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SOTTO PAGA! NON SI PAGA! - regia Dario Fo

Sotto paga! Non si paga! Sotto paga! Non si paga! Regia Dario Fo

di Dario Fo
regia e scene: Dario Fo
con Marina Massironi, Antonio Catania, Marina De Juli, Renato Marchetti e Sergio Valastro
Firenze, Teatro Verdi, dal 24 al 27 gennaio 2008
Roma, Teatro Valle, dal 14 al 26 ottobre 2008

La Repubblica, 20 ottobre 2008
Il Messaggero, 18 ottobre 2008
www.Sipario.it, 17 ottobre 2008
Il Messaggero, 2 febbraio 2008
Un Dario Fo che non sbiadisce

Imprimendo già dal 2007 un'attualizzazione satirica, comica e grottesca a una propria farsa sociale battezzata con clamore nel 1974, Dario Fo autore e regista ha fatto di Sotto paga! Non si paga! un lavoro di perenne allerta contro gli uragani economici che colpiscono le classi più deboli costringendole a buffe contromisure, bizzarri rischi per la sopravvivenza, atteggiamenti che sfiorano il reato. E' come se una commedia dell'arte dei nostri giorni, e un anacronistico ma beato clima da "guardie e ladri" si candidassero a rappresentare l'aspetto più curioso (anche il più popolare, e iperbolico) che risalta dal testo originario. Testo da considerare un canovaccio aperto a funambolismi, spese proletarie e mistificazioni per tirare avanti in un'epoca di crisi dei salari e di insostenibilità dei prezzi. Le schermaglie tra la disoccupata Antonia, il marito operaio precario Giovanni, l'amica di lei e un viavai di (ruspanti) poliziotti e carabinieri che indagano su acquisti-razzie al supermarket - con macrosconto proclamato dalla clientela per indigenza e angoscia - rinfocolano la tradizione della ridicolaggine per fame. Con un che di artigianale che Marina Massironi e Antonio Catania, nei ruoli storici di Rame-Fo, sanno volgere in scene di un matrimonio depresso e burlesco senza tempo. Ma la zampata poetica e civile di Fo fornische anche, adesso, un epilogo con nuove emergenze. Spuntano fuori le banche strozzine e i mutui, l'ottimismo fuori luogo di chi ha il potere, il lodo salva-processi, le cordate di industriali amici. E l'incitamento, davvero bello, a non scomparire tutti in uno sbiadito"Quarto Stato" di Pellizza da Volpedo.

Rodolfo Di Giammarco

La guerra dei faticatori
contro il caroprezzi

Marina Massironi e Antonio Catania, assieme a Marina De Juli, sono al Valle di Roma con l'allestimento che Dario Fo firma, come regista e scenografo, di un suo testo del 1974, Sotto paga! Non si paga!. Una storia surreale, di quelle cui Fo ci ha nel tempo abituati, fantasmagorica, fiorita di luoghi comuni che diventano trasfigurazioni barocche; legata, sì, ai cipputi anni Settanta e ai loro problemi di paga e quadratura del bilancio familiare, ma trasferibile senza sforzo (anzi) alla non facile attualità italiana.
Lo stesso Dario ricorda lo sconcerto del pubblico ai tempi del debutto assoluto: la gente trovò in palcoscenico la rivolta di massaie che, rifiutando lo smisurato aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, decidono di saccheggiare il supermercato e di pagare tutto la metà. Pura fantasia, fondata però sul concreto lamento e sulla ribellione delle donne di allora. Che guarda caso, nella vita vera, si sarebbero poi attivate proprio dimezzando la cifra dello scontrino o, addirittura, portandosi a casa pasta, riso e altri generi alimentari senza pagare una lira. I tempi sono cambiati? Certo. Dalla lira siamo passati all'euro. Ma lo scontrino vessatorio colpisce ancora. E gli spettatori vivono riscontri non solo metaforici nei personaggi e nelle situazioni creati per la scena.
Gli interpreti. Antonio Catania, nei panni dell'operaio "inquadrato", legittimista e faticatore, lotta per il giusto salario ma non perdona esproprî o altri atti fuor di regola. Bravo e sapiente, non tenta di riprodurre il Fo attore. Innerva piuttosto il personaggio di un attonito vigore da meridionale inurbato che rende tangibili (e nuove rispetto al passato) le proteste, lo sconcerto, la virile "presa di coscienza" maturabile nel finale. La Massironi e la De Juli battagliano con verità, nascondendo vettovaglie sotto finte pance da gravidanza avanzata.
Chi fosse tentato di considerare questo spettacolo un evento vetero-qualcosa, ne gusti invece il tratto artigianale, le scene che si fanno e disfanno a vista, il piglio complessivo da kabarett alla Valentin, l'avventurismo psicologico. E, naturalmente, la vocazione a riaffermare le leggi del ricorso storico.

Rita Sala

Avanti casalinghe, alla riscossa!

Si inseguono, e capita anche che si accavallino, le prime importanti a Roma dove c'era grande attesa per il ritorno di Dario Fo dopo otto anni.

Come evento di riapertura del cartellone, il Teatro Valle ha puntato a riproporre Sotto paga! Non si paga!, scritto nel 1974 dal Premio Nobel per la letteratura, spettacolo sulla gente comune, persone vere che lavorano affrontando costanti difficoltà.

