Il teatro ci può dare una gioia profonda
Intervista a Wang Xiaoying,
uno dei registi più interessanti e significativi del teatro cinese contemporaneo
Wang Xiaoying è uno dei più significativi e noti registi teatrali cinesi del ventunesimo secolo. Vice-Presidente e Direttore Artistico del Teatro Nazionale Cinese di Pechino, vice Presidente della China Theatre Association, Wang Xiaoying, cresciuto in una famiglia di attori di teatro, ha una produzione particolarmente ricca: Il Crogiuolo (2002),Copenhagen (2003), 1977 (2010), Sole ingannatore(2011),Riccardo III(2012), Fusheng(2014), Il cerchio di gesso del Caucaso (2016) e Du Fu(2016).
Vale la pena anche ricordare, per il pubblico italiano, che il regista, che ama in particolare il teatro italiano, ha messo in scena La grande magia di Eduardo De Filippo nel 2007 al Teatro Sperimentale dell'Accademia Teatrale Centrale di Pechino. Invitato a partecipare al Festival di Teatro Shakespeariano presso il Globe Theatre a Londra nel 2012 e nel 2015, ha diretto una memorabile versione cinese del Riccardo III.
Wang Xiaoying ha innovato molto il teatro cinese introducendo tratti sperimentali: la sua regia recupera idee tradizionali coniugandole con una visione attuale senza mai allontanarsi dal tipo di teatro dominante oggi in Cina. Proprio per questa fusione di elementi diversi Wang è una figura estremamente interessante. Egli riesce a calare le opere occidentali in un contesto cinese rendendole più accessibili al pubblico cinese e attribuendo ad esse un valore più universale. Le scenografie e i costumi, tutti in stile tradizionale cinese, rassicurano il pubblico che così è pronto a raccogliere i nuovi messaggi, veicolati dalla messa in scena.
Recentemente a Pechino, ho avuto il piacere di incontrare Wang Xiaoying nel suo ufficio del Teatro Nazione Cinese. Ecco l'intervista nata da questo incontro.
La scelta di diventare regista è stata influenzata dal suo ambiente familiare?
Si, mio padre era un attore dell'opera tradizionale cinese ed anche mia madre ha lavorato per una compagnia teatrale, per cui si può dire che sono cresciuto nell'ambiente del teatro tradizionale cinese nella compagnia dei miei genitori.
Quale è stata la sua prima regia?
Nel 1984 ho cominciato ad occuparmi di regia. La mia prima opera è Cubo di Rubrick. È un'opera teatrale popolare tra i giovani. A quel tempo è stato molto difficile metterla in scena in quanto essa critica ciò che accadeva nella società cinese a metà degli anni '80, quando la Cina era ancora chiusa all'Occidente. A quel tempo c'erano molte censure politiche che impedivano un dibattito aperto sui problemi della società cinese. L'opera riflette soprattutto sui problemi dei giovani nella Cina post Rivoluzione Culturale, sfidando le restrizioni vigenti e denunciando di fatto le conseguenze della regressione politica sui giovani. Ho cercato di dare una lettura molto simbolica sia per quel che riguarda la scenografia che la recitazione.
Qual è il suo stile di regia? Ci vuole spiegare il tratto più importante dello suo stile registico.
Le mie opere sono profondamente legate alla cultura e al teatro tradizionali cinesi; Spesso i registi cinesi modellano la loro regia su quella straniera mentre io do una lettura molto legata al contesto culturale cinese. Ciò si è accentuato negli ultimi anni della mia creazione teatrale, nei quali mi concentro maggiormente su opere occidentali che hanno contenuti vicini alla realtà cinese oppure su opere cinesi legate alla cultura tradizionale, cercando sempre di "dare alla rappresentazione teatrale una connotazione cinese".
Si tratta di trasportare sul palcoscenico un immaginario cinese costruito in base ad elementi estetici, un certo tipo di creatività, stili tipici della cultura e dell'arte tradizionali cinesi. Con ciò voglio dire che porto sulla scena non solo dei riferimenti al teatro tradizionale, ma anche alla pittura, alla calligrafia, alla musica, ai costumi e alle maschere cinesi tradizionali. Lo scopo è di trasmettere in toto la bellezza e i valori della cultura cinese.
