di Genet
regia di Giovanni Anfuso
con Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia, Vanessa Gravina
Teatro Verga di Catania dal 20 al 30 dicembre 2016
Avvenire, 22 dicembre 2016
Servi camerieri e badanti aspirano a diventare padroni dei loro padroni. Ce lo dice Joseph Losey nel suo film Il servo del 1963, sceneggiato da Harold Pinter tratto da un romanzo di Robin Maugham con Dirk Bogarde protagonista, ce lo dice ancora prima nel 1946 Jean Genet nel suo atto unico Le serve ovvero Les bonnes. Una tragicommedia o se vuole pure un piccolo giallo psicanalitico, tratto realmente da un fatto di cronaca realmente accaduto a Le Mans (Francia) nel 1933 che ha per protagoniste le sorelle Papin, Christine e Léa, di 28 e 21 anni, che dopo quattro anni a servizio presso una famiglia borghese, uccidono madre e figlia. Un lavoro certamente molto rappresentato per il quale spesso chi lo mette in scena utilizza una traduzione diversa. Qui al Teatro Verga di Catania, dopo essere transitato dal Biondo di Palermo, il regista Giovanni Anfuso adopera la traduzione di Gioia Costa, fedele invero al testo originario, omaggiando in certo modo Genet, facendolo iniziare con delle battute in francese di Solange, vestita da un'Anna Bonaiuto apprensiva inquieta ansiosa, come se qualcuno potesse notare in lei i disegni criminosi che ha in testa e che vorrebbe mettere in pratica. L'altra sorella è Claire, cui Manuela Mandracchia conferisce connotati revanscisti, colei che più di Solange vorrebbe cambiare il suo status di semplice bonne, proiettandosi in un mondo da dolce vita, giocando intanto in modo perverso con la sorella, schizoide direi, vestendo lei i panni della padrona e Solange quelli suoi, di Claire appunto. Una sorta di rituale, consumato in un'elegante camera da letto in fuga, tutta dai differenti colori verdi, architettata da Alessandro Chiti, in modo che sulle due quinte possono ammirarsi le gigantografie di due donne, una supina che fuma l'altra nuda accovacciata, separate (le due quinte) da una porta centrale che diventa pure un grande specchio, mentre tutto il palcoscenico è un tappeto di fiori bianchi. Parlano le due sorelle, senza fermarsi, ammirando-invidiando-odiando la padrona che è fuori per affari, indossando i gioielli e i suoi abiti più belli (i costumi sono di Lucia Mariani), sventolati fuori da un armadione, imitandone voce e atteggiamenti, manifestando una femminilità cattiva, libidinosa, malata tout court, sfogando il loro rancore e simulando il momento della sua uccisione. Nei loro giochetti ci sono pure delle lettere anonime in cui denunciano l'amante della padrona, scarcerato poi per mancanza di prove. Adesso giunge da quella porta centrale Madame, avvolta nel suo mantello impellicciato e Vanessa Gravina cerca di darle i connotati più verosimili di donna stravagante, capricciosa pure generosa verso le sue serve, le quali dopo aver ricevuto in regalo vestiti e gioielli, cercano di farle bere, senza mai riuscirci, una tisana di tiglio con dieci gocce di velenoso Gardenal, per mandarla all'altro mondo. Madame pensa al suo uomo in galera e quando le viene detto che ha telefonato e che libero l'attende in dato luogo, scappa via in taxi, lasciando esterrefatte le due potenziali assassine. Riprendono i giochi di travestimento, le due sorelle cercheranno di eliminarsi a vicenda ma colei che berrà il tiglio sarà Claire. Amen. Il lavoro di Genet che avrebbe voluto che le serve fossero interpretate da due giovinetti, è stato oggetto di studio per psicanalisti del calibro di quali Musatti e Lacan e pure di filosofi come Sartre che nel suo saggio Santo Genet, commediante e martire scrive che: «La sola reazione di quelle creature senza rilievo è che esse, a loro volta, sognano e immaginano di diventare il Padrone che le immagina».
Gigi Giacobbe