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RE LEAR - regia Daniele Salvo

"Re Lear", regia Daniele Salvo "Re Lear", regia Daniele Salvo

di William Shakespeare

Laboratorio e regia di Daniele Salvo

traduzione di Emilio Tadini

scene e costumi Silvia Aymonino
con Ivan Alovisio, Francesco Biscione, Marco Bonadei, Mimosa Campironi,

Simone Ciampi, Clio Cipolletta, Elio D'Alessandro, Pasquale Di Filippo,
Marcella Favilla, Alessio Genchi, Francesca Mària, Selene Gandini,
Graziano Piazza, Silvia Pietta, Tommaso Ramenghi, Giuliano Scarpinato
assistente ai costumi Vera Pierantoni Giua, musiche Marco Podda
disegno luci Umile Vainieri, progetto fonico Franco Patimo
immagini video Indyca, collaboratore ai movimenti Antonio Bertusi
assistente alla regia Alessandro Gorgoni, coach attori Melania Giglio

Prodotto da Politeama Srl

Globe Theatre, Roma dal 16 luglio al 2 agosto 2015

www.Sipario.it, 18 luglio 2015

Padri e figli uno scontro apocalittico

Oh, lasciate che passi e vada in pace!
È odioso prolungargli la tortura
sulla ruota di questo duro mondo. (Kent da Re Lear)
Si parte dal finale per arrivare dritti al cuore dei giorni nostri nella drammaturgia del celeberrimo autore inglese. Con secoli di anticipo si legge tra le righe anche il rispetto della dignità per l'essere umano lacerato dal dolore anche fisico, autorizzato dunque a cercare la morte, a chiedere tacitamente agli altri di non negarglielo e implicitamente desideroso di essere accompagnato nel difficile processo di dipartita da questo mondo. Ma la mente umana quando non è quella di un genio ha bisogno di accanirsi sulle cose. Manca di raffinatezza, sensibilità, lungimiranza e non importa se tra le cose c'è il dolore estremo, l'offesa per la dignità, l'accanimento terapeutico...diremmo noi contemporanei in una traslazione del messaggio shakespeariano alla vita quotidiana.
Re Lear muore in pace con se stesso per aver difeso con la spada Cordelia – pur non riuscendo a salvarle la vita - la sua figlia diletta ritrovata dopo anni di sventura, causati da un atto di leggerezza e di superbia per aver ceduto all'adulazione, sordo e cieco alla sincerità, incapace di un saggio discernimento.
Shakespeare va avanti e indietro nel tempo con una capacità altalenante che tocca tanto il classicismo dei greci – Tiresia, Edipo, etc. – quanto anticipa di svariati secoli le tematiche esistenziali e sociali dei tempi odierni: l'incomprensione fra padri e figli induce i primi a non cedere la propria autorità e a non sforzarsi di capire a fondo la natura di chi è sangue del loro sangue e i secondi a perdere la sensibilità che dovrebbe accompagnare la vecchiaia dei padri per alleviarne il dolore.
La messa in scena del giovane Daniele Salvo, al Globe di Villa Borghese, non rinuncia al classismo della prosa shakespeariana né alla carnalità e alla fisicità richiesta ai suoi interpreti, per un risultato artistico coinvolgente che non ha dimenticato la delicatezza della poesia contenuta nelle parole del testo. Una scenografia scarna, affidata a pochi cambi, con alternanze di luce che infilzano come lame i cadaveri nel finale della tragedia, in un gioco triadico che rimanda alla geometria sacra, ha posto in primo piano, in modo nitido, tutti i tormenti interiori che lacerano l'animo e la psiche umana. Corsa al potere, cecità della vanità - molto più pericolosa di quella vera o indotta dalla ferocia degli assetati di sangue - scalata sociale, Dio denaro responsabile del sacrificio degli affetti più cari e dei vincoli più sacri, per snaturaci in un processo solo apparentemente evolutivo, il quale ci avvicina sempre più al mondo animale, invece, illudendoci di allontanarcene attraverso l'accumulo di potere e beni materiali.
Un cast di giovani con il ruolo del Fool/Selene Gandini dall'eco "sbiruliniana" firmata Sandra Mondaini e un Edmund/Ivan Alovisio farcito del Giancarlo Giannini versione Wertmuller, ha condotto i dialoghi con organicità, realismo e bravura, rafforzando il contatto con i tempi d'oggi, gravidi dell'evergreen messaggio shakespeariano.
Filologicamente corretto, artisticamente di livello, intellettualmente "ronconiano", ma con più passione, il Re Lear di Daniele Salvo ha sfiorato la compiutezza, lasciandosela sfuggire con le sue quattro ore, o quasi, di messa in scena. Un lavoro così accurato del testo, un'apertura dello stesso così realistica e profonda dal punto di vista scenico poteva avvalersi di qualche taglio per una sintesi efficace e intelligente a favore di un ritmo serrato e agile, già presente ma scalfito da qualche caduta ripetitiva del tutto ridondante ai fini della totalità del lavoro e a scapito del pubblico, già catturato e predisposto all'attenzione ma non agganciato dall'inizio alla fine. In ultimo, i giochi di spada, benché in sintonia con le regie inglesi, hanno ancora da imparare dagli anglosassoni in termini di rigore tecnico... ma nelle Nostre accademie da anni la scherma non è più materia d'insegnamento... purtroppo!

Margherita Lamesta

Ultima modifica il Domenica, 26 Luglio 2015 08:12

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