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SIGNORINA GIULIA - regia Valter Malosti

Signorina Giulia Signorina Giulia Regia Valter Malosti

di August Strindberg, adattamento e regia di Valter Malosti
con Valeria Solarino (signorina Giulia), Valter Malosti (Giovanni) Caterina Carpio (Cristina)
scene di Margherita Palli, suono di G.u.p. Alcaro, luci di Francesco Dell'Elba, costumi di Federica Genovesi
produzione Fondazione dl Teatro Stabile di Torino e Teatro di Dioniso
visto il 29 febbraio 2012, al teatro Municipale di Piacenza
Dal 14 al 26 febbraio al Teatro Eliseo di Roma
Dal 4 all'11 marzo al Teatro Stabile di Catania

www.Sipario.it, 16 marzo 2012
www.Sipario.it, 13 marzo 2012

Sarà perché fu lo stesso Strindberg (nei suoi anni peggiori, esacerbati da misoginia, sofferta e vissuta come senso di colpa) a cercare requie, vacuo responso in esoterismo e occultismo; sarà perché la disfatta mentale e corporale della "Signorina Giulia" stuzzica soluzioni espressive turgide, sensazionaliste; oppure perché è la stessa educazione teatrale del regista Malosti ad ispirarsi al rito, all' 'ebbrezza inebriata' del culto dionisiaco, restituito con immagini corrusche e clangori da discoteca dark, alternati a minacciosi 'tamburi nella notte' che alludono a misteriosi linciaggi e streghe di Salem. Fatto sta che il (molto pubblicizzato) ritorno di Valeria Solarino al teatro (fascino freddo-fuoco, sinuosa bellezza da araba fenice) avviene all'insegna di un allestimento esuberante, luciferino, di ribollente slancio espressionista: come per burbanzosa, aggressiva risposta ai dettami di quel naturalismo 'che gradualmente deflagra in battaglia e cupio dissolvi', e che dà impronta al dramma originale.

Qui baluginante di luminosità 'sparate' sul contrasto di rosso e nerastro, quindi intarsiato di sofferenze, tabe ereditarie che contribuiscono a disegnare gli artigianali contorni (di costumi, attrezzi di scena) di una 'favola nera' innamorata più di tanathos che di eros, più del supplizio (fisico e morale) che del conflitto 'nerboruto e predatorio' di maschio e di femmina: entrambi in corsa verso l'inabissamento (l'imprinting di fatuità) di ogni umana ambizione. In una 'fuga dalle tenebre' (Schnitzler) determinata dalla propria estrazione sociale e debolezza (o supponenza) caratteriale. Ma con l'essenziale difetto di azzerare o sparare a raffica tutto ciò che in Strindberg (ed in altre edizioni della "Signorina Giulia": fondamentali quelle di Anna Maria Guarnieri e Patrizia Milani, diretta da Missiroli e Bernardi) avanzava gradatamente dal 'naturalismo opaco' alla volta di una 'dannazione' cui Malosti imprime esclamativi estremi, sensazionalisti, di escandescente gusto sado-masochista. Anche in ragione di certi costumi indossati dal servo Jean (stivaloni, giubbotti borchiati in pelle, giacca sgargiante da direttore circense) e delle solitudini orgiastiche della cuoca Cristina, il cui sabba onanistico, nella clandestinità dell'assolo scenico (celebrante anch'esso le puritane eccezioni della notte di San Giovanni), più che rivelare 'l'altra anima' dei timorati di Dio svela (per ciascun personaggio) la già esibita disintegrazione lungo le urticanti rive della voluttà del dolore.

Il rapporto servo-padrona, la digrignante rivalità dei sessi alla ricerca di un'impossibile identità assoluta ed assolutoria (d'ogni nequizia) si ribaltano- è vero- nella morbosa dipendenza della signorina Giulia verso Jean; e il freddo cinismo di costui riesce, a tratti, persino ad irritarci, amareggiarci, come in una sorta di arbitraggio verista della tragedia in corso.

