Rimodulare è la parola d'ordine, quest'anno, e sarà bene dirla, anche a proposito delle stagioni e dei festival musicali, una volta per tutte. Magari con una precisazione: che “modulare” è termine tecnico, in musica, che significa passare con varia cautela, e soprattutto con ottemperanza alle regole, da una tonalità all'altra; e siccome tonalità e tono sono termini adottati anche dalla pittura, ecco che i significati si possono chiarire tutti. Passare in musica dalla tonalità di Do maggiore a quella di La maggiore è come, in pittura, passare da un giallo a un blu: sempre con calma, attraverso colori intermedi, un giallo un po' più scuro, qualche tipo (o tono!) di verde, un blu meno netto e così via. Dunque un festival musicale che abbia programmato un cartellone ricco e diverso per accontentare e ospitare le sue brave migliaia di spettatori ha dovuto rimodulare, fare altri conti, usare un po' la gomma e un po' la matita, per sopravvivere alla pandemia: in sostanza ridurre il numero delle iniziative e aumentare il numero delle repliche; più in generale e per il resto cercare di mediare fra appetibilità e fattibilità.
Detto questo, l'aspetto del Festival della Valle d'Itria in quel di Martina Franca non può non stupire, in prossimità del soddisfatto mezzo secolo di vita. Trattasi infatti della 46ª edizione, che dimentica origini, passioni e diletti per montare nientemeno che una monografia straussiana (non dettata da alcuna celebrazione, ma questo non conta). Le linee tipiche del festival pugliese, si sa, erano il canto romantico, il belcanto classico, l'autore e il titolo raro (fino al “pasticcio”, cioè l'opera rivista o l'opera a più mani), la tradizione meridionale e in particolare la scuola pugliese (di nascita) e napoletana (di studi). Con vigorosa modulazione, come si dice, “ai toni lontani”, ecco invece Strauss, musicista tedesco quant'altro mai (per dire estraneo alla musica italiana e al melodramma che di Verdi, tanto per fare un esempio, ammirò solo l'estremo Falstaff). Ma l'originalità, elemento mai disatteso da Martina Franca, s'impone anche qua, nel secondo titolo del cartellone: e quel capolavoro che è l'Ariadne au Naxos diventa Arianna a Nasso, in una fiammante versione italiana del libretto effettuata da Quirino Principe, musicologo germanista: qualcuno arriccerà il naso, ma intanto il testo di Hugo von Hofmannsthal è un capolavoro anch'esso, e poi la percezione delle parole è sempre determinante alla comprensione di uno spettacolo musicale. In forma semiscenica, per ovvie e apprezzabili ragioni di sicurezza, a cura di Walter Pagliaro (se proprio si vuole, un po' della vecchia comicità tanto cara alla Valle d'Itria rimane là dove compaiono le maschere della commedia dell'arte). L'altro lavoro scelto, il primo ovvero quello inaugurale, non è un'opera ma una commedia musicale, cioè è cantato non tutto ma un po' sì e un po' no: la musica sarà del 1912, nel Borghese gentiluomo, ma il testo è del 1670, a firma nientemeno che di Molière: non proprio messinscena ma mise en espace di Davide Gasparro. Dirige qui, con Monsieur e Madame Jourdain, Michele Spotti (14, 22, 25 luglio e 1° agosto), e là, con Arianna e Arlecchino, Fabio Luisi direttore musicale del festival (21, 24, 26 luglio e 2 agosto). A suonare, la benvenuta Orchestra del "Petruzzelli" di Bari. Oltre l'opera, la programmazione s'allargherà certamente ma con news a tempo debito.
Il personaggio più originale del Trovatore di Verdi chi è? Azucena, la zingara figlia di strega. E anche se non è impossibile che l'autore vi prediligesse Leonora, alla fine il titolo dell'opera spetta a Manrico, il tenore, il trovatore, quello che dardeggia “di petto” con «Di quella pira». Ebbene, il Macerata Opera Festival ha scelto un'opera verdiana al maschile come Il trovatore e un'opera mozartiana al maschile più di tutte come Don Giovanni. Ma da qualche tempo il glorioso festival marchigiano si dà delle definizioni “coloristiche” e se l'anno scorso si volle “rosso” quest'anno ha optato per il “bianco”, con un bel diesis iniziale e la somma ♯biancocoraggio al posto di ♯rossosangue. «Bisogna aver coraggio, / o cari amici miei, / e i suoi misfatti rei / scoprir potremo allor» cantano donna Elvira a donna Anna e con Ottavio nel primo atto di Don Giovanni, il meraviglioso “terzetto delle maschere”, provando, per la prima e ancora inutile volta, di svergognare il Burlador de Sevilla. E «pari / abbiamo al loro ardir, brando e coraggio» canta il protagonista del Trovatore all'amata donna, poco prima di gettarsi nella mischia (fallimentare). Di qui, forse, l'intitolazione; ma non importa molto. A importare è che finalmente venga proposto a un pubblico estivo di pratiche soprattutto verdiane e pucciniane un capo d'opera del Settecento, uno dei drammi in musica più valenti e difficili della storia. Accanto a che? A un'opera di Verdi che per il titolare è altrettanto difficile e quindi tutto sommato rara negli spazi aperti e popolari.
In forma di concerto, Il trovatore sarà diretto da Francesco Negrin (27 luglio e 1° agosto), mentre Don Giovanni sarà diretto da Francesco Lanzillotta con la regia di Davide Livermore (18, 24, 26, 31 luglio; 2 e 8 agosto). Le recite sono decorate da concerti, spettacoli, interventi affidati ad attori, cantanti, scrittori e così via, nella credenza che parole e note non accademiche possano servire da avviamento al melodramma. E il pubblico, che ne sa molto, molto altro apprenderà!