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INTERVISTA a GIANCARLO MARINELLI - di Francesco Bettin

Giancarlo Marinelli. Foto Germana Cabrelle Giancarlo Marinelli. Foto Germana Cabrelle

Ha appena concluso, da direttore artistico, e per la sua prima volta, il Ciclo di spettacoli classici al Teatro Olimpico di Vicenza, appuntamento prestigioso, giunto alla sua 72.ma edizione e portato a termine con successo enorme di pubblico e critica. Ma Giancarlo Marinelli è anche scrittore, drammaturgo, regista, editorialista, sceneggiatore, con una versatilità che non lo fa star mai fermo. Lo abbiamo incontrato, chiedendogli come è andata a Vicenza nel suo nuovo ruolo. E anche parlandogli di altre cose. Che bilancio si può trarre come presenze per il 72.mo ciclo di spettacoli classici'?
Un bilancio straordinario. Oltre 130 mila euro di incasso; 8 mila spettatori, di cui più del 10% under 18. Spettacoli e convegni pieni all'inverosimile. Siamo andati ben oltre alle mie più rosee aspettative. Certo, la quantità è importante; ma è alla qualità che volevamo mirare. E direi che anche sotto questo profilo, il Ciclo ha regalato delle felici sorprese.

Un'apertura con un omaggio ad Albertazzi e il coinvolgimento di Maurizio Scaparro che presumiamo sentito...
Quando un piccolo uomo come me è chiamato a dirigere il teatro più bello del mondo, inevitabile che cerchi la protezione dei grandi. Di Giorgio che ho avuto il privilegio di dirigere nel suo ultimo trionfo "Il mercante di Venezia"; di Maurizio a cui devo il mio esordio alla Biennale Venezia Teatro. Sono stati in qualche modo i miei numi, i miei dei di riferimento.

I classici rimangono sempre una salvezza per la cultura, sono sempre contemporanei, possiamo insomma dire che sono un insegnamento per la vita?
I classici sono tali non perché resistono al tempo. Ma perché sono il tempo. Non penso che ci insegnino qualcosa. Penso che siano la strada che percorriamo, la cattedra da cui insegniamo, il banco da cui impariamo. I classici sono prima di tutto un luogo. Uno spazio e un tempo. L'attimo in cui un uomo che li incontra avverte una vibrazione di eternità.

"Muoiono gli Dei che non sono cari ai giovani", il nome dato alla rassegna olimpica di quest'anno è un titolo importante...
Una inversione del celebre verso di Menandro. Che mi ha aiutato a tracciare il sentiero lungo cui immaginare questa prima stagione: il passaggio dalla soggezione, dall'ubbidienza incondizionata degli uomini agli dei, alla ribellione, al distacco degli uomini dalla divinità. E' un punto cruciale della nostra storia. Da quel momento cambia tutto.

Un Teatro Olimpico sempre pieno sarà motivo di soddisfazione per un direttore artistico alla sua prima annata.
Sono stato il terminale di una squadra amministrativa, organizzativa, tecnica, di indescrivibile eccellenza. Quello che ho provato a fare è mettere al centro del progetto queste eccellenze, facendole sentire ciò che naturalmente sono: indispensabili per l'Olimpico e la sua vitalità. Siamo tornati a parlare e a farci guidare dall'Accademia Olimpica, ad ascoltare le forze culturali e imprenditoriali della città. Posso avere una faccia non accomodante per chi mi incontra la prima volta; ma l'abito non fa il monaco, e la faccia non fa il direttore. In verità sono entrato in punta di piedi, sapendo che molti mi avrebbero insegnato a camminare, a danzare nella maniera giusta. Ed è quello che è successo.

Come è avvenuta la scelta dei testi presentati al 72.mo ciclo di spettacoli classici? Quale filo li ha uniti?
Innanzitutto dalla certezza che il sottoscritto quest'anno non avrebbe fatto regie. Volevo concentrarmi solo e unicamente sulle direzione complessiva del Ciclo. Poi, una volta trovata l'idea, abbiamo cercato compagnie, testi e titoli utili a raccontare quel passaggio di cui abbiamo appena parlato. Provando a dire ai protagonisti del palcoscenico quanto rendere moderni i classici non significhi fare una mera operazione estetizzante di aggiornamento apparente; ma far vivere quelle parole e quelle storie attraverso la forza intrinseca della modernità. La modernità che si cala dentro e non fuori la classicità ha come risultato l'universalità. A volte ci siamo riusciti, altre volte no. Ma questa è la strada.

L'itinerante svoltasi in un furgone per 7 persone alla volta,"Medea per strada" è stata una vera sorpresa... un teatro fuori dagli schemi. Scommessa vinta vero?
E' esattamente quello che si ottiene quando la modernità si cala dentro la classicità. Spettacolo straordinario. Una delle esperienze più dirompenti che ho provato da spettatore negli ultimi anni.

Quali emozioni ha sentito nel dirigere una scena così importante come il Teatro Olimpico?
Ho pensato a mia madre. A quanto sarebbe stata felice vedermi, seguirmi lì. Ho pensato a Gian Antonio Cibotto, la sera in cui Vittorio Sgarbi ha chiuso il Ciclo. Ho detto a Elisabetta Sgarbi: "Io e Vittorio, i suoi figli più cari, qui insieme. Cosa avrebbe detto Toni?". Le emozioni più grandi sono due persone che mi hanno lasciato. Era nel collo di mia madre; più precisamente tra la fine del collo e l'inizio dalla sua gota destra, il mio Olimpico. La scena da cui sono partito per guardare il mondo.

Lei è sempre molto attivo fra teatro, libri, regie, giornalismo. Ora la direzione artistica....Cosa ci riserva Marinelli per il futuro?
Un impegno totale per migliorare, se possibile, i risultati straordinari conseguiti. Il prossimo sarà il 73° Ciclo. Io sono nato nel 1973. Non posso sbagliare. Gli dei non me lo perdonerebbero.

Ultima modifica il Domenica, 17 Novembre 2019 03:18

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