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SUIT (THE) - regia Peter Brook

The suit The suit Regia Peter Brook

di Can Themba, Mothobi Mutloatse e Barney Simon
?Adattamento, regia e musica di? Peter Brook e Marie-Helene Estienne, Franck Krawczyk
con Nonhlanhla Kheswa, Jared McNeill, William Nadylam?musicisti Arthur Astier, Raphaël Chambouvet, David Dupuis ?luci Philippe Vialatte?, elementi scenici e costumi Oria Puppo, ?assistente alla regia Rikki Henry, ?sottotitoli Luca Delgado
Centro Culturale Il Funaro, Pistoia, 22 e 23 febbraio 2013

www.Sipario.it 23 febbraio 2013
 

Una tragedia di leggerezza diretta con mano lieve dal più grande poeta della scena contemporanea: The Suit di Peter Brook, in Italia per la seconda volta, al Centro Culturale Il Funaro di Pistoia, dopo il debutto nazionale al Teatro Stabile di Napoli lo scorso giugno, è un dramma cantato tessuto in una filigrana ariosa, aperta, imperniata sull'alternanza di vuoti e pieni, sull'essenzialità delle forme elementari, su una linearità pulita e ricca di respiro. L'accadere sembra guizzare da un quadro all'altro con rara fluidità, incuneandosi sinuoso nello spazio, sparendo per poi riemergere agile, veloce e preciso, inebriando la percezione dello spettatore.
A tredici anni dall'acclamata messa in scena francese di Le costume, dal testo del sudafricano Chan Themba, lo storico fondatore delle Bouffes du Nord arricchisce la ripresa del passato lavoro con l'inserzione della musica e del canto (in inglese, in questa nuova versione) dal vivo, rendendo ancor più vibrante l'intensità e la poesia della narrazione.
Negli anni '50, ne Sud Africa dell'Apartheid, Philemon sorprende la moglie con un altro uomo, che nella fuga, abbandona la propria giacca in camera da letto. Il marito impone allora alla donna una singolare punizione: essa dovrà trattare quel capo, segno manifesto della sua infedeltà, come un ospite ed usargli tutti i riguardi.
L'ingresso del tradimento nella vita della coppia, simboleggiato dall'abito, che diventa parte integrante del ménage, produrrà tensioni, riavvicinamenti, umiliazioni ed in ultima istanza un allontanamento insanabile tra i due, che porterà la protagonista verso la tragedia, che nemmeno il ravvedimento tardivo del coniuge potrà evitare.
La segregazione raziale e la disperazione della vita negli slums di Johannesburg è solo ventilata, un eco lontana, che lambisce appena la tragedia privata, eppure sempre amorevole, di Philemon e Tilly.
L'omaggio al Sud Africa è tutto musicale: nelle sonorità e nelle armonie che i protagonisti intonano a commento delle loro vicende, nei momenti salienti, delineando tutta la vitalità, lo slancio e il desiderio di riscatto che muove le istanze della popolazione nera, che raggiunge l'apice nell'inno alla vita Malaika, l'ultimo canto di Tilly.
Allo stesso modo l'ambiente sudafricano appare in tutta la propria carica vitale sulla scena, quasi vuota, come impone la lezione brookiana, ma costellata di colore e costruita su forme pure, sull'incrociarsi e perdersi delle linee: poche sedie, semplicissime, un tavolo, un attaccapanni a vista – che diventa autobus, armadio, porta –, un foulard, e una giacca, vero personaggio, quasi animato, e il coinvolgimento diretto, empatico del pubblico.
La partitura sonora, tra il blues, il jazz e la musica popolar sudafricana, ed il canto sono i canali principali dell'evocazione d'un mondo che non c'è ma che ugualmente, con la coerenza e l'iconoclastia carica di simboli di Brook, si sostanzia e s'invera sotto i nostri occhi.
In questo modo una vicenda apparentemente tetra e crudele diventa un tenero racconto d'amore, di un sentimento radicato e profondo purtroppo frainteso, mal convogliato verso il proprio compimento, minato dall'orgoglio.
Con levità Brook, ancora oggi, a quasi 88 anni, sa condurci al centro dell'animo umano e del nucleo caldo del teatro, del suo linguaggio, con l'ausilio di un manipolo di un eccezionale cast tutto sudafricano.
Una tragedia come The Suit, che con la sua leggerezza strappa un sorriso e rivela una piccola, quantunque irrinunciabile verità sull'uomo, è un'opera che solo un grande maestro può rendere reale e incidere entro il perimetro delle esperienze esistenziali di cui serberemo memoria.

Giulia Morelli

Ultima modifica il Mercoledì, 25 Settembre 2013 09:03

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