Ma quando la rappresentazione torna a divorare facili effetti da grand-guignol (il cardellino decapitato dall'energumeno, il tavolo di marmo al centro scena irrorato di 'sangue innocente'); quando la Solarino prende a recitare come menade e senza guida registica- fittiziamnte 'contrastata' dal Malosti, attore non eccelso ma in atteggiamenti da domatore dotato di poteri 'mesmerici'- viene in mente che la misura è colma, e si va via volentieri a respirare altra aria della notte banale.

Angelo Pizzuto

«Lo sa lei, come sembra il mondo visto di sotto – no, no non lo sa!» è quanto Giovanni, il servo, dice a Giulia, la signorina spiata, amata/desiderata fin dall'infanzia e ora nella notte di San Giovanni, nella notte di mezza estate, compartecipe dello stesso infimo guardare dal basso verso l'alto, in un allucinato sprofondare che è sogno ricorrente per la signorina Giulia e che nel contesto della festa diviene 'realtà allucinata' per entrambi. E' dalla domanda del servo che parte Valter Malosti nel costruire la sua Signorina Giulia, di cui non è solo protagonista nei panni di Jean/Giovanni, ma di cui è regista e traduttore. La Signorina Giulia di Malosti è una messinscena detta in apnea, la stessa apnea che caratterizza Giovanni nel raccontare di quando bambino spiava l'elegante e profumata esistenza di chi viveva nel castello e di Giulia in particolare. Valter Malosti ha chiesto a Margherita Palli di costruire una scena che mostra – di sghimbescio – i locali sotterranei, inferi in cui vivono i servi, a quel luogo si accede per una scala, in quel luogo si aprono botole e porte che danno verso il buio, nascondono oggetti, bottiglie per le libagioni orgiastiche della festa di cui arriva l'eco da lontano, per Malosti un pulsare di ritmi hardcore e tecno. Tutto racconta di un discendere all'inferno, tutto dice di viscere che scottano, di una discesa nelle pulsioni che la festa orgiastica di mezza estate scatena, fa emergere. Valter Malosti dà corpo ad una traduzione sfacciata, contemporanea che inchioda lo spettatore, che dialoga con un tessuto musicale potente e persistente, che racconta di un volere intensamente, di un riscatto impossibile, di un mondo sottosopra in cui la signorina è in balia del servo, in cui chi ha potere si sottopone a chi non ce l'ha. Il legame fra Giulia e Giovanni è soprafazione, è pulsione, è cupio dissolvi. Valter Malosti in un completo pellato da truzzo è provocatorio, è rabbioso, incarna il riscatto del servo sul padrone, rappresenta quello che sarà il potere della borghesia arricchita sull'aristocrazia senza più quattrini, sogna e persegue una rivoluzione dal basso che sa di revanscismo nei confronti del padrone, ma che sa anche di ladrocinio, di piccola codardia alla fine e di un chinare la testa davanti agli stivali del padrone. La signoria Giulia di Valeria Solarino è corpo che cerca fremiti amorosi, è un capriccio sessuale, è donna che vuole vivere e chiede di farlo nel tempo sospeso della festa, è donna che provoca, che azzarda ma poi si ritrae per paura fino a sacrificarsi, lei signorina senza regno, donna senza sesso, ragazza senza passione, passione da cui è travolta nella notte di mezza estate. A fare da arbitro/testimone la serva Cristina, figura di nero vestita cui Caterina Carpio – sostituta a fine stagione di Federica Fracassi – sa dare un'intensità, una coerenza che stupiscono e che alla fine costituiscono il punto fermo di una corsa verso l'abisso che nella notte di festa rende tutto possibile, anche il sogno rivoluzionario di un servo o l'appagamento sessuale per il corpo frigido di Giulia. La versione di Signorina Giulia offerta da Valter Malosti – pur avendo nella pur bella Valeria Solarino il suo punto debole – è destinata a fare scuola, è una di quelle letture intelligenti e aperte che chi programma stagioni, chi ama il teatro dovrebbe non solo proporre ma sostenere alla grande.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Domenica, 29 Settembre 2013 12:56

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