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RICCARDO III - Ideazione scenica, regia di Alessandro Gassman

Alessandro Gassman in "Riccardo III" Alessandro Gassman in "Riccardo III" Foto Federico Riva

di William Shakespeare
Ideazione scenica, regia di Alessandro Gassman
Traduzione e adattamento Vitaliano Trevisan
Con Alessandro Gassmann, Mauro Marino, Giacomo Rosselli, Manrico Gammarota,
Emanuele Maria Basso, Sabrina Knaflitz, Marco Cavicchioli Marta Richeldi, Sergio Meogrossi
e con la partecipazione di Paila Pavese
Scene di Gianluca Amodio, costumi di Mariano Tufano,
musiche originali di Pivio & Aldo De Scalzi, Videografia Marco Schiavoni-Roma,
Roma, Teatro Argentina dal 25 marzo al 6 aprile 2014 (in tournée)

www.Sipario.it, 15 maggio 2014

Come spesso accade in dirittura conclusiva (della cosiddetta 'stagione invernale'), ci si avvede che sono tanti, e per molti versi meritevoli, gli allestimenti di prosa ancora inevasi da una pur sintetica analisi critica, blandamente consolati dall'eventualità di poterne recuperare alcuni nei cartelloni, spesso aleatori (economicamente in bilico) del prossimo anno.
Come nel caso di questo "Riccardo terzo" avvincente e coinvolgente, che Alessandro Gassmann e Vitaliano Trevisan alleggeriscono di ogni enfasi, baldanza, sibillino fascino della malvagità per 'quantificarlo' (sia nel canone testuale, sia nel codice espressivo) verso una più 'mostruosa' capienza dell'orrore contemporaneo: inerente scenografia, atmosfere, costumi, ritmi e tonalità di recitazione. Come a scoverchiare una forzata ma non forzosa 'visione sensoriale ed oculare' di uno dei più famosi fra i drammi storici del Bardo. In un percorso di vertigine e negazione catartica che non prevede requie o schematici dualismi tra Bene e Male.
Proiettato sul cupo fondo di un pozzo 'che sprofonda nel nulla, privo di atterraggio' , il gioco visivo\strumentale dell'allestimento mentre 'assesta' lo spettatore - provocatoriamente- come dall'alto di una ringhiera, proteso verso 'oscurità insondabili' raramente segmentate da improvvisi balenare di luce al neon. Come per rito apotropaico, il male provocato dal duca di Gloucester prima, sovrano d'Inghilterra poi, espleta la sua missione e funzione (pre-nichilista?) fagocitando,al suo passaggio, tutti e tutto (anche se stesso).Nell'empia sfilza di delitti architettati dalla smodata egolatria di quel che la nuova traduzione apostrofa 'segugio infernale' – artatamente collocato in un perimetro torpido e asfittico che sembra sospeso tra Medioevo, espressionismo pittorico(Kokoshka e Corinth, in particolare)e strali di un conflitto mondiale (barbarico, da 'archeologia spaziale') capaci di evocare l'abisso più profondo della nuova barbarie cui l'Occidente s'è già avviato.
Di qui, molte altre citazioni iconografiche che –a mio gusto e memoria- variano da "Bestia da stile" di Pasolini a certo cinema del primo- Carpenter, appena alleviato dagli infantilismi insidiosi di un Tim Burton -da 'favola nera' -e dal segno rabbuiante di una graphic –novel dispiegata tra stanze gotiche e perforanti sonorità comprendenti Ray Charkes e i Dire Strais (acuminanti nella poderosa sequenza finale). Gobbo, rachitico, imponente (ma 'impotente' ad arrestare una sorta di predestinazione alla mostruosità), Alessandro Gassman indossa pesanti coturni che lo elevano sino a quasi due metri, come scellerato Gulliver nella terra dell'abominio. Così eccellendo in plasticità di sguardi e posture in cui coesistono "l'anima del buffone, del genio, del sanguinario".
E il cui epicedio scenico – regno e prigione del 'sontuoso' freaks logorroico e claudicante - coincide con una strada senza ritorno lastricata di cadaveri e delirio di onnipotenza: vittime d'ogni genere, tra mogli, fratelli, amici, bambini. Complementari, sino a qualche elemento di 'pesantezza' estetica, per una tragedia che non prevede, né aspira ad alcun 'esilio' o tempo della 'redenzione'. Dunque priva di via di fuga, sia etiche che prospettiche, egemonizzata da atre coloriture contornate da neri veli e cappucci da Inquisizione che, a momenti, rivelano il macabro cerone spalmato sul volto di molti dei comprimari.
Pur'essi (nobili, sovrani, comandanti, regine o consiglieri) involontari complici di una tirannide che è consustanziale alla natura (alla brama) del Potere, che trattandosi di un demone e apologo (di se stesso), non risparmia nessuno, disegnando (tra efferatezze e involontarie complicità) una sorta di universo omologo, sussidiario, complice e carnefice di un unico, bestiale impulso alla sopraffazione. Degli uni contro gli altri, liddove il male smette di essere 'banale' e si auto edifica a paradigma del mondo, ancora fondato sui mille rigurgiti del pensiero (pessimista, lungimirante?) del giovane Hobbes: quando l'uomo 'smette' ogni sovrastruttura (remora) di 'civiltà e cultura' e preferisce deturparsi in 'lupus' di chi gli osa stargli attorno.
La Storia non perdona (e s'infittisce di nuovi, pessimi esempi)

Angelo Pizzuto

Ultima modifica il Domenica, 18 Maggio 2014 21:02

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