venerdì, 29 marzo, 2024
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INTERVISTA a MICHELE SATRIANO - di Giuseppe Distefano

Michele Satriano Michele Satriano

Danzatore di grande talento, dal gesto espressivo ricco di sfumature, si distingue per la qualità d’interprete maturo, il cui lirismo si riverbera tanto nel repertorio classico quanto nel contemporaneo. Persona affabile, di grande naturalezza e socialità, ispira un fare colloquiale semplice e ricco di umanità. La sua formazione si è svolta alla Scuola di Ballo dell'Accademia del Teatro alla Scala di Milano. Determinanti gli anni al MaggioDanza sotto la direzione di Francesco Ventriglia, impegnato in ruoli da solista e primo ballerino, e scelto come partner dell’étoile Sylvie Guillem in Steptext di William Forsythe. Ospite in diversi Gala e produzioni, dal 2013 entra a far parte del Corpo di Ballo dell'Opera di Roma dove attualmente si distingue come ballerino Solista danzando i ruoli principali di moltissime creazioni. Fra questi Don José nella Carmen di Amedeo Amodio, partner dell’étoile Eleonora Abbagnato. Il suo carisma in questo ruolo gli vale la nomina al Premio “Benois de la Danse” 2018 al Teatro Bolshoi di Mosca. È felicemente sposato con la ballerina Giorgia Calenda.

La tua passione per la danza nasce casualmente…
Mi sono appassionato grazie a mia sorella più grande che studiava in una scuola privata a Potenza. Seguendola nei vari concorsi e saggi mi sono incuriosito. La scoperta fulminante che mi ha fatto innamorare della danza è stata quando, un'estate, ho assistito al balletto Zorba il greco, con Raffaele Paganini. M’impressionò per l’energia che trasmetteva.

All'inizio studiavi un po' di tutto: dal liscio al ballo latino americano di cui sei stato anche campione. Quando è stato, invece, il momento in cui hai deciso che volevi fare questo nella vita?
Nell'estate del 2001, a 10 anni, durante uno stage a Venosa vicino Potenza, la signora Anna Maria Prina, all’epoca direttrice della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, mi suggerì di fare l’audizione a Milano. I miei genitori inizialmente indugiarono; poi, mio padre, leggendo nei miei occhi la passione con cui esprimevo questo desiderio, ascoltando mia mamma che diceva : “Almeno proviamoci”, acconsentì . Accadde tutto velocemente. Passai l'audizione il 28 agosto e il primo settembre ero già a Milano. Un cambiamento di vita radicale.

Eri consapevole dell’importanza di essere entrato alla prestigiosa Scuola del Teatro alla Scala?
All’inizio no. Non avevo idea di cosa fosse la Scala. Ero convinto che quello che facevo a Potenza lo proseguivo a Milano, con la differenza che non avevo accanto la mia famiglia. All’euforia iniziale di sentirmi grande subentrò dopo appena due mesi la nostalgia di casa. Ogni volta che sentivo i miei genitori al telefono mi ripetevano che non ero obbligato a rimanere. E rispondevo a mio padre: “Fammi piangere, così mi sfogo, mi stanco, poi torno a dormire e domani mi passa tutto”. Accadeva ogni due notti, però non ho mai mollato. All'inizio non è stata una vera passione. Era una forma di divertimento, quasi di gioco, qualcosa che mi faceva stare bene.

Quando hai preso consapevolezza che si trattava di una cosa seria?
Alla fine del primo anno accademico. Dopo le vacanze estive a fine agosto dovevo ripartire per iniziare il secondo anno accademico, ma non ero convinto. Ero in macchina con i miei genitori che mi accompagnavano: mio padre, leggendomi negli occhi, mi guardò e disse: “Possiamo scaricare la macchina e comunicare alla Scuola che non torni più a Milano. Se non te la senti non è un problema, né una sconfitta per nessuno”. Al che, riprendendomi dallo sconforto, risposi: “Dai papà, sbrigati, altrimenti arriviamo tardi”. I miei non mi hanno mai imposto di studiare danza. Si sono sempre fidati di me e, a mia volta, ho dimostrato loro di essere responsabile. Vivere da solo, già a 11 anni, mi ha responsabilizzato e fatto maturare in fretta. È stata una scuola di vita.