Naturalmente la mia opera è anche profondamente legata alla modernità della Cina attuale, della quale tento di trasmettere la filosofia, le tensioni emotive e le caratteristiche sociali. Mi auguro di dare un'impronta culturale originale al teatro di prosa contemporaneo e spero che le mie teorie possano in futuro concretizzarsi in una nuova scuola teatrale.
Secondo lei quali sono le sue opere più rappresentative degli ultimi anni?
Il Riccardo III messa in scena al Globe Theatre di Londra nel 2012 e nel 2015 e Il cerchio di gesso del Caucaso messa in scena presso il Black Swan Theatre a Perth nel 2016.
Lei è stato invitato a partecipare al Festival di Teatro Shakespeariano presso il Globe Theatre a Londra nel 2012 e nel 2015, dove ha presentato la sua versione cinese del Riccardo III.
Quali ne sono le caratteristiche?
Il Riccardo III rappresenta la mia teoria di "dare alla rappresentazione teatrale una connotazione cinese".
Nella famosa opera di Shakespeare, Riccardo III è stato descritto come un re brutto e deforme e questa è l'immagine che il pubblico percepisce.
In base alle idee occidentali medievali, il brutto aspetto della persona è rivelatore della turpitudine dell'anima, ma credo che l'opera Riccardo III non debba essere necessariamente legata a questa sola interpretazione. Ti dirò la mia interpretazione del Riccardo III.
Nel Creare una figura come quella di Riccardo III, mi infastidisce l'idea che bisogni puntare sull'aspetto, sia esso deforme o normale. In primo luogo, non voglio raccontare la storia di un re inglese, piuttosto voglio attraverso Riccardo III, parlare di un uomo assetato di potere. In realtà non vi è alcun documento che certifichi che Riccardo III era deforme. Se voglio descrivere un uomo molto ambizioso non mi concentrerò sulla sua forma estetica, ma sui suoi pensieri; perciò, nella vita di ogni giorno, egli sembra essere normale come tutti gli altri. Quando egli dialoga con gli altri, mostra di essere bello, fiducioso, intelligente, di avere la parlantina sciolta. Quando invece è solo sulla scena, dai i suoi monologhi appare la volontà di uccidere e allora ecco che si deforma per i suoi pensieri di morte e di potere. È la sua mente che deforma il suo aspetto. La sua deformità è psicologica. Nello stesso personaggio si alternano deformità e normalità: ecco perché l'immagine di Riccardo III nella mia versione è raffigurata attraverso la dialettica dello Yin e Yang che in Cina si raffigura con una parte bianca Yang e una parte nera Yin, due aspetti opposti ma complementari. Questa è la mia idea del Riccardo III.
Ho già detto che non intendo raccontare la storia di un re: tutti nel loro cuore possono essere torturati dall'ambizione del potere. Non voglio rappresentare uno specifico tiranno della storia, ma il male universale che esiste nel cuore di tutti.
Due sono i principi che mi hanno guidato nelle messa in scena del Riccardo III: in primo luogo, le coreografie, i costumi, il trucco, le maschere, gli oggetti di scena, la musica e i suoni dell'opera, sono modellati sul vocabolario artistico della cultura e della storia cinese, ma la trama, le identità dei personaggi e il contesto storico sono originali.
Il secondo principio a cui mi attengo è che nello spettacolo sono sì inseriti vari elementi del teatro tradizionale cinese ma non fino al punto di far diventare la rappresentazione un "teatro di prosa con lo stile dell'opera tradizionale cinese."
