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«Il teatro è tempo + parola + corpo + colori + suoni + luci + ecc.» Conversazione con Pascal Rambert a cura di Nicola Arrigoni

Pascal Rambert. Foto Marc Domage Pascal Rambert. Foto Marc Domage

Pascal Rambert, classe 1962 è drammaturgo, coreografo e regista, ma soprattutto è uno dei personaggi più interessanti della scena contemporanea. Rambert è un autore teatrale nel senso sublime e più completo del termine. Le parole di Rambert sono parole iscritte nel dna del teatro, nella carne degli attori, ma sono anche moniti, imperativi, frammenti di realtà gettati in faccia allo spettatore, grimaldelli di intelligenza e di pensiero che aprono la mente. La drammaturgia di Pascal Rambert è parola distillata e al tempo stesso pensiero agito in scena che si tratti del ring di Clôture de l'amour in cui una coppia fa i conti con la fine della loro storia o che si tratti dei quattro artisti: un regista, un drammaturgo, due attrici de La Prova in cui ad una crisi relazionale si affianca la crisi utopica degli ideali e dell'arte come strumento di rivoluzione e di cambiamento. Sia Clôture de l'amour, sia La prova e ora L'arte teatrale – tutti e tre prodotti da Fondazione Emilia Romagna Teatro – portano in scena la crisi relazionale e di senso di uomini e donne, di attori in un contesto non autoreferenziale, ma destinato ad esplodere, ad essere metonimico, ovvero a rappresentare la parte (il teatro) per il tutto, ovvero il mondo che viviamo.

«Crediamo di sapere, non sappiano niente. Parliamo, parliamo». Così inizia L'arte del teatro. Da cosa nasce questo testo?
«Questo testo parte da qui, dalle persone che pensano di sapere. Il mondo del teatro è pieno di persone che pensano di sapere come il teatro dovrebbe o non dovrebbe essere. Per conto mio, penso di non averlo capito»

C'è un legame con il suo ultimo testo, La prova?
«Io non scrivo testi uno di seguito all'altro. Ho scoperto di recente che più o meno scrivo frasi senza fine da quando avevo 16 anni. E farò così fino alla fine. Fondamentalmente scrivere per me come tracciare un'esistenza dal 1962 al .... Attraverso la scrittura conferisco forma all'esistenza. Come milioni di persone. Quindi non c'è differenza fra L'arte del teatro e Prova».

Nella Prova la crisi di una compagnia racconta una crisi più ampia. Perché questa sua esigenza di ampliare lo sguardo?
«È necessario. Il mondo del teatro è ampio e tutto può essere contenuto in esso. Ma lo stesso mondo del teatro è parte del mondo intero. Come la Storia con la S maiuscola. Sempre – quasi sempre – ho bisogno di allargare il soggetto a qualcosa di più largo di me: la Storia. Perché penso spesso a come posso dare forma a questo tempo, a questi giorni pieni di cambiamenti radicali. Il mondo è in grande trasformazione e per la maggior parte del tempo non vediamo questi cambiamenti. O li vediamo troppo tardi. La Prova parla di questo».

Chi è e cosa è l'attore per lei?
«L'attore è mio amico. Il mio co-autore. Il mio maestro».

Nei suoi testi le parole sembrano scolpite. Come arriva a drammaturgie così perfette e icastiche?
«Non credo assolutamente di raggiungere drammaturgie perfette. Credo piuttosto che il modo in cui lavoro fornisca uno spazio al dischiudersi della vita interiore. L'inconscient in francese. E quando il flusso di parole arriva al mio computer, lo sagomo molto per conferirgli la forma di puro linguaggio orale».

Quanto le sue parole e i suoi testi vivono degli attori per cui scrive?
«Per molto tempo. Ho centinaia di esempi di attori che ricordano ancora dopo anni le loro parti. In Francia e all'estero. Questi testi, queste parole sono ancora vive sulla terra all'interno dei corpi degli attori. Questo è un grande privilegio. E se Dio esistesse davvero, lo ringrazierei. Ma sfortunatamente non esiste niente di simile per me. Così dico grazie a tutti quei corpi che hanno accettato di ospitare me e le mie parole al loro interno.

Quanto la geometria della sua drammaturgia si rispecchia nella sua regia e nel suo essere coreografo?
«Clôture è molto rigoroso. Mentre in Prova niente è predefinito. Ogni sera gli attori possono fare quello che vogliono. Hanno la loro entrata in scena e i loro primi spazi in cui muoversi. Dopo di che recitano in tempo reale. Io lavoro così. Insisto sempre sulla distanza fra gli attori. Questa è la cosa più importante nel teatro. La distanza fra i corpi. Essenziale».

Parola e movimento che rapporto hanno?
«Come nella vita. È sempre meglio non pensarci».

In Clôture de l'amour, in Répétition e ora ne L'arte del teatro vanno in scena diverse crisi. Che cosa è per lei la crisi?
«Mi piace. Penso sia divertente vedere le persone fuori di sé, in crisi diremmo oggi. E riservo a questo sempre uno sguardo particolare – senza ironia. Amo i miei personaggi. E non li giudico, li faccio agire, li ascolto e quando è necessario mi faccio portare da loro»

Che cos'è l'arte del teatro?
«Il presente».

Come cambiano i suoi testi e i suoi spettacoli dal francese all'italiano e alle altre lingue in cui vengono allestiti?
«Dipende dallo spazio e dagli attori. Ma di base un oggetto è un oggetto. E una volta creato lo riproduco. E dopo creo nuovi oggetti».

Il teatro è parola?
«No è tempo + parole + corpo + colori + suoni + luci + ecc. Teatro è tutto questo contemporaneamente. Il teatro odia le separazioni».

Che tipo di parola ha forza in teatro?
«Tutte».

Cos'è per Pascal Rambert la parola?
«E' il mio modo di dare forma come si farebbe con l'esistenza. La mia».

Che tipo di spettatore è Pascal Rambert?
«Amo andare a teatro, ci vado ogni sera».

Si sente più drammaturgo, regista, coreografo?
«Nessuno, una persona è più che sufficiente :-)».

Ultima modifica il Mercoledì, 22 Marzo 2017 23:09

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