La dimensione artistica di questo mestiere, che vuol dire anche saper esprimere il lato profondo e artistico, quando l’hai acquisita?
La forte consapevolezza di voler fare questo mestiere l'ho sentita quando ho avuto un infortunio alla schiena. Sono stato malissimo, ho rischiato di brutto, ma ce l'ho fatta. Mi sono rimesso in piedi e ho ripreso come se non mi fossi mai fermato. Anzi sono tornato più determinato che mai, con una carica maggiore. Ha coinciso con il cambio di direzione alla Scuola di Ballo, con l'arrivo di Frédéric Olivieri. Sotto la sua direzione è stato come se fossimo diventati la compagnia giovanile del Teatro. Non facevamo più solo il saggio finale, abbiamo iniziato a fare diversi spettacoli andando anche in tournée durante l'anno, e con balletti impegnativi di grandi coreografi. Ricordo Serenade di Balanchine, Symphony in D di Jiri Kylian, e altri del grande repertorio per i quali era richiesta l'interpretazione e non solo la tecnica. Ricordo anche un workshop con Angelin Preljocaj per Les Noces. Da lì in avanti ho iniziato a maturare quest’arte dentro di me. Aver potuto lavorare, già a 16 anni, con coreografi importanti è stata la chiave di volta. Ho capito che ero sulla strada giusta. Era quello che volevo fare.

Come hai alimentato questa dimensione artistica?
Mi sono nutrito guardando molti video, vedendo più spettacoli possibili soprattutto alla Scala dove calcavano la scena grandi nomi e grandi compagnie: da Roberto Bolle, che è sempre stato un mio idolo, a Massimo Murru, per me un artista unico e con la A maiuscola. E poi Maximiliano Guerra, Alessandra Ferri, Julio Bocca, Jose Manuel Carreño.

Ricordi dei consigli importanti negli anni degli inizi? Consigli che ancora oggi ti porti dentro?
Essenzialmente due: non risparmiarsi mai, e non aver mai paura della fatica, perché i miglioramenti si ottengono proprio lavorando sulla stanchezza e sui dolori. Anche adesso c'è chi me lo ripete. Ne sono consapevole, ma mi sento un po' frenato dalla paura di infortunarmi e di stare male. Credo sia soprattutto un freno mentale, e anche se non lo sento come tale il mio corpo invece, lo percepisce. So che in determinati momenti potrei dare di più, però sento che sto già dando il massimo. Tutti mi ripetono sempre di insistere, insistere, insistere.

Quali sono state le maggiori difficoltà e rinunce che hai dovuto affrontare?
Quando ho iniziato a fare danza, i primi mesi, i miei compagni di scuola mi prendevano in giro, ma io ho sempre continuato per la mia strada senza farmi condizionare da nessuno. Riguardo alle privazioni direi che non ho mai rinunciato a niente, sono sempre stato un po' uno spirito libero. Mi sono perso l'adolescenza, quella soprattutto vissuta in famiglia, non quella tipica della mia età, del gioco e delle amicizie. Ma rifarei tutto. Adesso che sono anche padre (di una bimba di 4 mesi, ndr), voglio che i miei figli facciano quello che desiderano, com’è stato per me che sono stato messo nelle condizioni di fare quello che sentivo e volevo. Mi reputo fortunatissimo perché ho avuto una famiglia che mi ha sempre sostenuto e spronato, a partire dai miei genitori , passando per mio fratello e mia sorella che sono i miei primi fans.