Nella mia opera, Anna Neville, è interpretata da una qingyi (il ruolo della donna raffinata, un personaggio dell'Opera di Pechino) che dialoga attraverso il recitativo tradizionale dell'Opera di Pechino con Riccardo III, un attore di teatro di prosa moderno che si esprime attraverso una recitazione attuale. Questo contrasto sortisce grande effetto. Inoltre, per esempio, gli attori che interpretano gli assassini della Torre di Londra, che rappresentano un punto di forza dell'opera, sono attori wuchou (cioè un ruolo considerato minore nell'Opera di Pechino simile ad un clown) che si muovono e recitano con uno stile tradizionale.
Per quanto riguarda la scenografia, sul fondo del palco c'è un paravento costituito da sei nastri di carta di riso con 12 parole tratte dall'opera, come ad esempio "potere", "cospirazione", "uccidere", "distruzione", "desiderio", "morte", scritte sia in caratteri cinesi che in inglese". Ogni volta che Riccardo III uccide una persona attuando il suo complotto come usurpatore, c'è una striscia color rosso sangue che scorre verso il basso sulla carta di riso del paravento. Alla fine dell'opera, quando Riccardo III è ucciso dai nemici, prima di morire, sale sul trono e, con la corona in mano, grida la famosa frase: "Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo", sullo sfondo il "sangue" erompe inondando l'intero paravento di carta con effetti visivi scioccanti.
L'opera ha avuto un'ottima accoglienza da parte del pubblico e da parte della critica. Una lunga recensione è comparsa sul giornale inglese "The Guardian", con una critica altamente positiva.
Quali sono i motivi che l'hanno indotta ad intraprendere la regia del Cerchio di gesso del Caucaso in Australia?
Il cerchio di gesso del Caucaso è stato commissionato dalla Black Swan Theatre Company in Australia per la sua 25° stagione teatrale. Il teatro cercava un regista, mi hanno conosciuto tramite le critiche del Riccardo III sul The Guardian e così mi hanno invitato per dirigere un'opera teatrale e io ho scelto Il cerchio di gesso del Caucaso.
Si tratta di una produzione del drammaturgo tedesco Bertolt Brecht, basata su un vecchio racconto popolare cinese Il giudice Bao e il cerchio di gesso (Bao daizhi zhiduan huilanji) di 700 anni fa.
È la storia di due donne che lottano per il riconoscimento del loro diritto di madre nei confronti di un bambino, una lotta personale che si svolge sullo sfondo della guerra civile.
Singolare il fatto che si tratta di un racconto cinese, adattato e scritto da un drammaturgo tedesco, che viene portato sulla scena in inglese da un regista cinese utilizzando una miscela di tecniche occidentali e cinesi, per il pubblico di Perth! Il cast è australiano, la musica scritta da un compositore australiano e gli oggetti di scena e maschere tradizionali realizzati da rinomati designer cinesi. Questo è un vero cerchio di scambio culturale!
Quali sono i suoi criteri quando sceglie un'opera?
Il fine a cui tendo è quello di comprendere maggiormente il mondo e l'umanità; per questo le mie opere cercano di riflettere la complessità dell'animo umano. Scelgo opere profonde, che prestano attenzione all'anima nelle sue implicazioni più complesse. Non mi piacciono le opere comiche e divertenti che restano sulla superficie delle cose.
Lei è Vice-Presidente e Direttore Artistico del Teatro Nazionale Cinese (National Theater of China) di Pechino. Quali sono la politica e le scelte adottate da questo teatro che è considerato il più importante della Cina?
Il Teatro Nazionale Cinese (National Theatre of China) rappresenta il top dei teatri cinesi e quindi è il massimo punto di riferimento per le compagnie teatrali di tutto il paese, fornendo loro il più alto concetto dell'arte. Negli scambi internazionali esso rappresenta l'immagine dominante del teatro di prosa oggi in Cina. Abbiamo più di 400 teatranti, di cui più di 200 attori. Mettiamo in scena i classici, le opere teatrali cinesi originali ma anche opere sperimentali. Prima gli scambi del nostro teatro con l'estero erano relativamente scarsi; ora va meglio e penso che in futuro ci saranno sempre più scambi e più cooperazione con teatri e compagnie teatrali straniere. L'anno scorso abbiamo collaborato con il Teatro Nazionale Britannico, rappresentando una versione cinese di The war horse. L'autore, lo staff tecnico, il regista sono stati inglesi, ma gli interpreti sono stati i nostri attori, fedeli alla versione originale del National Theatre. È stata una collaborazione di successo. L'anno scorso siamo stati invitati a rappresentare la versione cinese del Riccardo III nel Regno Unito, quest'anno l'abbiamo rappresentata in Corea del Sud e in Israele. Ogni anno ci saranno più progetti di scambio con l'estero.
