ci riesce. Ma per trovarsi prigioniero, stavolta, di un «disordine tardivo» che lo spingerà a rientrare precipitosamente nella routine da cui aveva voluto affrancarsi: con il corollario, manco a dirlo, dell'ennesimo sogno finale, che lo vede impegnato a trasferire la ritrovata vitalità dai tentativi di sedurre la serva Rita e dal proposito di risposarsi con l'antica fiamma Pauletta all'idillica coltivazione della terra. Ebbene, rispetto a tutto questo, e nel solco dell'adattamento di Nicola Fano, la regia di Antonio Calenda appare piuttosto contraddittoria, oscillando fra invenzioni pertinenti (vedi lo scarto fra il realismo minuto della Rita che lava il pavimento con tanto di secchio, straccio e spazzola e la scena astratta di Pier Paolo Bisleri) ed altre (vedi la battuta: «Umbertino dalla sarta? Con la testa sfracellata?») che attengono solo a una comicità di superficie, facile come gli echi pirandelliani disseminati qua e là. In fondo, lo spettacolo è Gianrico Tedeschi: a 88 anni suonati, offre, nei panni di Giovanni Chierici, un'incomparabile - e addirittura miracolosa - lezione di stile, tecnica e misura. Ed è ovvio, il contesto risulta molto più ordinario. Si distingue Fulvio Falzarano nel ruolo di Biggioni.

Enrico Fiore

La vecchiaia di Svevo, Tedeschi mattatore

Un grande autore, Italo Svevo, e un grande attore, Gianrico Tedeschi, per parlare con «La rigenerazione», scritta nel 1928, della vecchiaia e del desiderio faustiano di ringiovanire. Ai tempi di Svevo si fantasticava della miracolosa cura «Voronoff», oggi si ricorre a pillole e al chirurgo plastico, ma di fondo c' è sempre la non accettazione di una età difficile, il conflitto tra desideri, istinti e le possibilità sempre più ridotte di soddisfarli perché come scrive Orazio «gli anni che fuggono ci portano via una cosa dopo l' altra». L' occhio con il quale Svevo guarda al problema è intelligente e ironico. Uno sguardo che ben si attaglia a Gianrico Tedeschi che è Giovanni, protagonista di questa commedia portata in scena con la limpida regia di Antonio Calenda e le belle scene, leggere come un pensiero, di Pier Paolo Bisleri. Giovanni, quieto marito della dolce Anna, padre di Emma che la vedovanza prematura ha reso spigolosa e intransigente, nonno di un nipotino che adora, sostenuto dal nipote medico, si convince ad affrontare un' operazione che lo ringiovanirà. Non sarà un banale fatto fisico, ma mentale che si sviluppa e si evolve in un susseguirsi di sogni dove passato e presente si confondono per chiarirsi l' uno nell' altro. Giovanni guarda la sua vita finalmente in faccia, nella sua interezza e nella sua verità. Si libera del conformismo e della superficialità del passato e contemporaneamente della crudeltà di un presente, non accettato e ineludibile, di vecchiaia. Straordinario è Gianrico Tedeschi con i suoi toni mai ovvi, con i suoi scarti beffardi, con punte di sarcasmo che si addolciscono in lampi di saggezza. Una grande interpretazione ben accompagnata dalle prove di tutti gli attori, da Lidia Kozlovich a Sveva Tedeschi, da Carlo Ferreri a Zita Fusco in uno spettacolo che con leggerezza racconta come una vita vissuta inconsapevolmente sia priva di senso.

Magda Poli

TEATRO D’EVASIONE. E DI SUCCESSO

Si può comprendere perché «La presidentessa» di o, meglio, da Hennequin e Veber, in scena al teatro di via Manzoni, sia Io spettacolo che sta incontrando gran successo e attizzi l'attenzione di un pubblico il più largo possibile: quello che cerca un mero teatro d'evasione. Perché lo spettacolo è una vera macchina spegni pensieri e preoccupazioni e il prodotto è costruito senza risparmio. Scenografia faraonica, costumi squillanti e alla ribalta un pool di veri, autentici professionisti della risata capeggiati essi da un fuori classe, Maurizio Micheli, il quale si trova a sua volta ad essere fiancheggiato (o viceversa) da un personaggio femminile popolarissimo cioè Sabrina Ferilli. A mettere in moto poi, e dunque Gran Confezionatore un altro re della scena, Gigi Proietti, il quale pur standosene dietro le quinte, fa navigare la nave in modo tale che essa non perda mai la rotta. Tutto a filare rapido e veloce, tutto con un ritmo indiavolato. Che poi la "pièce", un riadattamento ad hoc per l'italica platea, e da parte dello stesso Proietti, di un vecchio e complicatissimo vaudeville francese firmato agli albori del Novecento appunto dalla celebre coppia sopra citata, proprio un esempio di raffinatezza non sia, al pubblico non sembra interessare più di tanto. Ciò che lo conquista è il ben oliato meccanismo teatrale e non tanto la banale e salace vicenduola che Proietti trasferisce in un'Italietta umbertina spalmandola a piene mani; di color locale; un caravanserraglio di gerghi, di parlate, di dialetti. Vicenduola la quale ruota intorno a una sciantosa pronta a regalare le sue grazie a questo e a quello. La quale un giorno, per caso, nel corso di una tournée in provincia capita in casa di un austero magistrato e da qui a prendere il via una serie di equivoci e di semiboccaccesche awenture fino all'inevitabile happy end che vede Gobette, dopo aver sedotto il suo uomo a furia di bugie e controbugie, diventare la moglie del ministro della Giustizia. Ed ecco la scena, come avrebbe potuto succedere in un spettacolo di Garinei e Giovannini traformarsi in una monumentale torta nuziale. Tavolgente è la Ferilli, vitalissima in un ruolo che è il suo. E Maurizio Micheli (tempi comici perfetti) è una riserva aurea senza fondo di comicità: pochi oggi, nel campo del teatro leggero, sanno tenere la scena come lui. Ma c'è tanta bravura anche nei loro colleghi. Nel ben ritrovato, in una parte comica, Virgilio Zernitz, che nei panni del solenne magistrato di provincia sfodera il suo gran mestiere così come lo sfodera Paila Pavese nel ruolo dell'ambiziosa moglie. Quanto poi a Miro Landoni e a Gennaro Cannavacciuolo, se il primo è un irresistibile e insolente usciere 'lumbard" , il secondo gli dà la replica diegnando uno spassosissimo vigile bilingue. L’ilarità è continua.