Appena diplomato, nel 2009, sei entrato nella compagnia del Ballett Zürich diretto da Heinz Spoerli...
È stata la mia prima esperienza all'estero. Mi sono ambientato benissimo pur non parlando bene l'inglese. È stato un grande stimolo che mi ha fatto crescere, soprattutto come uomo, insegnandomi anche a gestirmi economicamente. Ho capito come si lavora in una compagnia, cosa è un corpo di ballo, e ho imparato ad essere sempre pronto a sostituire qualcuno e ad entrare in scena. Ero comunque un apprendista, molto concentrato su quello che dovevo fare. Avevo davanti i primi ballerini, degli esempi da seguire. È stato anche un bel bagaglio di esperienza artistica poiché in repertorio avevamo coreografie di Kylian, Van Manen, Forsythe.

Dopo un anno sei volato, per un breve periodo, al Tulsa Ballet…
Tulsa è stato un altro gradino di crescita ma sempre sul lato umano, più che artistico. Sono sempre stato un po' nomade e avevo voglia di girare il mondo. Ho conosciuto la Compagnia guardando diversi video ma senza un particolare interesse per qualcuna specifica. L’idea degli Stati Uniti mi attirava. Ero a Madrid in vacanza e sapendo di un'audizione in quei giorni, ho provato. Ed è andata bene. Tulsa però, come città non mi piaceva. Ci stavo solo per il lavoro. E si lavorava molto bene. Il direttore Marcello Angelini ha creato un bel centro e una bella compagnia di quaranta elementi. Facevamo danza contemporanea ma anche classica, con coreografie firmate da lui.

Però sei rimasto poco tempo…
Inizialmente avevo un contratto di sei mesi ma ho smesso prima e sono tornato in Italia per dei problemi familiari. Quel periodo ha coinciso con la nomina di Francesco Ventriglia a direttore di Maggiodanza. Conoscevo Francesco dai tempi della Scala quando, ragazzino, ero in scena nello Schiaccianoci di Nureyev. Mi invitò per l'audizione a Firenze, fui preso e decisi di licenziarmi dal Tulsa Ballet. Mi sarei licenziato lo stesso perché volevo stare più vicino alla mia famiglia.

E quindi è iniziata la tua avventura a Maggiodanza, che consideri l'esperienza più bella della tua vita e, per tua definizione, "la mia casa”…
Proprio così. Tutto ciò che di bello poteva succedermi mi è capitato a Firenze. Fin lì avevo fatto esperienze, lavorato sodo, imparato il mestiere, a stare in un corpo di ballo, a interpretare una coreografia. Firenze è stata il mio anno Zero, la mia nascita dal lato artistico. Francesco ha puntato subito su di me, e ho avuto la fortuna di avere davanti tanti esempi importanti - primi ballerini come Bruno Milo, Umberto De Luca, Sabrina Vitangeli, Gisela Carmona, Letizia Giuliani - che mi hanno accompagnato e mi hanno “allevato”. Soprattutto Alessandro Riga, anche amico, che mi ha proprio preso sottobraccio. Da ognuno ho imparato qualcosa. Sentivo una bellissima energia attorno a me. Ricevevo dei complimenti e anche delle critiche, ma sempre costruttive, per farmi crescere, migliorare, e tirare fuori il meglio di me.

C'è un balletto particolare che in quel periodo hai amato interpretare?
Steptext di Forsythe con la grandissima Sylvie Guillem. È stata una bella soddisfazione vedermi sulla copertina della rivista Balletto 2000 in una foto di scena insieme a lei. E questo grazie a Ventriglia al quale va riconosciuto il merito di aver elevato il Maggiodanza a livelli importanti, portando balletti di grandi coreografi come Balanchine, Kylian, Forsythe, Preljocaj, e di altri giovani emergenti istituendo una vetrina che si chiamava Short Time. Ho avuto tante soddisfazioni, ma la maggiore è l'essere stato scelto come partner da Guillem. Quando è successo mi sembrava di sognare, e ancora faccio fatica a credere di aver avuto una tale fortuna.

Racconta di più.
Fece un'audizione per scegliere i suoi tre partner. Ero molto giovane con i miei 20 anni. La conoscevo per fama, per averla vista in video e nelle foto dei libri studiando la storia della danza. Lei vive in Provenza dove ha in casa una grande sala da ballo. Siamo stati ospiti lì dieci giorni per montare la coreografia. Ci faceva sentire di casa preparandoci il caffè, portandoci da mangiare.