Nato nelle case del popolo appunto, il testo è una chiara denuncia, una militanza scenica del caro prezzi negli anni '70. Nel modo ironico e istrionico che ben gli conosciamo, Fo, ispirandosi alle lamentele raccolte per strada da casalinghe furenti, sottolinea le conseguenze economiche di una società che faticava allora come oggi.

Al suo debutto, il copione, di pura fantasia, venne impressionantemente imitato, se non addirittura superato, dalla realtà. Uomini e donne, operai e massaie della periferia milanese, all'assalto dei supermercati, decidono da soli il prezzo della spesa: esattamente la metà del prezzo imposto dalla vendita. I più audaci con slogan e battute prese in prestito dalla commedia.

A distanza di trentaquattro anni, Dario Fo non si limita a ripresentare il testo così com'era, in quanto, come lui stesso ha affermato in apertura della serata presentandosi a sorpresa sul proscenio, un teatro che attinge dalla quotidianità deve costantemente aggiornarsi.

La satira risulta ancora pungente e calzante per il periodo storico in cui viviamo, anche se non tutte le varianti e aggiunte contribuiscono al successo della serata. Anzi, qualche taglio qua e là avrebbe certamente giovato alla riuscita generale e al ritmo dello spettacolo, ben sorretto invece dalle vivaci musiche di Fiorenzo Carpi e la voce registrata dello stesso Fo.

I due personaggi principali, Antonia e Giovanni, sono simbolo di tante famiglie italiane: licenziata da alcuni mesi lei, operaio lui, non riescono a sbarcare il lunario.

Gli interpreti Marina Massironi e Antonio Catania sfoderano una personale follia espressiva, supportata da un sarcasmo tutto interiore lei e da una mimica accattivante lui. Confermano la loro bravura nel volersi distaccare dagli illustri predecessori, evidenziando però proprio così, paradossalmente, che i due ruoli, di squisito taglio sartoriale a mano, sono stati cuciti addosso e calzano a pennello alla coppia Fo-Rame che li ha portati sulla scena al debutto.

L'affiatato cast, forte di un collaudo di numerose repliche, è completato da Marina De Juli, Renato Marchetti e Sergio Valastro che sul finale vengono inglobati dal siparietto che riproduce un abusato "Quinto Stato" di Giuseppe Pellizza da Volpedo, tra gli applausi ritmati del pubblico che sembra gradire la denuncia stravagante e bizzarra, che in chiusura tende a dilatarsi in un vero e proprio comizio.

Cosimo Manicone

La lotta delle massaie
contro lo scontrino

Marina Massironi e Antonio Catania, assieme a Marina De Juli, Renato Marchetti e Sergio Valastro, danno credibilità all'allestimento che Dario Fo firma, come regista e scenografo, di un suo testo del 1974, Sotto paga! Non si paga!, visto al Verdi di Firenze e stasera disponibile a Casale Monferrato (il 6 a Termoli, il 7 a Roseto degli Abruzzi, l'8 ad Avezzano).
Una storia surreale, di quelle cui Fo ci ha abituati, ma sempre proponibile, fantasmagorica, fiorita di luoghi comuni che diventano trasfigurazioni barocche; legata, sì, ai cipputi degli anni Settanta e ai loro problemi di paga e quadratura del bilancio familiare, ma trasferibile senza sforzo alla martoriata attualità italiana. Lo stesso Fo ricorda lo sconcerto del pubblico ai tempi del debutto: la gente si trovò di fronte alla rivolta di massaie che, rifiutando lo smisurato aumento dei prezzi, decidono di saccheggiare il supermercato e di pagare tutto la metà. Pura fantasia, fondata però sul concreto lamento delle donne di allora. Che, guarda caso, si sarebbero poi attivate proprio dimezzando la cifra lo scontrino o, addirittura, portandosi a casa pasta, riso e altri generi alimentari senza pagare una lira. Ci furono arresti e processi. «Alla fine ricorda Dario vennero tutti prosciolti da ogni accusa, perché il fatto "non costituiva reato". I giudici appurarono che i rivoltosi avevano pagato il giusto prezzo».
I tempi sono cambiati? Certo. Le vessazioni dello scontrino no. Così gli spettatori (a parte qualche raro esemplare che s'infuria all'ascolto delle battute prive di remore del copione, via via aggiornato da Fo sulla base della cronaca giornaliera) trovano riscontri almeno metaforici nei personaggi e nelle situazioni ricreati sulla scena. Antonio Catania, nella parte dell'operaio legittimista e faticatore, lotta per il giusto salario ma non perdona espropri o altri atti fuor di regola. Bravissimo. Non tenta di riprodurre Fo attore e regala al personaggio un attonito vigore da meridionale inurbato che rende tangibili (e interpretativamente originali) le meraviglie, le proteste, lo sconcerto, la virile "presa di coscienza" dell'epilogo. La Massironi e la De Juli sono battagliere e partecipi. Nascondendo vettovaglie sotto presunte pance da gravidanza avanzata, strappano risate e partecipazione. Brillanti le prestazioni di Marchetti e Velastro, preziosi elementi del trasformismo continuo al quale è chiamata la rappresentazione.
Chi fosse tentato di considerare questo spettacolo (sarà a Roma la prossima stagione) un evento veteroqualcosa, potrebbe piuttosto gustarne il tratto artigianale, le scene che si fanno e disfanno a vista, il piglio da kabarett alla Valentin, l'avventurismo psicologico. E, naturalmente, la vocazione a riaffermare le leggi del ricorso storico.

Rita Sala

Ultima modifica il Domenica, 29 Settembre 2013 12:46

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