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Non si sfugge alla suggestiva, alta prosa della Salomè di Oscar Wilde, che nei suoi versi sin dal primo scambio di battute genera alti vette di linguaggio, di costruzione del testo, rappresentazione agganciata all’onirico ossessionante. Ne è la prova anche l’ottima versione più asciutta del testo originale, ma non per questo meno sviluppata, anzi,  messa in scena da Piergiorgio Piccoli per Theama Teatro Lab, presentata allo Spazio Bixio di Vicenza, anfratto di classe a diretto contatto tra pubblico e attori, tra realtà e figurazione teatrale. Una Salomè che tra le righe affronta numerosi temi, dove l’ossessione amorosa e maledetta si incarna nella protagonista, come nel suo patrigno Erode. Un’ossessione continua, che mostra in qualche modo cosa si può essere e diventare, mostri di se stessi, maschere erotiche conturbanti che per arrivare al proprio scopo si infilano nella lascivia più profonda. E quella danza famosa, conosciuta,e catartica di Salomè altro non è che il culmine, il plateau tormentoso che porta ell’egoismo individuale, senza limiti. La messa in scena di Piccoli, asciugata appunto di alcuni personaggi è una focalizzazione estrema sui sentimenti, chiamiamoli così, tiranni, che spingono l’essere umano nel fondo, ed è pregiata proprio per questo, oltre al fatto che è fluida. Nel turbinio della ricerca a tutti i costi dell’amore possessivo, della conturbante soddisfazione personale, della luna richiamata con gesto rituale, espressivo, Piccoli dirige gli attori con decisione e mestiere dando una nuova prova di maturità, in questo regno d’Erode simbolico, lugubre e stilizzato, dove a risaltare oltre all’ottima prova attoriale d’insieme, ad esempio, sono i bellissimi costumi di Cristina Cenci così tetri e malinconici, distruttivi . Tra carnalità ed eros agli antipodi di quello Brassiano, quindi tutto fuorchè godereccio, lo spettacolo sin da subito carica di adrenalina, morte, e i protagonisti si chiamano Iokanaan, Erode, Erodiade e la stessa protagonista del titolo, a cui presta volto e corpo flessuoso, recitazione accesa la giovane Tatiana Vedovato. A tratti direi che s’intravede persino il teatro geniale, irriverente di Carmelo Bene, oppure quello successivo di Filippo Timi così ardito e lanciato, piacevolissimo, dove anche l’allestimento scenico di Igor Veljkovic impera. E’ una catena di attrazione spinta, un gioco al massacro, per usare una frase nota, quelle attenzioni di Erode per Salomè, e le stesse di quest’ultima bramose per Iokanaan, impersonato dalla vitale, brava Anastasia Faccio. Le sta accanto in un crescendo di palpitazioni oscure e fuorvianti dall’amore Pietro Casolo, a tratti  così dolce e incattivito, misterioso. La prova più bella la dà Michela Imbrunito, che fa della sua Erodiade, alle nuance messe nel personaggio una donna ormai tradita nell’animo e nel fisico, quasi abbandonata. E’ uno spettacolo molto fisico, che prorompe, dove i movimenti minimi sono d’effetto per la drammaturgia. Salomè alla fine, insomma, ottiene ciò che vuole, ritorna il desiderio malato, ritorna a galla. Lo spettacolo ha aperto la diciottesima stagione di spettacoli di Theama, e non poteva avere debutto migliore in un teatro che continua grazie alla tenacia e alla resilienza di tre affiatati coordinatori, Piccoli con Anna Zago e Aristide Genovese. Grande successo,  decisamente meritato, alla prima.

Francesco Bettin