Come è stato il lavoro in sala prove?
Straordinario. Lei è una grande lavoratrice e una persona umile, semplice. Si stava in sala provando e riprovando. Ricordo che un giorno la feci cadere per terra. Ero imbarazzatissimo e pensai che per me fosse finita. Lei invece si rialzò subito dicendo: “Ti va di riprovarlo?”. Questo fa capire che persona speciale lei sia. A darle una mano c'era Massimo Murru per i passi a due. Uscivamo dalla sala stremati però felici e con dei risultati sempre in crescendo. E prima di andare in scena era lei che veniva a dare a noi l’“in bocca al lupo”.

Steptext è un pezzo molto difficile…
Era la prima volta che danzavo Forsythe. Lo avevo solo studiato. Ci sono delle prese a terra difficoltose, è quindi una grande responsabilità. La musica è molto veloce, quasi sempre uguale, quindi se perdi il conteggio è difficile riprendere. Ricordo che prima dell'apertura del sipario Sylvie Guillem ci trasmetteva un senso di leggerezza e sicurezza dicendoci: “Qualsiasi inconveniente possa succedere, ci fermiamo, ci guardiamo, camminiamo, e riprendiamo senza problemi e senza tensione”. Una cosa che mi ha sempre impressionato è che lei sa esattamente dove mettere una mano, un piede, ogni parte del corpo, e come muoverlo nello spazio senza dover guardare dove va, non perdendo mai l'artisticità. Ti guarda fisso negli occhi, una fissità magnetica, e tu la segui sicuro.

Da come la descrivi fai capire il livello umano e artistico di questa donna, molto raro…
Non ha mai creato o fatto percepire il divario fra lei e il ballerino del corpo di ballo. In quel momento tu eri il suo partner e basta. Era così con tutti, anche con gli altri ragazzi della compagnia che nella serata danzavano gli altri pezzi (tra cui I quattro temperamenti di Balanchine, ndr). In quel momento era una ballerina della compagnia, e non la star della serata. Sia quando entrava che quando usciva dalla sala prove salutava sempre, anche più volte se ti incrociava nel corridoio. E perdeva tempo a salutare tutti, a firmare autografi. Una persona cordialissima e gentile.

Nel 2018 hai avuto una nomination al Premio “Benois de la Danse”, che è l'Oscar della danza, al Teatro Bolshoi di Mosca, grazie alla tua interpretazione di Don Josè nella Carmen di Roland Petit che avevi danzato al Teatro dell'Opera accanto a Natasha Kusch.
La nomina è stata inaspettata. Quando il maestro Luigi Bonino mi scelse nel 2017 per ballare all'Opera di Lione come guest in quel ruolo, già mi bastava, era un riconoscimento importante. Arrivare al Bolshoi è stato un altro di quei sogni che non avrei mai immaginato, se non, forse, come spettatore. Entrare in quel teatro e danzare è stato emozionante, un'esperienza unica, anche per il calore del pubblico.

Come funziona la serata del Benois?
I giurati, che sono dei critici,coreografi e direttori compagnie , ti guardano durante le prove in palcoscenico fino alla singola generale. Poi si riuniscono, riguardano i video delle varie performance dei nominati, e durante la serata, diversamente da come si fa dappertutto, avviene prima la premiazione e subito dopo il gala. Quindi, che tu abbia vinto oppure no, ti esibisci con tutti i nominati e i premiati. Ho danzato il passo a due della camera da letto di Carmen, sempre con Natasha Kusch.