Cosa pensa della situazione attuale del teatro di prosa in Cina?
Il teatro cinese è attualmente in un nuovo periodo di prosperità dopo quello degli anni '80. Ci sono correnti diverse che confluiscono nella creazione teatrale: i numeri delle rappresentazioni e il numero degli spettatori è arrivato a livelli senza precedenti; i risultati al botteghino sono eccellenti.
Tuttavia, dobbiamo chiaramente riconoscere che il "boom" non significa necessariamente "sviluppo", la prosperità si riferisce alla quantità mentre lo sviluppo dovrebbe essere un miglioramento qualitativo.
Le opere che riflettono la complessità umana delle emozioni, dei pensieri e dell'introspezione non sono molte; sul palcoscenico prevalgono le opere realistiche, ci sono tanti registi giovani, ma nelle loro opere c'è troppa attenzione all'intrattenimento.
Conosce il teatro italiano?
Chi lavora nel teatro in Cina conosce il teatro occidentale molto più di quanto si conosca il teatro cinese in Europa. Personalmente conosco e apprezzo commediografi italiani come Goldoni, Pirandello, Eduardo De Filippo.
Lei ha diretto una messa in scena in cinese di La Grande magia di Eduardo De Filippo nel 2007 in Cina. Come ha fatto a far arrivare al pubblico cinese il messaggio di Edoardo e a renderlo interessante e comprensibile?
La grande magia è stata scritta da Eduardo De Filippo nel 1948. Nel teatro europeo al quel tempo non era ancora apparso il "teatro dell'assurdo", mentre il teatro del cosiddetto stile "grottesco - umoristico" era molto popolare, per portare alcuni esempi a me familiari posso citare Dürrenmatt e il compatriota di De Filippo, Luigi Pirandello.
La grande magia, come l'autore ha detto, è un'opera allegorica, ma il suo simbolismo è davvero molto "strano". La grande magia è introdotta da un incipit piuttosto comune nelle commedie occidentali:
"La moglie fugge con l'amante, il marito è pubblicamente deriso". Il pubblico viene gradualmente introdotto in una storia complicata e confusa, là dove con confusa non intendo riferirmi alla trama, ma alla reazione ai fatti avvenuti, al loro modo di giudicarli. Il giudizio del marito Calogero sui fatti oggettivi, sugli atteggiamenti degli altri, sull'autenticità del mondo esterno diventa confuso a causa della manipolazione del Mago Marvuglia. Calogero è come una barca nel vasto mare della nebbia, si è perso.
La storia è un gioco basato su sofismi: i protagonisti, gli estranei e persino il pubblico provano disorientamento e imbarazzo. Ma allora quale è il senso de La grande magia? L'opera, con un inganno incredibile, costringe il pubblico a riflettere sulle difficoltà del vivere: nessuno è assolutamente cosciente del senso della propria esistenza e di quella degli altri, né tanto meno della relazione emotiva che esiste fra la gente. Tutto questo può essere frustrante, ma anche emozionante.
Eduardo De Filippo ha affermato di amare la vita così come anche noi cinesi la amiamo. La consapevolezza della difficoltà del vivere può comportare una certa "confusione" in un animo sensibile, ma questo può essere positivo forse perché con questo tipo di "confusione" sarà possibile raggiungere un più alto grado di consapevolezza di sé e degli altri. E' in momenti come questi che il teatro mostra il suo più profondo significato.
Quale frase sintetizza la sua visione del teatro e della vita?
Ci sono tanti tipi di felicità nella vita, ma quella che il teatro ci può dare è veramente la più profonda!