Domenico Rigotti

LA FERILLI GIOCA A FARE LA FATALONA

A Milano nella “Presidentessa” si diverte con Proietti e Micheli La morale non è nuova. E non è possibile che se ne abbia un'altra: sono le donne a far girare il mondo, con le loro malizie e i desideri che sanno ispirare e tutto il resto - gli uomini e le loro belle istituzioni - non sono altro che la facciata ridente e un po' buffa, e comunque sempre seria e rispettabile, che vede svolgersi gli eterni giochi della seduzione. Emerge chiaramente da "La presidentessa". Il vaudeville di Hennequin e Veber scritto nel 1912 e ora riadattato da Gigi Proietti che sposta la vicenda nell'Italia giolittiana, adattando la comicità (popolare) al nostro Paese, assegnando ad ogni personaggio una parlata dialettale diversa e punteggiando la rappresentazione di citazioni, motivi, ricordi del café chantant, dell'avanspettacolo, della rivista, con canzonette e scalinate da cui scende la protagonista alla Osiris. Per il resto, rispetta l'architettura del testo ed i canoni del genere. E, quindi, punta sul ritmo vorticoso, sull'accuratezza delle caratterizzazioni e su una girandola d'invenzioni adeguatamente esaltate (con il contributo delle scene mobili di Alessandro Chiti) da una Sabrina Ferilli espressivamente versatile, ironica ed avvenente nelle guepière scintillanti di paillettes che inguainano la sua disinibita subrettina un po' burina e un po' femme fatale ed un Maurizio Micheli, ministro irresistibile, perfetto per tempi, intonazioni, estri. Sono loro a svolgere il gioco vorticoso di entrate-uscite alla Feydeau e battute a raffica, dove Gobette, spregiudicata diva del varietà, cacciata dall'albergo scostumatezza, si rifugia in casa del morigerato magistrato che ha disposto il provvedimento ed è scambiata per sua moglie dal Ministro della Giustizia, giunto per verificare la moralità della magistratura. Ne nasce una girandola irresistibile di tresche sentimentali, equivoci e sotterfugi, con la Presidentessa che seduce il Ministro, l'impalma ed assicura al giudice una clamorosa carriera a Roma. Il lieto fine è così salvo, con tutti i personaggi in scena - gli altri interpreti sono Paila Pavese, Virgilio Zernitz, Miro Landoni, Massimiliano Giovanetti, Gianni Cannavacciuolo, Susanna Proietti - a festeggiare il mondo così com'è, farsa o inganno che possa diventare, non è importante. Quel che conta - e siamo d'accordo - è sapersene divertire.

Franco Cornara

SABRINA FERILLI, TRAVOLGENTE "PRESIDENTESSA”

C’è una lealtà di fondo nelle macchine comiche che sono i vaudeville che espongono i loro ingranaggi con onestà, ben oliati da una vitalità che scorre impetuosa sotto le battute. Così è nella pièce «La presidentessa» del 1912 di Hennequin e Veber, bravi artigiani di questo genere che per qualche tempo offuscarono la fama di un genio come Feydeau. Nelle mani di Gigi Proietti, adattatore e regista, il vaudeville si cala nella nostra Italia umbertina, tra la babele di inflessioni dialettali di un Paese unificato solo da una cinquantina d’anni. E con bravura Proietti-regista semina invenzioni comiche rendendo lo spettacolo sapido e scintillante, valorizzando, senza un attimo di calo, la complicatissima trama della commedia tutta equivoci. Perno della vicenda è l'intraprendenza «verace», maliziosa e generosa della bellissima soubrette Gobette, francese quando serve, che riesce a farsi scambiare dal ministro della Giustizia, moralista fustigatore dei costumi, ma sensibile al fascino femminile, per la moglie di un vecchio onesto giudice di provincia, mentre la vera moglie, ex sguattera, maniaca della pulizia degli ottoni è in viaggio verso Roma con la figlia che per un accidente parla solo inglese, lingua sconosciuta in famiglia. Sedotto il ministro in un turbinare di bugie e controbugie, di mosse e contromosse, tra porte che si aprono e chiudono e ambienti che cambiano, la generosa Gobette riuscirà a far fare al giudice una carriera folgorante. Punto di forza dello spettacolo è un’ottima compagnia, Sabrina Ferilli con bravura e travolgente vitalità fa di Gobette un personaggio che conquista, Maurizio Micheli, il ministro, è bravissimo nel disegnare con aria svagata e bei tempi comici un personaggio simpaticamente opportunista. Bravi anche Virginio Zernitz, Paila Pavese e i divertenti Miro Landoni e Gianni Cannavacciuolo e la giovane Susanna Proietti.

Magda Poli

Ultima modifica il Lunedì, 23 Settembre 2013 18:37

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