Parliamo ora del tuo ingresso al Teatro dall'Opera di Roma dove sei dal 2013, un'altra tappa importante….
Decisamente. Da quando è arrivata alla direzione del corpo di ballo Eleonora Abbagnato ha subito puntato su di me. Venivo dall'esperienza post Maggiodanza piena d’incertezze. Non avevo ancora digerito il trauma della chiusura della compagnia, e costretto a lasciare. È stato duro ritrovare le giuste motivazioni e rimettermi in gioco. Sono stato fortunato perché ho trovato subito lavoro, ma altri, più grandi di me, hanno dovuto smettere perché non più in età per fare audizioni. L’arrivo di Eleonora ha rappresentato un nuovo inizio e, anche se con un po’ di lentezza da parte mia a causa di alcuni infortuni, ho goduto sempre della sua stima. Ho avuto anche la fortuna di ballare con lei spesso, per esempio nella Carmen di Amedeo Amodio in varie tournée, o nell'Adagio di Suite en blanc. Mi ha dato sempre grandi opportunità. Le devo tanto. Riconosco di non essere un ballerino molto tecnico. Penso di riuscire a tirare fuori tutto ciò che ho dentro se riesco a entrare bene nel personaggio, arrivandoci più dal lato artistico che tecnico. Certamente continuo a dare il massimo e a lavorare sulla tecnica e sui miei limiti. I ripetuti infortuni mi hanno scombussolato, distrutto, ma non ho mai mollato.

Fra i ruoli finora interpretati in quale ti sei più identificato, che hai sentito più consono?
Senz'altro Romeo e Giulietta di Giuliano Peparini. Mi piacerebbe molto danzare anche la versione di Cranko, che considero la più bella in assoluto, o quella di MacMillan. Un altro titolo che mi sarebbe piaciuto danzare e che stavo studiando, ma in seguito all'infortunio al ginocchio non è stato possibile, è Manon. Sono, questi, dei ruoli difficili tecnicamente, ma mi piacciono perché hanno una storia, richiedono un'interpretazione. Anche il principe Siegfried ne Il lago dei cigni richiede un'interpretazione, però è qualcosa di “irreale”. I ruoli in Romeo e Giulietta o Manon sono storie nelle quali devi entrare pienamente. Alcune cose che accadono durante un balletto, come una passione forte, una storia d’amore finita male, un addio, un abbandono, sono momenti che possono accadere nella vita reale. Si tratta di sentimenti che ci accomunano, nei quali è possibile identificarsi.

Sul versante contemporaneo hai danzato parecchie coreografie. Domanda scontata: ti senti più a tuo agio nel classico o nel contemporaneo?
Mi sento a mio agio ovunque, ma soprattutto dove posso mettere qualcosa di me. Mi piace molto anche il teatrodanza. Pagherei per fare qualcosa con la compagnia di Pina Bausch, perché lì puoi dare veramente tutto te stesso anche solo attraverso l’essenzialità di un unico gesto pieno di significato.

Vorresti fare altre esperienze lavorative?
Nei momenti di difficoltà la cosa più immediata da pensare sarebbe mollare tutto. E fare altro. Non ti nascondo che ho altri interessi, altre cose che mi catturano…

Anche fuori dalla danza?
Sì. Sono un sognatore, mi piace provare a fare altre cose, reinventarmi. A volte ci penso, ma non è ancora il momento e non so se arriverà. Non è detto che io vada in pensione da ballerino. Sono così diversi i giudizi e le valutazioni nel campo dell'arte, e anche questo è il bello del teatro. C'è chi fischia l’esibizione di una grande stella, e chi invece applaude. Resto sempre con i piedi per terra, anche quando ripenso al fatto di aver danzato con Sylvie Guillem, con Eleonora Abbagnato, o che ho ricevuto la nomina al Benois. Sono sempre me stesso, sia che io danzi in prima fila con un ruolo, sia che mi ritrovi in seconda, nel primo o nel secondo cast. Il pubblico non è mai lo stesso tutte le sere, quindi, anche se non avrò il prestigio di ballare alla première di un balletto, quando toccherà a me, lo spettacolo di quel giorno sarà la mia prima, e lo stesso per il pubblico di quella sera. C'è chi può darmi del “falso umile” nel dire queste cose, ma non credo di esserlo. Per me è così.

Per calarti nei panni di un personaggio, per vivere un ruolo, come ti prepari?
Avendo studiato la storia della danza, alcuni ruoli li conosco, ma per approfondirli leggo dei libri o altri spunti che vi fanno riferimento. Poi, in base alla versione del balletto, cerco di farmi spiegare dal coreografo che tipo di interpretazione immagina per un determinato ruolo. Per esempio nello Schiaccianoci di Peparini il protagonista è un adolescente, in quello di Nureyev è un principe, un ragazzo più grande. Poi cerco di metterci sempre un po' del mio, e per fortuna c'è sempre chi ci dice se è troppo o è troppo poco, se sei fuori o dentro il personaggio.

Ritornando al discorso sul contemporaneo, ricordo di averti visto danzare al Comunale di Firenze in un pezzo di Andonis Foniadakis…
Un pezzo che mi ha segnato. Era Selon Desir - La Caduta degli Angeli su musiche di Mozart per la Serata sacra, (spettacolo nato da una collaborazione con gli Uffizi di Firenze, ndr), e comprendeva altre due coreografie: Stabat Mater di Ventriglia e Annonciation di Angelin Preljocaj. Il pezzo di Foniadakis era tosto: 25 minuti in cui stavo sempre in scena. Non rimanevo mai fermo, e quando smettevo, alla fine dello spettacolo avevo le visioni. Era di una fatica immane ma di una bellezza grandiosa. Uno dei pezzi più belli che ho ballato, di contemporaneo puro, insieme anche a Noces sempre di Foniadakis.

Cos’è importante, secondo te, per essere un bravo ballerino? Quali sono i requisiti necessari?
Ci sono ballerini che in scena brillano di luce propria, vedi, ad esempio, Roberto Bolle. Principalmente devi avere carisma, e non essere bravo solo tecnicamente. Personalmente mi annoio se devo limitarmi a guardare quante piroette o salti fa un ballerino. Sì, magari mi colpisce, però il giorno dopo lo dimentico. Voglio, invece, uscire dal teatro con gli occhi umidi per l’emozione. Ricordo alcune interpretazioni memorabili di Alessandra Ferri: un carisma e un’artisticità unica ancora oggi. Guardando nel nostro Paese ci sono dei ballerini straordinari, come per esempio Alessandro Riga, al momento, secondo me, il migliore ballerino italiano. Altri che reputo tali sono Rebecca Bianchi, Alessio Rezza, Giacomo Castellana, e Simone Agrò, che considero il futuro della danza italiana. Ha 21 anni, e possiede tutte le qualità. Oltre a carisma e talento ci vuole però anche una buona dose di fortuna. Io l'ho avuta incontrando persone che mi hanno dato la spinta che mi serviva, direttori che mi hanno apprezzato e non messo in un angolo. Quando in un teatro cambia il direttore, quello nuovo che arriva magari cambia opinione su di te e ti mette come ultimo nel corpo di ballo. Si è osservati costantemente: dal direttore artistico, da un assistente, dai maître de ballet, dai coreografi che esprimono pareri diversi. Questo succede spesso quando c'è un cambio generazionale o di direzione. E talvolta i ballerini ne soffrono. Quindi, come dicevo, ci vuole anche molta fortuna.

In cosa ti aiuta la danza come persona?
Per me è un grandissimo sfogo. Sul palcoscenico riesco ad essere veramente me stesso perché riesco a mettere tutte le mie emozioni e a far uscire tutto quello che ho dentro. Non mi sento di dire che “mi aiuta ad essere una persona migliore”, però mi aiuta a conoscere e a riconoscere le persone che ho accanto. Succede che quelli che reputi grandi amici, possono, ad un certo punto, rivelarsi il contrario. Parlo in generale. Mi è capitato in passato, proprio per la competizione che subentra tra i danzatori, per la foga di voler arrivare per primo. La danza mi ha insegnato e aiutato a vivere, a capire, il significato della parola lavoro. Lo faccio da quando sono piccolo, e ogni giorno per dieci ore, quindi le amicizie le ho, ma è difficile avere rapporti fuori dal teatro. Ho imparato a riconoscere e a scindere l'amico dal collega, e viceversa. Non vale la pena rodersi per una lista, per la distribuzione di chi va in prima o in seconda fila. Per me non è un'ossessione. Voglio vivere la vita sereno e in pace con tutti. Sono ugualmente felice se mi scelgono per interpretare Albrecht in Giselle oppure per il passo a due dei contadini. Mi impegno sempre al massimo per interpretare qualunque ruolo. Mi sento un privilegiato perché faccio un lavoro che amo, e vengo anche pagato per questo. Ho studiato tanto per essere un danzatore e lo faccio da quando ho compiuto 18 anni. A questa professione ho dedicato tutta la mia vita, dandogli il giusto peso, il giusto posto. Ad un certo punto della propria vita subentrano altri “fattori” che possono migliorartela, e adesso il motore che muove la mia vita è la mia Famiglia.

Sei sposato, da due anni, con Giorgia Calenda, anche lei ballerina al Teatro dell’Opera di Roma. Come vi siete conosciuti, e com’è nato il vostro amore?
Ci siamo conosciuti al Maggiodanza. Venne a fare l'audizione quando Ventriglia cercava nuovi elementi per la compagnia. Giorgia in quel momento lavorava al Massimo di Palermo ed era senza contratto. Venne a Firenze e passò l'audizione. Ci siamo sempre stati simpatici, e avevamo in comune, oltre alla comitiva, diverse passioni. Ci siamo conosciuti a gennaio, fidanzati a settembre del 2012, e sposati nel 2018. Dopo la chiusura del Maggiodanza io fui preso al Teatro dell'Opera di Roma e lei no. Tornò al Massimo di Palermo. Quindi facemmo quella prima stagione separati, però quasi tutti i weekend riuscivamo a vederci. O andavo io a Palermo o veniva lei a Roma. È stato un po' pesante perché, essendo andati a convivere subito quando eravamo a Firenze, separarci di colpo non è stato facile. L'anno successivo lei rifece l'audizione all’Opera di Roma con il proposito, nel caso non fosse passata, di trasferirsi lo stesso per vivere con me. Le dissi che avremmo fatto audizioni per cercare lavoro insieme… Ma presero anche lei al Teatro dell'Opera e quindi il problema si risolse. Lavoriamo insieme dal 2015.

Famiglia e lavoro. Com’è oggi la gestione?
Gli ultimi mesi di lockdown hanno combaciato con gli ultimi due mesi di gravidanza, quindi nella sfortuna ho avuto la fortuna di stare accanto a Giorgia 24 ore su 24 e mi sono goduto i primi 20 giorni di nascita di mia figlia, un fiore meraviglioso che stava sbocciando. Mi è mancata, come a tutti, la danza, anche se mi allenavo tutti i giorni, però mi sono goduto quello che è stato per me finora la cosa più bella che mi potesse succedere. Speriamo di avere ancora altri figli. Ci piacerebbe anche poterne adottare uno, però andiamo con calma, non possiamo fare troppi progetti futuri perché entrambi siamo con contratti a termine. Con Giorgia abbiamo un rapporto bellissimo. Nessuno esclude l’altro in ogni decisione, riusciamo a prenderci i nostri spazi tranquillamente, non siamo possessivi. Lei è tutto per me.

Cosa ha cambiato in te, che percezione hai della vita ad essere padre?
Metti al giusto posto e capisci quali sono le cose essenziali della vita. Di carattere, per alcune cose, sono molto impulsivo. Ho imparato a controllarmi molto di più, ad essere più razionale. Ho iniziato a fare un lavoro su me stesso riuscendo a farmi scivolare di più le cose che non mi stanno bene. Non do più peso alle cose negative e a chi, se c’è, mi vuole “male”. Mi sento maturato come persona, come se sentissi tutto nelle mie mani, e con la responsabilità di una famiglia che dipende da me. Comunque, continuo ancora a lavorare molto su me stesso.

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Giovedì, 01 Ottobre 2020 00:52

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